Se la primavera araba non è andata a buon fine in Egitto, ha almeno avuto il merito di aver smosso le coscienze di una generazione e di aver fatto emergere una serie di artisti che altrimenti, in circostanze diverse, avrebbero difficilmente trovato spazio. Fra questi i più importanti si sono rivelati i Cairokee, la prima rock band egiziana che sia mai riuscita a raggiungere il grande pubblico, e il raffinato cantautore Hamza Namira. Entrambi hanno cantato brani socialmente impegnati e si sono dimostrati esploratori di sonorità senza barriere, capaci di sposare varie forme di musica orientale e occidentale.
Namira ha stregato molti giovani egiziani, arrivando a collezionare numeri imponenti sui social network: su Twitter sfiora gli otto milioni di seguaci, su Facebook li supera. Il mondo virtuale è del resto fondamentale nel suo caso, sia perché è così che le sue canzoni hanno iniziato a diffondersi durante la primavera araba, sia perché dal 2018 è l’unica forma di collegamento che può avere con il proprio paese, in cui gli è stato vietato di rientrare dopo un periodo passato in Europa fra concerti ed eventi di beneficenza.
È stato il sigillo di un ostracismo crescente, iniziato nel novembre del 2014 con la messa al bando delle sue canzoni da tutti i media statali, rafforzata nel febbraio 2015 con l’espulsione dal sindacato dei musicisti egiziani, che gli ha reso di fatto impossibile organizzare concerti in Egitto.
Forse sarebbe potuto rimanere, edulcorando la propria figura in modo da rispettare le linee guida del regime, ma ha preferito l’esilio, scegliendo Londra come nuova base operativa. Durante la pandemia del coronavirus ha così iniziato a lavorare a distanza con altri artisti egiziani, alcuni dei quali collaboratori di lungo corso, per mettere a punto il suo sesto album.
Come il precedente “Hateer Min Tany” (2018), anche “Mawlood Sanat 80” esce esclusivamente in formato digitale, senza l’appoggio di alcuna etichetta, ma poco importa: Namira è ormai un’icona e il disco è schizzato immediatamente ai vertici di ogni classifica digitale egiziana, accumulando decine di milioni di streaming.
Le dodici canzoni in scaletta sono state pubblicate gradualmente su YouTube, ognuna con un proprio videoclip, a partire dal 16 dicembre 2020. L’ultima è arrivata il 24 febbraio 2021, giorno in cui l’album è stato inserito in forma integrale in tutti i servizi di streaming e pertanto sua data effettiva di pubblicazione (benché Spotify riporti erroneamente il 2020).
Come suo solito, Namira ha raccolto poesie che lo hanno colpito, rigorosamente scritte da altri, e le ha musicate. Nella musica pop occidentale si è abituati al contrario, con le parole che vengono quasi sempre dopo la musica, ma in Egitto e più in generale nell’universo arabo si tratta di un percorso piuttosto comune, derivato dalla grande influenza della musica classica di quei paesi, che spesso adattava poesie. Nell’intervista che ha rilasciato per Shorouk News, l’artista tiene a precisare di non dare peso alla fama dell’autore quando seleziona il materiale: a riprova di ciò, si alternano nomi misconosciuti – che hanno così l’occasione di entrare in contatto con il vasto pubblico di Namira – e poeti affermati come
Omar Taher, che firma tre testi.
In apertura c’è il brano che intitola il disco, traducibile come “Nato nell’80”. La scintillante base synthwave è arrangiata da
Karim Abdel Wahab, produttore sulla scena da un decennio e affermatosi lavorando, fra gli altri, con la popstar libanese Carole Samaha. L’immaginario
outrun, perfettamente ricreato anche dal video, si sposa bene al senso di rimpianto espresso dal giovane poeta
Hazem Wefy:
Il gioco si è rotto, lo aggiusterò di nuovo.
Non ho mai notato la mia età,
il mio momento non è ancora giunto,
e trovo l’equazione (al contempo) difficile e semplice,
e cammino e corro e mi stanco e rallento.
Guardo il mio orologio, mi chiede “chi sei?”
Sono nato nell’80, gli anni sono passati,
dicono che sono invecchiato,
mi chiedo “come e dove?”
Come osservato dallo stesso Namira, sono parole sentite da un'intera fascia d’età, che nel suo paese non ha ancora trovato le risposte necessarie e che inizia a vedere l’instabilità e l’incertezza addensarsi anche sulle generazioni future.
Con “Esta3izo” le sonorità si spostano bruscamente verso l’Oriente e lo shaabi, una delle forme più tipiche del pop egiziano. Nel complesso arrangiamento di Ahmed Nasr Al-Dawawi battiti elettronici e strumenti tradizionali si addensano gli uni sugli altri, creando melodie stordenti e vortici ipnotici. Del musicista non si ha alcuna notizia: questo brano è probabilmente il suo primo sbocco discografico, a riprova della vocazione di talent scout di Namira.
“Fady Shewaya” è il brano che ha maggiormente colpito il pubblico (solo su YouTube ha ammassato centocinquanta milioni di visite in sei mesi).
Khalil Ezz Eldeen gli fece leggere la poesia nel 2014, ma solo di recente il cantante ha trovato l’ispirazione per comporre la musica adatta, in forma di una splendida ballata malinconica, densa di ricami di chitarra acustica e pianoforte, contrappunti d’archi sintetizzati e delicate stratificazioni vocali.
Nel testo riaffiora il rimpianto per il tempo perduto e la nostalgia per una persona che la vita ha trascinato lontano: immagini in cui si può non a caso rispecchiare una persona che vive da anni in esilio.
Hai un po’ di tempo
per andare a bere un caffè in un posto lontano?
Invitami con una battuta
e lascia a me il conto delle risate.
So che hai da fare in questi giorni, proprio come me,
ma ho delle storie difficili da nascondere,
e visto che mi conosci, puoi leggermi e capirmi,
sto aspettando di dirtele.
“Yaba” è stata scritta da Avo Demarjian, membro della rock band giordana Autostrad, conosciuto da Namira durante la realizzazione del programma televisivo “Remix”, andato in onda sul canale londinese Al Araby Tv dal 2016 al 2020. Cantato in dialetto giordano, è uno dei due soli brani del disco non composti da Namira, che ne cura comunque l’evocativo arrangiamento, denso di eco e suoni prolungati, fra voci e chitarre che sfumano in un paesaggio onirico.
Non poteva ovviamente mancare Mostafa Negm, produttore che orbita intorno all’artista da ormai sette anni: in questo album cura le basi per “Ahkeelak Khoofy”, sorta di ibrido impossibile fra raggae, blues, folk arabico e pop d’atmosfera, e “Ghenwa Leek Men Alby”, trascinante funky house per piste da ballo che si spera di tornare a riempire a breve.
In chiusura “Feeh Nas” di
Ramy Adel, vincitore di un concorso indetto via
social network, il cui premio consisteva nel registrare una canzone scelta fra i
demo inviati dai fan. Adel ha battuto circa quattrocentocinquanta avversari con il suo brano, reso da Namira con un leggiadro andamento
midtempo, arricchito dall’
oud (liuto a manico corto ampiamente diffuso nel mondo arabo) e dal
kawala (flauto di canna tipico della musica tradizionale egiziana).
Ci sono pochi dischi al mondo, nel 2021, che riescano a toccare un pubblico tanto vasto con musica tanto sofisticata e temi tanto importanti, spaziando fra più culture e ricorrendo a strumentazioni e tecniche produttive così variegate.
16/06/2021