Punti d'incontro, si diceva. Su fumose melodie jazz volteggiano incastri decostruiti in scia hip-hop, come se la downtempo dei bei tempi andati si riscoprisse ispida, inquieta (“Ecce! Ego!”, che a suo modo si raccorda con la collezione precedente, svelandone il potenziale sinistro). E se i clangori industrial di “In>Pin” rubano inizialmente la scena, ci vuole poco perché la struttura poetica del testo e più miti consigli ambient introducano una nuova atmosfera, nuovamente corretta da istinti jazzy.
L'elemento ballabile arriva, ma è molto più mirato a sedurre la mente che a far scattare le gambe: “Mothra” richiama gli acquerelli tech-house di Ricardo Villalobos, ma il suo cuore espressivo mitiga l'euforia alla luce di una maggiore cerebralità, di un gioco di specchi che porta gli stessi beat di base a ripensarsi sfumati, pensosi.
Troppa carne al fuoco? Nemmeno lontanamente. Non si tratta neanche di scorgere i vari easter-egg più o meno autoriferiti e le frequenti comparse del personaggio Velvet, che presta la propria voce in alcuni dei momenti chiave dell'album. La perizia di Vynehall è tale da riuscire a tenere saldo l'andamento del disco attraverso chiare guide sonore, fornendo appigli e raccordi sonici che danno coerenza narrativa anche in mancanza di un dato descrittivo tangibile. Con liquide partiture d'archi a chiudere il cerchio esattamente dove era cominciato (“All I See Is You, Velvet Brown”), il disco sa far vibrare con analoghe frequenze i momenti più disparati, che sia con mirati colpi d'autore (la coda lounge che accarezza la techno evoluta di “Snakeskin ∞ Has-Been”) oppure infiltrandosi tra le pieghe di curiose evoluzioni beatless, come se la ricerca di Barker incrociasse la spiritualità soffusa della più moderna new-age.
Tra sorprendenti contrapposizioni, aggiustamenti impensati, scoperte e riscoperte, ogni brano sprigiona il suo potere espressivo senza ulteriori spiegazioni, orchestrando una raccolta che anche attraverso la messa a punto della scaletta si spinge ben oltre la somma delle sue parti.
A chiusura di una decade che lo ha già visto curare momenti rilevanti dell'elettronica mondiale, Leon Vynehall guarda alla propria interiorità e trova una libertà d'azione mai così evidente, in pieno accordo con una raffinata gestione tecnica. C'è davvero da sperarlo, che i trepidi abbracci del compositore sappiano giungere lontano.
(05/05/2021)