Affrontare la realizzazione di una seconda opera dopo un debutto brillante non è mai una questione semplice. La tentazione di ripercorrere la strada battuta in modo convincente è un rischio difficile da scansare, anche se può tramutarsi in una possibile trappola. Sarebbe stato quindi lecito attendersi da Attilio Novellino e Roberto P. Siguera, intestatari del progetto Luton, una nuova prova all’insegna della continuità, una riproposizione e un possibile ampliamento dell’intersezione sapiente di partiture orchestrali ed elettronica con cui è stato plasmato l’ottimo “Black Box Animals”.
In effetti l’ascolto di “How We Got Into The Mess” – primo estratto del disco – con il suo pianismo compassato venato da ruvide interferenze sintetiche, lasciava presagire un scelta simile, una sorta di allineamento a un codice collaudato, impressione rapidamente ribaltata dal successivo rilascio di altri due tasselli del lavoro. Le strutture ibride in costante ricombinazione di “Leaving Society” e “Confluence” mettono infatti in risalto la vera natura di un itinerario vorticoso e difficilmente catalogabile realizzato nell’arco degli ultimi tre anni a partire da una serie di registrazioni effettuate nella cappella londinese di Rosslyn Hill a Hampstead.
Echi di una moltitudine di generi e possibili influenze – da Scelsi fino a Hecker passando dal Fennesz più atmosferico e dal Sylvian di “Manafon” - sono riscontrabili tra le pieghe delle ventuno poliedriche costruzioni erette dai due, un insieme di rimandi mai ridotti a pura citazione quanto piuttosto costantemente trascesi per assecondare un processo compositivo che pesca nel passato per riscrivere il presente.
Ogni traccia si sviluppa in modo imprevedibile partendo spesso da un nucleo melodico definito, gradualmente eroso e intaccato da germinazioni elettroacustiche che conducono alla sua destrutturazione e successiva rimodellazione. Quando quest’azione viene portata all’estremo (“Endless Alphabet”, “When Elephants Dream” ) la sensazione che si ha è quella di ritrovarsi di fronte a differenti piani narrativi sovrapposti, una stratificazione straniante in cui armonie di respiro sinfonico, frantumazioni ritmiche e astrazioni sintetiche coincidono rimanendo sempre perfettamente leggibili.
Tra moti essenziali guidati dalla voce del piano (“Womb”), code che aprono improvvisi varchi verso il Medio Oriente (“Hampsted, Outside Language”), partiture post-classiche profondamente inquiete (“White Ellipse”) e inattese venature jazzy (“Mountains Of Your Life”) il paradiso terrestre di Novellino e Siguera assume la forma di un labirinto carico di tensione, di uno spazio mentale che, come l’Aleph borgesiano, diventa “il luogo dove si trovano, senza confondersi, tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli". Le tappe di questo percorso hauntologico – per concetto più che per forma sonora – si presentano perfettamente autonome tanto da poter essere affrontate singolarmente o seguendo un ordine casuale senza che esse perdano nulla del loro valore immaginifico.
In definitiva, “Eden” si presenta come un album ambizioso - per costrutto e per la sua durata impegnativa – perfettamente riuscito, una distesa cangiante che riflette la predilezione per ambienti sonori complessi attentamente ponderati. Immersione profonda di rara intensità.
22/09/2021
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