Sette sono le virtù e sette sono i vizi capitali, sette è il numero che in quasi tutte le professioni religiose ha una centralità mistica (sette sono i bracci del candelabro ebraico Menorah, shintoismo e buddismo indicano in sette gli Dei della felicità, anche i doni dello spirito santo del Cristianesimo sono sette, e altrettanti sono gli attributi di Allah, sette è il numero del sapiente e dell’eremita etc.).
Non so se “New Skin”, album numero sette del cantautore inglese, abbia una valenza spirituale parimenti importante, l’unica certezza è che i dieci delicati tratteggi poetici rappresentano un deciso passo verso nuovi fronti sonori.
Provvisto dell’unico bagaglio con il quale ha finora affrontato ogni viaggio, arte della composizione e una voce appassionante e struggente, Scott Matthews incontra le grazie dell’elettronica con fare sognante, etereo, ingenuo, incurante del potere di sopraffazione della tecnologia, affidando una delle canzoni più spensierate del suo lungo repertorio (“Wait In The Car”) alla furia dei synth, mettendo a segno l’esternazione più pop del repertorio.
Il rischio di questa svolta è quello di sporcarsi le mani cedendo alle lusinghe dell’estetica contemporanea (la title track), ma il musicista ripristina istantaneamente quella poetica in bilico tra Nick Drake e Jeff Buckley (“My Selfless Moon”), prima di celebrare il rito matrimoniale tra antico e nuovo, sconfinando nel dream-pop più stratificato e intenso (“Anniversary”), infine smarrendosi nella brume caliginosa della poetica goth-wave (“The Tide”).
Ennesima conferma delle qualità di Matthews, “New Skin” è un album destinato, nonostante il cambio d’abito, al gaudio solo di quel cospicuo nugolo di fan che permette all’autore di poter gestire la personale produzione discografica evitando qualsiasi forma di distribuzione che non sia quella della propria etichetta Shedio.
Non importa se “Morning” è una copia lo-fi del passato o che “Our Time” perda un briciolo d’intensità nel confrontarsi con l’elettronica, Scott Matthews ha mosso solo i primi passi di questa nuova direzione e fino a quando melodie come quelle di “Autopilot” e “Intruders On Earth” ne segneranno il cammino, sarà difficile rinunciare al piacevole appuntamento con le sue sempre discrete e raffinate prove discografiche.
Non importa nemmeno se qualcuno classificherà l’album numero sette del musicista inglese come interlocutorio, ammesso che qualcuno lo noti nel fragore di un mese - dicembre - dove pubblicare un disco è un suicidio commerciale.
“New Skin” non sembra soffrire la dimensione temporale, né ambire a tutte le proprietà mistiche del numero sette, anzi, indugia su un altro elemento caratteristico dello stesso, ovvero quel senso di distacco e di isolamento che apre le porte alla riflessione e alla saggezza.
31/01/2021