E’ tempo di riconoscere ad alcuni musicisti rimasti nell’ombra e nelle retrovie quelle qualità non solo artistiche, ma oserei dire dinastiche, che hanno esercitato sulle generazioni future. E’ difficile immaginare i Red Hot Chilli Peppers senza i Gang Of Four, un esempio che può essere applicato ad ambiti anche più circoscritti.
Non è un mistero che i Fontaines D.C. abbiano riconosciuto nei Whipping Boy, più che nei Joy Division e nei Cure, la fonte battesimale della loro fulminante trilogia discografica, non è altresì un mistero che il musicista americano Conor Oberst citi come ispirazione il concittadino Simon Joyner (sono entrambi di Omaha).
Pur avendo alle spalle una lunga carriera discografica, Joyner è uno di quei protagonisti della canzone d’autore che ha mancato l’appuntamento con la notorietà. E’ successo quando all’apice della creatività e comunicatività ("Yesterday Tomorrow And In Between", 1998; "Hotel Lives", 2001) Joyner ha scelto la coerenza all’adulazione del successo momentaneo, restando fedele a quell’intensità poetica che lo ha designato, al pari di Joe Henry e altri nobili outsider, come uno dei più degni eredi della tradizione di Woody Guthrie, Bob Dylan, Townes Van Zandt e Leonard Cohen.
”Songs From A Stolen Guitar” non solo conferma la vivida e cruda poetica dell’autore, ma ne esalta le qualità più spirituali, oltre a quella sagacia lirica con la quale da sempre racconta le sofferenze di un’America in perenne declino umano e sociale. Il senso di isolamento ed emarginazione che da sempre contraddistingue la musica di Simon Joyner è ancor più pregnante, colpa anche delle registrazioni effettuate in più momenti, con i contributi strumentali esterni incisi in una fase successiva alle registrazioni in solitaria dell’autore.
L’esigua cornice strumentale sottolinea con maggior vigore l’eccellente set di composizioni di questo nuovo album.
"Songs From A Stolen Guitar" è uno di quei dischi che meriterebbe altresì un’analisi dettagliata dei testi: i protagonisti delle canzoni sono personaggi sconfitti dalle avversità e dal destino, uomini e donne in preda alla solitudine, in cerca di uno spiraglio di luce, quello offerto in chiusura dall’ammaliante armonia di “Morning Light”.
Avvolgente, tenebroso, ruvido e sognante, l’ultimo set di canzoni del musicista americano è uno dei suoi più potenti e ispirati, delicatamente languido (la slide guitar di David Nance in “Caroline's Got A Secret”), amaro e grottesco (“The Stolen Guitar”) oltreché intenso e struggente (“Don't Tell Bobby I'm Through Singing These Blues”), suggellato da una delle più belle canzoni di Simon Joyner: ”Tekamah”, un brano ricco di personaggi e circostanze simili a un film, contraddistinto da intuizioni armoniche agili e fantasiose.
Inutile chiedersi se ”Songs From A Stolen Guitar” sia destinato a risollevare le fortune del musicista e poeta americano. L’unica certezza è che il talento e l’ispirazione non hanno abbandonato Simon Joyner, e quest’ultima opera è destinata ad arricchire il già cospicuo patrimonio musicale di un artista unico e credibile come pochi.
17/06/2022