"Dublin in the rain is mine, a pregnant city with a catholic mind"
Sono cinque ragazzi cresciuti sotto la pioggia di Dublino e svezzati dentro i pub della capitale irlandese; i loro nomi, a una prima lettura, sembrano potenzialmente interscambiabili. In ordine alfabetico: Carlos O'Connell suona la chitarra, Conor Curley l'altra chitarra, Conor Deegan III il basso, Grian Chatten è il poeta-cantante, Tom Coll siede dietro la batteria. Tutti appassionati di letteratura, caratterizzati da un aspetto bohemien e da un aplomb tutto nordico, approfondiscono la reciproca conoscenza durante la frequenza del BIMM, il British and Irish Modern Music Institute, un college con otto sedi sparse in Europa che ha la finalità di formare professionisti per il settore musicale. A Dublino l'istituto si trova nello storico quartiere Liberties, quello con la Cattedrale di Saint Patrick (il più grande e importante centro di culto del paese) e i sette piani del Guinness Storehouse.
Dublino nel 2017, quando i cinque iniziano a provare assieme, è in grande fermento artistico. La città pare aver digerito il crash della bolla immobiliare di qualche anno prima, ha ripreso fiducia e aspira a diventare una seria alternativa al predominio di Londra e Berlino, fra l'altro avvantaggiata (rispetto ad esempio ai paesi mediterranei) dall'avere l'inglese come lingua ufficiale. C'è una band in città che ha fatto un disco e ha dato una scossa, si chiama Girl Band, ma dentro non ci suona nessuna ragazza: il loro esordio del 2015 si intitola "Holding Hands With Jamie" e diventa rapidamente lo spirito guida per tutte le giovanissime formazioni che sperano di uscire un giorno dalle cantine per presentarsi al mondo. Nel frattempo, i ragazzi iniziano a scrivere e la prima seria concretizzazione del loro lavoro letterario è la pubblicazione di un paio di libri di poesie, "Vroom" e "Winding", il primo ispirato dai poeti della beat generation (Kerouac, Ginsberg), il secondo dai classici irlandesi (Joyce, Yeats, Kavanagh).
"My childhood was small, but I'm gonna be big"
Come molti ragazzi della loro età, i futuri Fontaines D.C. si formano ascoltando musica dei generi più disparati, aiutati dall'infinita possibilità offerta dalle piattaforme streaming, dove tutto è subito disponibile. È grazie a questo tipo di approccio se le loro composizioni, partendo da un'inequivocabile radice post-punk, potranno arricchirsi di molteplici riferimenti stilistici. I Pogues, ad esempio, o gli U2, ma anche elementi britpop, wave, alt-rock e folk. Con questo variegato mix inconsapevolmente in testa, non ci mettono molto a completare le prime canzoni originali: durante il 2017 un primo singolo è già in circolazione, si intitola "Liberty Belle", e prende il nome da un pub che i cinque frequentavano ai tempi del college. Sul lato B prende posto "Rocket To Russia", e da quel preciso istante i Fontaines D.C. possono dire di esistere ufficialmente, potendosi procacciare più facilmente le prime serate. Ancor più facilmente quando, sempre nel 2017, un secondo singolo viene distribuito, ed è quello decisivo. Si tratta di "Hurricane Laughter", un vortice chitarristico dal quale emerge un declamato in grado di sbatterti contro la parete di fronte. Qualcosa di importante sta succedendo, i ragazzi sanno scrivere molto bene e non si limitano a realizzare delle grandi canzoni, no, a supporto ci sono dei videoclip ben studiati: andate a ripescare proprio quello di "Hurricane Laughter": sembra il prodotto di una band navigata.
Anche in questo caso la canzoni diffuse sono due: sul lato B finisce "Winter In The Sun", portando a quattro le tracce al momento rese pubbliche. Intanto il preziosissimo primo anno di attività giunge a termine. Non passa neppure una settimana che, il 6 gennaio del 2018, Niall Byrne sulle colonne dell'Irish Times sparge parole al miele sulla nuova band. Poco più di un trafiletto ma molto efficace, nel quale sottolinea quanto l'accento dublinese di Grian Chatten risulti autentico e riconoscibile, una sorta di marchio d'appartenenza. Fra l'altro il ragazzo è nato sull'altra sponda del Mare d'Irlanda, a Barrow-In-Furness, giusto di fronte all'isola di Man, da madre inglese e padre irlandese, anche se di fatto si considera lui stesso irlandese d'adozione essendo cresciuto a Skerries, cittadina sul mare a pochissimi chilometri da Dublino.
Nel corso del 2018, i Fontaines D.C. continueranno a centellinare singoli determinanti: a febbraio "Chequeless Reckless", accoppiato con il primo vero inno del gruppo, "Boys In The Better Land", a novembre sarà la volta di "Too Real" e, signori, il gioco è fatto, anche perché in contemporanea arriva la firma del contratto che li legherà alla Partisan Records.
Intanto dalle parti di casa si stanno accorgendo di loro: nel 2018 il magazine londinese diymag.com dedica loro un lungo articolo, presentandoli come una delle next big thing più eccitanti, mentre per Stereogum.com sono la band da vedere dal vivo, opinione rafforzata dalla visione dell'esplosiva esibizione (la trovate integralmente su YouTube) eseguita il 14 maggio 2018 per la prestigiosa KEXP di Seattle, ambito evento che dà loro grande visibilità anche in territorio americano. Il palco diviene la dimensione nella quale il gruppo esprime tutta la propria forza, rendendo le proprie composizioni ancora più incendiarie.
"And there is no connection available"
Il 12 aprile del 2019, anticipato nelle settimane immediatamente precedenti dagli ulteriori singoli "Big" e "Roy's Tune", esce il disco d'esordio dei Fontaines D.C., Dogrel, per quasi metà una raccolta di quanto finora diffuso dalla band (anche se i brani già editi vengono ri-registrati e riarrangiati, divenendo ancor più diretti), per il resto materiale inedito altrettanto riuscito. Per chi già li stava seguendo, Dogrel rappresenta una conferma, per chi ancora non li conosce diviene una vera e propria rivelazione. La prima parola pronunciata nell'album è proprio "Dublin", a dimostrazione di un legame saldo con la terra d'origine e con la città natale. "Dublin in the rain is mine/ a pregnant city with a catholic mind": recitano così i versi che inaugurano il disco, dai quali traspare il clima uggioso, il senso di appartenenza, l'anima cattolica, ma soprattutto quel "pregnant city" che visualizza il grande fermento artistico che la sta caratterizzando, una città ricca di idee e movimenti culturali, una canzone che, letta così, diventa un vero e proprio spot promozionale per la capitale. La canzone si intitola "Big" ed esprime, oltre a quanto già detto, le ambizioni della band, dopo un'infanzia e un'adolescenza trascorse sotto casa.
All'esplosione proto-punk di "Big" segue l'omaggio ai Clash (o ai Libertines, fate voi) di "Sha Sha Sha", una nuova sferzante versione di "Too Real", l'introversione wave di "Television Screens" e quella "Hurricane Laughter" dalla potenza devastante, che contiene una delle prime frasi tormentone elaborate dalla band: "And there is no connection available". L'Irlanda e la sua capitale, specie gli scorci più dimenticati e working class, sono i luoghi dove si svolgono le scene narrate, non di rado con piglio cinematografico, oltre che profondamente poetico. La ballad "Roy's Tune", ad esempio, racconta proprio una triste storia ambientata nei bassifondi, priva di speranza, di chiaro stampo No Future, riuscendo a far percepire il gelido vento d'Irlanda in pieno volto. "Boys In The Better Land" si pone invece come avamposto critico verso la società, con un riff guizzante e un testo molto ironico. Ombrosa e mesta, Dublino torna protagonista anche nello struggente finale a tinte folk intitolato "Dublin City Sky". A completare la scaletta provvedono "The Lotts", costruita su un giro di basso decisamente à-la Cure, e le già note "Chequeless Reckless" e "Liberty Belle".
"Is it too real for ya?"
Masterizzato presso i londinesi Abbey Road Studios, Dogrel ha un suono molto ben definito, e centra in toto le ambizioni della band, sia musicali che letterarie, con i testi di Chatten che si inseriscono alla perfezione nel tessuto garage-rock perfezionato durante le prove. Dogrel è Record Of The Year per Rough Trade e per BBC Radio 6 Music, conquista una prestigiosa nomination ai Mercury Prize e finisce nei primi posti di qualsiasi chart di fine anno. Per OndaRock nel 2019 è sul podio, subito dietro Lana Del Rey e Nick Cave. Nonostante un solo disco all'attivo, sono scherzosamente considerati dai connazionali come la seconda voce dell'export irlandese, dopo la Guinness: roba da far girare la testa anche al più modesto degli artisti. Fama conquistata anche attraverso lunghi mesi consumati in tour, spesso accanto a Shame o Idles, e non soltanto in Europa, ma anche negli Stati Uniti, dove si esibiscono in una ventina di città nel maggio del 2019. Un solo album ed eccoli protagonisti assoluti della nuova scena irlandese, battendo sul filo di lana i concittadini Murder Capital. La ciliegina sulla torta è la feroce performance tenuta al Festival di Glastonbury, a fine giugno. Non sono fra gli headliner, e non lo saranno per l'ultima volta...
"Life ain't always empty"
La più grande preoccupazione di Grian Chatten, a questo punto, è essere in grado di scrivere un secondo album che possa essere quanto meno all'altezza dell'esordio. Ma qualsiasi timore viene spazzato via quando dopo pochi mesi iniziano a circolare le prime tracce di quella che sarà l'opera seconda della band, A Hero's Death, pubblicata il 31 luglio del 2020, Disco del Mese di agosto per OndaRock. Le nuove canzoni riflettono le molteplici esperienze vissute negli ultimi mesi dal gruppo, schiudendo gli orizzonti lirici verso nuove argomentazioni, sdoganandosi in parte dal pur poetico reportage cittadino per affrontare temi "globali", puntando non di rado sull'analisi psicologica e sulle sensazioni interiori. Chatten, in un'intervista rilasciata a Bbc News, sottolinea di non sentirsi più autorizzato a scrivere di una città dalla quale, di fatto, negli ultimi due anni è stato quasi sempre lontano. La sua vita, e dei compagni di ventura, non è più vuota e ripetitiva come quelle di tanti amici rimasti downtown. I ragazzi hanno acquisito notorietà, sono imitati dai "concorrenti" e idolatrati dai fan, hanno dimostrato al mondo di possedere ispirazione e talento. Molto è cambiato nelle loro vite; resta quell'accento usato come inconfutabile segno di riconoscimento, per non lasciar dubbi sulla reale provenienza geografica.
"La vita non è sempre vuota", ripete ogni volta per sei volte Grian nella title track, "A Hero's Death", una sorta di decalogo sulle cose da fare prima di subito, per evitare pentimenti futuri, un prontuario di consigli dispensati, raccomandando quella sincerità indispensabile per rendere convincente e autorevole il proprio messaggio ("When you speak, speak sincere/ And believe me friend, everyone will hear"). "A Hero's Death" è stata diffusa a maggio, in piena emergenza da Covid-19, proprio mentre tutti gli impegni concertistici, che avrebbero dovuto lanciare per direttissima i Fontaines D.C. nell'olimpo mainstream, stavano mestamente saltando, posposti all'anno successivo. Ma il nuovo disco esce, senza il timore di non poterlo promuovere in maniera adeguata: undici canzoni che si presentano più marcatamente introspettive rispetto all'impeto "barricadero" dell'esordio, ma l'impronta varia da un brano all'altro, mostrando ognuno una caratterizzazione ben precisa. Il punto di partenza resta la radice post-punk, ma al plumbeo malessere dei Joy Division, o di certi Wire, si alterna la ricerca della luce, ricorrendo tanto a ganci vagamente britpop (in "You Said" sulle chitarre Sonic Youth/Pavement si adagia un cantato impunito figlio di Gallagher, Albarn e Ashcroft) quanto all'orecchiabile disimpegno mutuato dagli Strokes ("A Hero's Death", con tanto di coretti ironici). L'eco dei traditional della terra madre si rintraccia a metà corsa, nel modern folk di "Oh Such A Spring", il momento più malinconico del lotto: fra pioggia, nuvole e lacrime, la primavera rappresenta la metafora di una giovinezza scivolata via troppo presto. Nostalgia canaglia.
"I don't wanna belong to anyone"
Chatten è un ragazzo sensibile e ha subito percepito un senso di pericolo derivante dal rapido successo acquisito. Già dalle prime frasi di "I Don't Belong", non a caso posta a inizio tracklist, Grian sembra sotto choc, mostra preoccupazione per il futuro, pretende autonomia, esprime il desiderio di non essere fagocitato dal sistema, reclama la propria incolumità, sia fisica che psicologica. Il medesimo malessere gridato da Eddie Vedder nell'epocale "Corduroy", scritta dopo aver visto una copia del proprio giubbotto esposta nella vetrina di un negozio d'abbigliamento, sentendoselo idealmente strappato di dosso come fosse stata la sua stessa pelle. Così come Vedder si chiuse in sé stesso, rinunciando a interviste e contatti col pubblico, Chatten comprende sì l'importanza dei rapporti sociali, ma mette in guardia sui potenziali pericoli provocati dal mezzo televisivo, colpevole di trasmettere un "cabaret broadwayano" nel quale tutto, gioie e dolori, del protagonista di turno viene catapultato sullo spettatore. Ne parla in "Televised Mind", che parte con un giro di basso, sul quale entrano in rapida sequenza la batteria, una chitarra in tremolo e l'altra che genera riff poderosi. Chatten non grida quasi mai, il suo storytelling appare poeticamente colloquiale anche quando si slancia in uno dei tanti slogan che ama dare in pasto al pubblico, ripetuti fino allo sfinimento. In "Love Is The Main Thing" sostiene che "l'amore è la cosa più importante", ma lo fa con una voce insensibile, depressa, consumata dalla disillusione, calpestata dall'attesa, poggiando il declamato sopra una batteria che imita il suono di un treno sui binari, come fosse la loro "Still Ill", con le chitarre che per due volte squarciano la ritmica con forza. Brano cupo, dark, volutamente "bloccato", privato dell'apertura armonica che un ritornello avrebbe garantito, costruito per sottolineare la sensazione di disagio provocata da un sentimento che si vorrebbe far decollare senza mai riuscirci per davvero. Tutto molto smithsiano.
Ed eccoci agli attesi frangenti destinati a innalzare il livello di aggressività: "A Lucid Dream", rasoiata wave eseguita con l'intento di chi vuol colpire l'ascoltatore dritto in faccia, e "I Was Not Born", nella quale vengono innestate dosi di Stooges. Ma il brano decisivo in tal senso è l'affilata "Living In America", eseguita con il medesimo passo minaccioso che rese grande "Bullet The Blue Sky", un'infuocata resa dei conti giocata su un registro vocale baritonale. Centro pieno. Il lato più "dolce" della scrittura dei Fontaines D.C. viene invece relegato in coda alla scaletta, dove prendono strategicamente posto due ballad: la prima, "Sunny", dal sapore psichedelico, la seconda, "No" che non teme di lasciar trasparire ulteriori influenze U2, richiamando in questo caso le struggenti armonie di "All I Want Is You". Quando Grian alza la tonalità cantando "You feel/ You feel" il livello emozionale sale alle stelle: è il rituale che genera un ultimo, indimenticabile brivido collettivo, incendiando l'anima. Un fuoco indimenticaìbile. La chiusura perfetta di un disco davvero convincente.
"That was the year of the sneer, now the real thing's here"
A Hero's Death viene eletto Disco dell'Anno 2020 dalla redazione di Ondarock e da diverse altre testate specializzate, e porta a casa una lunga serie di riconoscimenti, fra i quali spicca la nomination ai Grammy Awards nella categoria "Best Rock Album". Tutti i principali Festival musicali internazionali fanno a gara per inserirli nei rispettivi cartelloni, ma proprio quando sembra che i Fontaines D.C. stiano per conquistare il mondo, la pandemia rende tutto più complicato. Lockdown e restrizioni impediscono per mesi di poter suonare dal vivo, compromettendo in particolare il percorso delle band emergenti. Il quintetto ne approfitta per scrivere le canzoni che finiranno nel loro terzo album, e appena possibile, nella seconda parte del 2021, riprendono possesso del palco.
A settembre del 2021 prendono parte alla compilation I'll Be Your Mirror: A Tribute To The Velvet Underground & Nico, eseguendo una coraggiosa e convincente cover di "The Black Angel's Death Song", fra i momenti più riusciti del tributo. Il mese successivo possono finalmente concretizzare un tour di 20 concerti in 27 giorni che tocca gran parte del Regno Unito. Nel frattempo Carlos O’Connell, uno dei due chitarristi, si trasferisce a Parigi, mentre il resto della truppa trasferisce il proprio quartier generale a Londra. La “Emerald Isle” continua ad essere troppo piccola se aspiri a diventare qualcuno.
La scelta di vivere nella Old England non è mai facile per un irlandese, e i Fountaines D.C. lo raccontano dentro Skinty Fia, il terzo album, che arriva il 22 aprile 2022. Il loro primo lavoro da espatriati è un trattato sulla moderna (auto) percezione della irishness, non più osservata dall’interno (come accadeva in “Dogrel”) o mentre si spunta qualche data in giro per l’Europa (in “A Hero’s Death”), bensì dall’altra sponda del Mare d’Irlanda, continuando a sviluppare un groviglio di stili cha va ben oltre l’affollato recinto del nuovo post-punk (entro il quale più di qualcuno ha cercato di rinchiuderli), identificandosi in una formula che oramai risulta assolutamente riconoscibile. Se sei irlandese e il tuo desiderio è incidere una frase in gaelico sulla tomba di un caro estinto, rischi che la Chiesa Anglicana possa considerarlo un atto provocatorio, da terrorista: è una storia realmente accaduta a fornire l’argomento della prima traccia, un crescendo liturgico, una preghiera dal titolo impronunciabile che può essere reso in “Per sempre nei nostri cuori”. L’irlandese si integra ancora con difficoltà nel tessuto sociale inglese e non di rado viene associato alla drammatica faccenda dell’IRA. Grian Chatten scende in strada per respirare l’atmosfera londinese, ma alla fina preferisce frequentare i propri connazionali: lo confessa sulle note della rotonda “Roman Holiday”, le sue “vacanze romane” in London Town, la perfect song che in un mondo ideale stazionerebbe in heavy rotation su tutti i network radiofonici, tanto quanto l’instant classic “Jackie Down The Line”, non a caso già diventato uno dei loro brani più conosciuti.
Critiche contro gli inglesi, ma se una diaspora c’è stata, ovvio che le liriche di Skinty Fia si abbattano con forza anche sul governo irlandese, reo di non aiutare a sufficienza i propri giovani: “I Love You” è il più banale dei titoli, scelto per mascherare quella che in realtà è la canzone politica dei Fontaines D.C., che fa da contraltare a una “Bloomsday” nella quale l’addio alla città natale pesa come un macigno. E’ il frangente più cupo dell’album, fondali dark che ricordano i Cure, mentre germi di Smiths si rintracciano nell’ipnotica “How Cold Love Is”. Riferimenti che creano un corto circuito generazionale: la maggior parte del loro pubblico non è composto da coetanei, bensì da ultra trentenni che ritrovano in questi suoni quelli delle band alle quali musicalmente i cinque si ispirano. Per evitare cervellotici confronti (che abbracciano tutto lo scibile wave che va dai Fall agli Interpol, passando per i Joy Division e i concittadini Whipping Boy), il quintetto conferma la propria evoluzione, scrivendo grandi canzoni senza rispettare alcun vincolo. Si va dall’angolino istituzionale dedicato agli istinti traditional (“The Couple Across The Way” è la loro versione de “La finestra sul cortile”) all’autorevole indie-rock sorretto da un potente bordone di chitarra (“Big Shot”, unica traccia interamente scritta da O’Connell), dalla riuscita inclusione dell’elettronica nel proprio mix sonoro (la title track è il caso emblematico) al tripudio energetico espresso dalla conclusiva “Nabokov”, un tappeto shoegaze srotolato per ospitare la voce di Chatten che ibrida Gallagher e Ashcroft, un momento che piacerà a chi ha amato “Hurricane Laughter” e “Living In America”. Ma in Skinty Fia quel che prima era puro arrembaggio ora si asciuga, trasformandosi in riflessione, e va riconosciuto che non è facile suonare di meno e più piano mantenendo la medesima credibilità.
Nel corso del 2022, mentre i Fontaines D.C. ottengono un sold out dopo l’altro e sono invitati in gran parte dei Festival musicali più importanti, Grian Chatten concretizza un paio di collaborazioni di rilievo. Duetta con Kae Tempest in “I Saw Light”, contenuta nell’album The Line Is A Curve, e si unisce ai Leftfield per dare forma alle linee vocali che arricchiscono “Full Way Round”, inserita in This Is What We Do.
A inizio marzo del 2023 la band condivide “’Cello Song”, una cover che apparirà nel tributo The Endless Coloured Ways: The Songs Of Nick Drake, compilation di 25 canzoni del cantautore inglese scomparso prematuramente nel 1974 a causa di un’overdose di antidepressivi. Al tributo partecipano, fra gli altri, Ben Harper e John Grant. Si divertono anche - al gran completo - a fungere da backing band per Slowthai nell'ottima title track di UGLY, imponendo un suono chitarristico lievemente dissonante.
Mentre si trovano in tour negli Stati Uniti a supporto delle superstar Arctic Monkeys, i Fontaines D.C. a settembre 2023 pubblicano una deluxe edition di Skinty Fia. La nuova release, dotata di copertina alternativa, è intitolata Skinty Fia go deo e, oltre alla tracklist originale, contiene otto tracce aggiuntive.Sette inediti sono ripresi live: si tratta di “Big Shot”, catturata durante l’esibizione del quintetto irlandese al Festival di Glastonbury 2023, più altre sei versioni "nude" eseguite in occasione di un’emozionante session dal vivo quasi “a spina staccata”.
Oltre le autografe “Jackie Down The Line”, “Roman Holiday”, “I Love You” e “The Couple Across The Way” (gia edite nell'Ep Skinty Fia Sessions), sono state inserite le cover di “One” degli U2 e “Twinkle” dei Whipping Boy, un doppio omaggio estremamente siignificativo nei confronti di due band della loro stessa città. Chiude la selezione una versione remix di “In àr gCroìthe go deo” realizzata dai veterani dell’EDM Orbital.
La deluxe edition di Skinty Fia arriva dopo l’apprezzato esordio solista del cantante Grian Chatten, Chaos For The Fly, pubblicato a inizio maggio. Una serie di immagini sovrapposte e dai contorni indefiniti, un caleidoscopio notturno illuminato dalle luci delle attrazioni che ha per sottofondo “The Score”, lieve crescendo messo in moto da poche note di chitarra acustica, xilofono e viola, a cui si accodano gradualmente drum machine, basso e sintetizzatori. Un rischio non indifferente, inizialmente quasi una sorta di trauma, difficile da elaborare e assimilare per chi era abituato ad abbinare la voce del cantautore irlandese alle sferzate mutevoli realizzate in soli quattro anni dai Fontaines D.C.. Le pagine di Chaos For The Fly appartengono tuttavia a un diario talmente intimo e personale da aver necessitato un trattamento differente da quello che gli sarebbe stato riservato all’interno della band. Prodotto insieme a Dan Carey, presente anche in qualità di polistrumentista, il disco pone in primo piano la qualità delle liriche, mentre le sonorità, portate dalle onde che si increspavano sulle coste di Stoney Beach durante le passeggiate notturne di Chatten, intrecciano chamber-folk, frammenti di elettronica e guizzi pop-rock.
Superato il gradino dell’opener, si fa strada la riflessiva e dinoccolata semi-ballad “Last Time Every Time Forever”, che detta le linee guida delle tracce successive. Il ritmo concitato di “Fairlies” ha per protagonista un violino, efficace rimando alla musica tradizionale irlandese, che insieme alla chitarra svolazza tra una vita solitaria, giochi di parole e “bugie oneste”. Nella penombra di un elegante lounge club si materializza il piano della leggera “Bob's Casino”, nella quale la voce eterea di Georgie Jesson si alterna a più riprese a quella di Grian, la chiusura è invece incentrata sulla tromba suonata da Freddy Wordsworth. Si prosegue con i rintocchi di pianoforte dell’intima e malinconica “All Of The People”, mentre “East Coast Bed” culla l’ascoltatore con passaggi riconducibili all’elettrofolk, immersi in echi sintetici di stampo eighties. La più essenziale filastrocca “Salt Throwers Off A Truck” e la lenta “I Am So Far”, uno dei testi migliori dell’album, anricipano la chiusura affidata alla non troppo ottimista “Season For Pain”, nella quale è possibile scorgere un riff grezzo e vagamente nirvaniano sullo sfondo della seconda strofa, e una coda inaspettata e sghemba, corredata da coretti a tratti spettrali, un synth analogico Swarmatron e un piano Wurlitzer, che coprono le ultime parole dell’artista.
"Maybe Romance is a place"
Anticipato da ben quattro singoli, più un altro paio di tracce opportunamente testate dal vivo, Romance arriva a fine agosto 2024 con qualche sorpresa ancora da rivelare: le undici canzoni che vi sono racchiuse, pur vivendo di contrasti, si rivelano ben più solide e legate ai trascorsi della band di quanto gli spot promozionali potessero lasciar presagire. Chi temeva una svolta troppo “pop”, per via dei vestiti fluo e delle acconciature colorate esibite nelle immagini diffuse da diversi mesi (sul palco a Roma in giugno sembravano appena usciti da un rave), può ora sentirsi rassicurato: Romance, il quarto album dei Fontaines D.C., pur mostrando un più basso coefficiente di drammaticità rispetto al passato, conserva una determinante matrice rock (ma hanno ancora senso queste categorizzazioni?). Meno nervoso e al contempo più fruibile dei precedenti lavori, Romance non è un disco barricadero, come ad esempio doveva esserlo “Dogrel”, così denso di orgoglio irlandese, ma i collegamenti chitarristici con la storia del gruppo sono inequivocabili, in particolare nel deciso alt-rock sbandierato con fierezza in occasione di “Death Kink” e “Here’s The Thing”. Con Romance i Fontaines D,C, proseguono il personale processo di allontanamento dalla terra natia, alla costante ricerca di nuovi luoghi, nuovi riferimenti, nuove direzioni da intraprendere. Se “Skinty Fia” due anni prima spostava il punto d’osservazione dall’Irlanda a Londra, dove si trasferirono 4/5 della band (il quinto elemento finì a Parigi), Romance mette a fuoco uno zoom ancor più cosmopolita. I cinque dubliners non sono più i ragazzi con tanti sogni nel cassetto, a spasso per il Trinity College o Temple Bar: la vita in tour, le trasferte promozionali, le interviste in ogni angolo del globo li hanno resi consapevoli cittadini del mondo, e (indie)-rockstar globali.
Naturale conseguenza di tale processo è l’incremento del numero di contaminazioni riflesse nel processo di scrittura del quintetto. Se nell’iniziale title track Grian Chatten sotto una cascata di synth emula con la voce le inflessioni di Thom Yorke, la successiva “Starburster” svela inedite coloratissime architetture che trovano fonte d’ispirazione nel funk/hip-hop, raffigurando una rincorsa durante la quale Chatten trasmette la volontà di voler riprendere fiato. Se in “Sundowner” (cantata da Conor Curley) vengono introdotte centratissime atmosfere dream-pop (qualcuno ha detto Slowdive?) e in “Desire” si percepiscono echi dei primissimi Coldplay, le orchestrazioni che arricchiscono la malinconica ballad “Horseness Is The Whatness” hanno il medesimo sapore retro dei recenti Arctic Monkeys, con i quali i Fontaines D.C. hanno condiviso pochi mesi fa un tour negli Stati Uniti. Non è un caso, vista la scelta di affidarsi al produttore James Ford, in cabina di regia per “The Car” e “Tranquility Base Hotel + Casino”, i dischi che hanno sancito la svolta confidenziale della formazione di Alex Turner. Non proseguire il proficuo cammino con Dan Carey, uno dei producer più ricercati del momento, esprime in maniera chiara la ferma necessità di ideare qualcosa di diverso. I ragazzi si prendono dei rischi, calcolati, e scelgono la sfida, troncando sul nascere qualsiasi potenziale rischio di ripetersi all’infinito: una nuova identità creativa accompagnata dalla scrittura di diverse canzoni iper-melodiche, frale quali “Bug” e “Favourite”, e dal netto miglioramento delle performance canore di Chatten. In questi undici brani viene compresso tutto quello che sono oggi i Fontaines D.C., un gruppo di amici scaraventati verso il meritato successo mondiale che cercano di mantenere una solida scorza di normalità. Fra romanticismo, distopie e attacchi di panico, Romance ha l’unico difetto di non presentare una svolta davvero completa: introduce nuove ipotesi stilistiche senza sposarle completamente, evitando il pericolo che deriverebbe dalla completa rottura con il passato: nonostante il pubblico di solito non premi i progetti che restano a metà del guado, Romance ha tutte le carte in regola per diventare il più grande successo commerciale della band. Tutto sommato non dispiacerà ai fan della prima ora (che sapranno apprezzare la capacità di reinventarsi senza snaturarsi) e sarà senz’altro in grado di conquistarne di nuovi
Dogrel(Partisan, 2019) | 8,5 | |
A Hero's Death(Partisan, 2020) | 9 | |
Live At Kilmainham Gaol (live, Partissan, 2021) | 7 | |
Skinty Fia(Partisan, 2022) | 8,5 | |
Skinty Fia Sessions (Ep live, Partisan, 2023) | 7 | |
Skinty Fia go deo (Parftisan, 2023) | 8.5 | |
Romance (XL, 2024) | 7,5 | |
GRIAN CHATTEN | ||
Chaos For The Fly (Partisan, 2023) | 7 |
Liberty Belle | |
Hurricane Laughter | |
Winter In The Sun | |
Chequeless Reckless | |
Boys In The Better Land | |
Too Real | |
Big | |
Roy's Tune | |
Sha Sha Sha | |
A Hero's Death | |
I Don't Belong | |
Televised Mind | |
Jackie Down The Line | |
I Love You (da Skinty Fia, 2022) | |
Skinty Fia (da Skinty Fia, 2022) | |
Roman Holiday (da Skinty Fia, 2022) |
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