Arctic Monkeys

Tranquility Base Hotel & Casino

2018 (Domino)
rétro-rock, lounge-pop

L’avrete già letto ovunque: gli Arctic Monkeys non sono più gli stessi e ora scrivono canzoni al pianoforte. Sarebbe sciocco negare l’evidente verità su cui si basa quest’affermazione, se non fosse per il tono di rimprovero che questa porta con sé, unito al chiaro sentimento di delusione derivante da un supposto “tradimento” compiuto dalla band di Alex Turner nei confronti dei suoi stessi fan. Sono convinto che se questo “Tranquility Base Hotel & Casino” fosse uscito come album solista di Turner, tutti, fan integralisti compresi, l’avrebbero salutato come un coraggioso cambio di stile. Invece, il disco è accreditato a nome Arctic Monkeys, gli stessi dei riff di chitarra incendiari e iconici, gli stessi di “Do I Wanna Know?” e di “AM”, album che ha decuplicato la fanbase delle Scimmie di Sheffield, catapultandole in vetta allo stardom del rock mondiale. E insomma, così non va bene.

In realtà, la prima nota positiva è proprio questa: la scrollata di spalle che questo lavoro rappresenta nei confronti del disco precedente, un 
blockbuster che cinque anni fa lasciò in eredità una sovraesposizione mediatica scomoda da gestire per lo schivo frontman. Conclusasi l’esperienza Last Shadow Puppets dopo un secondo album e un tour mondiale nel 2016, in difficoltà nel cogliere nuovi stimoli creativi dalla tanto amata chitarra, Alex ha preferito ripiegare sullo Steinway Vertegrand regalatogli dal manager in occasione dei suoi trent’anni, trovando sui tasti di questo una nuova linfa compositiva. E il risultato delle nuove sessioni di scrittura e composizione, avvenute nella casa di Turner a Los Angeles, è proprio il disco che ci troviamo ad ascoltare, prodotto al solito assieme al fido James Ford. Ma com’è, quindi, “Tranquility Base Hotel & Casino”?

A scanso di equivoci, è bene sottolinearlo subito: stiamo parlando di un disco abbastanza deludente. Se le premesse erano buone e la scelta di mettersi in gioco stravolgendo i propri canoni stilistici è certamente da premiare, non lo è però il risultato, che ci consegna una band, o sarebbe meglio dire un autore, decisamente fuori fuoco. “Tranquility Base Hotel & Casino” è talmente Turner-centrico da esserne dipendente, a partire dagli arrangiamenti, tutti vicini a un blando piano-rock privo di particolari guizzi, ma finalizzato solo ad accompagnare le parole e la voce di Alex, a questo giro vagamente Bowie-ana nell’impostazione. Quest’ultima, un po’ come le trame armoniche su cui poggia, spesso si slancia in strutture che si dilungano eccessivamente, finendo con l’annoiare invece che avvolgere. Lo stesso frontman, inoltre, sembra non cantare più per il pubblico,  per se stesso, ma per il sé allo specchio: lo si riesce quasi a vedere, compiacersi delle sue pose e delle sue espressioni facciali, crooner narciso della sua vita privilegiata. I testi che intona, poi, sono deliri un po’ patetici da star incompresa, i quali, più che stimolare empatia, generano distacco e disinteresse.

L’idea alla base degli arrangiamenti sarebbe quella di ambientare queste composizioni nella Hollywood malinconica e decadente di qualche decennio fa, sulla scia, per intenderci, dei recenti lavori di Lana Del Rey e Tobias Jesso Jr. L'estetica da piano bar, la patina raffinata e la veste volutamente rétro di queste canzoni, però, appaiono piatte e stereotipate, forse anche perché sfavorite dall’essere al servizio di composizioni piuttosto modeste. L’album - fa strano scriverlo per quelli che sono i suoi protagonisti - funziona più come prodotto lounge-pop che come opera da cui lasciarsi coinvolgere e emozionare. Come musica d’accompagnamento, si fa apprezzare discretamente, ma è un po’ avvilente che una band come gli Arctic Monkeys, appartenente all'Olimpo del rock contemporaneo, sia oggi schiava dei vezzi del leader e non riesca a proporre qualcosa di più stimolante.

Dai riffoni punk’n’roll degli esordi alle vampe stoner di “Humbug”, passando per le morbidezze californiane di “Suck It And See” e in ultima istanza al muscolare hip-hop-rock di “AM”, gli album degli Arctic Monkeys hanno sempre dimostrato una qualità che in questo disco manca: la solidità, l’organicità di fondo che permetteva all’intero di superare la somma delle sue parti e soprassedere sui piccoli passi falsi in cui incappavano certe volte questi lavori. In “Tranquility Base Hotel & Casino”, invece, a salvare dalla completa delusione sono proprio i singoli episodi: il passo cadenzato e gli impasti vocali di “Four Out Of Five” non avrebbero sfigurato in “Humbug” (il loro migliore per chi vi scrive); l’elegante art-pop di “The World’s First Ever Monster Truck Front Flip” farebbe la gioia dei Grizzly Bear; i saliscendi psych-pop di “Golden Trunks” e “She Looks Like Fun” oscurano da sole tutto l’ultimo mediocre dei Last Shadow Puppets; la conclusiva e lennoniana "Ultracheese", seppur legata ad alcuni cliché melodici, è ottima come romantico congedo. Ma sono solo piccoli lampi di luce in un disco per lo più nebbioso e monocolore, un’opera composta secondo l’autoritario gusto di Alex Turner, ma che non fa che evidenziarne l’attuale confusione e carenza di idee.

In questo, davvero, gli Arctic Monkeys sembrano non essere più gli stessi, nell’aver perso la lucidità di fondo, la chiarezza alla base della loro scrittura e del loro lavoro. “Tra cinque anni la domanda sarà/ Chi diavolo sono gli Arctic Monkeys?”, cantavano le stesse Scimmie nel 2006. E cinque anni dopo, soddisfacente o meno, una risposta chiara arrivò con “Suck It And See”. Oggi, invece, alla questione non sapremmo cosa rispondere. La chiave potrebbe averla lo stesso artista che formulò la domanda, ma l’impressione è che non lo sappia nemmeno lui, e che forse, innamorato di sé e assorto nel suo mondo, non abbia nemmeno voglia di pensarci.

14/05/2018

Tracklist

  1. Star Treatment
  2. One Point Perspective
  3. American Sports
  4. Tranquility Base Hotel & Casino
  5. Golden Trunks
  6. Four Out Of Five
  7. The World's First Ever Monster Truck Front Flip
  8. Science Fiction
  9. She Looks Like Fun
  10. Batphon
  11. The Ultracheese

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