Dopo la consacrazione definitiva ottenuta con i suoi Arctic Monkeys, sembrava poco probabile che Alex Turner ripescasse un progetto vecchio di otto anni che, pur con tutto il suo fascino, aveva l'aria del side-project estemporaneo destinato a rimanere un unicum nella sua discografia. Invece, nell'attesa di un nuovo disco delle ormai gloriose "scimmie", Turner richiama a sé l'eterno amico Miles Kane, che nel frattempo ha intrapreso una dignitosa carriera solista, allo scopo di dare un seguito a quel "The Age Of The Understatement" che aveva rivelato questa speciale alchimia tra i due.
Quasi a smorzare le aspettative - massì, in fondo ci divertiamo - il titolo va subito a chiarire che no, non troveremo chissà quali rivoluzionarie composizioni, ma essenzialmente tutto ciò che già ci aspettavamo. Beh, alla prova dei fatti non è esattamente così, perché se lo spirito smargiasso da latin lover disillusi è ancora tutto lì, condito in salsa retrò come al solito, "Everything You've Come To Expect" sposta le coordinate sonore un po' più in là con gli anni, facendo largo uso di orchestrazioni (curate da Owen Pallett) non più morriconiane come nel debutto, ma vagamente soul, stile Motown anni 70.
Il songwriting si ricollega in parte alle ultime prove dei Monkeys, in particolare le ballate raffinate che facevano capolino in "Suck It And See". Se però quel lavoro, dietro a un'apparente sfacciataggine, nascondeva un cuore adolescenziale, questo nuovo disco supera ampiamente le turbolenze giovanili per esibire uno sfrontato sex-appeal ormai adulto. Ne escono fuori come novelli Style Council, laccati e brillantati, a narrare storie di cattive abitudini e perversioni.
Un vago senso di monotonia tarpa le ali all'album, che appare costretto in una bolla che gli impedisce di incidere davvero. Se brani come "Aviation", col suo intricato giro di chitarra degno di un western, o l'eterea title track, svelano un songwriting agile e originale, troppo spesso il disco si impantana su strutture poco frizzanti, se non pacchiane. Laddove gli eccessi barocchi rendevano "The Age Of The Understatement" un disco senza compromessi e affascinante, qui tutto suona un tantino affastellato senza troppa convinzione.
Resta in generale un bel sentire, perché in fondo dietro c'è pur sempre una delle migliori penne sulla piazza. Ma difficilmente "Everything You've Come To Expect", poco sorprendente sin dal titolo, verrà ricordato come una delle sue prove più riuscite.
20/04/2016