Grizzly Bear

Painted Ruins

2017 (Rca)
psych-prog-rock, art-indie-rock, pop-wave

Con questa doppia uscita Fleet Foxes/Grizzly Bear tira aria di amarcord, quest'anno: un dualismo che in realtà ha sempre avuto pochi appigli. Se non per il fatto che stiamo parlando di due band protagoniste della musica indipendente di ormai dieci anni fa: nel caso della band di Ed Droste e di Daniel Rossen, si tratta di un dato da ricordare.
Con tutto il loro apparato concettuale di approccio "arty", la loro formula suona ancora di quel periodo, quando la musica indipendente spesso "doveva" avere questo carattere freak, idiosincratico. Doveva spiazzare l'ascoltatore, fargli provare qualcosa di esotico, imbottirlo di suoni e deviazioni: ma è pur vero che, se l'unico obiettivo è quello di essere "diversi", il risultato è facile quanto illusorio. In questo senso fa quasi sorridere ritrovare le stesse caratteristiche oggi, e nonostante l'estetica (sempre un po' blandamente) avanguardistica della band di Brooklyn, "Painted Ruins" suona prima di tutto un po' datato.

La scrittura dei Grizzly Bear ha ancora quel carattere sfuggente e prettamente "indie", nel senso deteriore del termine (appunto di qualcuno che vede la melodia come fumo negli occhi), e insieme a questa ci si mette un sound che ondeggia tra il superato (certi numeri new new wave come "Mourning Sound" fuori tempo massimo anche a fine Duemila) e il manierato (la lounge un po' svogliata di "Systole", l'elettronica cavernosa e tritissima di "Three Rings").
Si sostiene, il disco, grazie al tono generale a colori caldi, lontanamente jazzato ("Aquarian", una delle migliori, insieme appunto all'iniziale "Wasted Acres"), che sembra promettere più di quello che in realtà c'è (una maturità ancora ben lontana), come nel gioco di veli di "Four Cypresses", o nel noioso chamber-folk-rock di "Glass Hillside", con questa onnipresente (e spesso banale) sezione ritmica che dà la misura del finto avanguardismo del disco (al massimo un placido rip-off dei Radiohead sotto questo aspetto). In realtà, più che un essenziale intento idealistico, su "Painted Ruins" regnano pesanti tendenze barocche ("Neighbors", la più Pecknold-iana del disco, la ponderosa e grezzamente tempestosa "Sky Took Hold").

Probabilmente un disco che sposterà poco nella carriera dei Grizzly Bear: chi continuerà a vederli come geni affabulatori, cantori dello spaesamento e della confusione, chi invece continuerà a non essere convinto dalla sostanza più intima delle loro canzoni.

31/08/2017

Tracklist

  1. Wasted Acres
  2. Mourning Sound
  3. Four Cypresses
  4. Three Rings
  5. Losing All Sense
  6. Aquarian
  7. Cut-Out
  8. Glass Hillside
  9. Neighbors
  10. Systole
  11. Sky Took Hold

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