Per questo i Grizzly Bear hanno aspettato ben tre anni dal fortunatissimo "Veckatimest" per ripresentarsi, forti del nome e di due o tre grandi individualità; una delle quali, il chitarrista e seconda voce Daniel Rossen, ha sentito il bisogno di pubblicare un Ep solista, consapevole del fatto che si trattasse di materiale del tutto inadatto a un disco della propria band.
Canzoni riconoscibili, un'attitudine così direttamente cantautorale: orrore! Per i Grizzly Bear ci voleva ben altro. Ma cos'è questo "altro"? Francamente, è difficile capirlo: l'accattivante trama dei suoni forse, sempre così smagliante, con lo squillante strumming di Rossen, i suoi riff arabescanti, il soffuso accompagnamento sintetico che si appaia ai rintocchi sui tamburi (lo stesso Rossen pare esser ricorso, per questo disco, alla sua passione per i Talk Talk, si veda "What's Wrong" su tutte), ormai più percussivi che batteristici, lo scandire teatrale della voce di Droste; una perenne allusione, insomma, a qualcosa di celato nascosto - a malignare, a niente.
Qualcosa illude: di "Sleeping Ute", l'affaccendarsi intorno a questa idea di pirotecnia chitarristica, un caleidoscopio di sensazioni sempre diverse e sempre uguali, interrotte poi in una nuova coreografia psych-folk; della bella, epica "Yet Again" - l'unica, probabilmente, nella quale l'evocazione non è solo gioco di prestigio, e che più si avvicina, per una volta, ai Fleet Foxes, non solo formalmente... che esista, in un disco che, ancora più di "Veckatimest", si fa sfuggente e, spesso, assai povero dal punto di vista melodico.
Dalle movenze hip-hop di "Gun-Shy" alle capriole bowiane di "A Simple Answer", ma anche alla più folkeggiante "Speak In Rounds", poco può suscitare emozione, all'infuori del frammentato ed estemporaneo affastellarsi di suoni, una vuota scenografia, dopo tutto.
Un'opera senza trama e, in fondo, neanche così sorprendente se presa come sconnesso susseguirsi d'impressioni.
(07/09/2012)