Costituitisi come The Murder Capital nel 2018, James McGovern (voce), Damien Tuit (chitarra), Cathal Roper (chitarra), Gabriel Pascal Blake (basso) e Diarmuid Brennan (batteria) provengono ciascuno da una zona diversa d'Irlanda, si sono però conosciuti in quella fertile Dublino che negli ultimi anni ha dato i natali a numerose band di rock alternativo, dalle Pillow Queens ai Gilla Band e, ovviamente, ai Fontaines D.C..
Sicuramente afferenti al filone di quel nuovo post-punk affermatosi a partire dalla seconda metà degli anni 10 del nuovo millennio (Idles, Shame, almeno in parte i succitati Fontaines D.C.), i Murder Capital ne rappresentano però l'ala più romantica, dark e sofferta, che a verbosi assalti politici preferisce poetiche riflessioni su morte e fraternità, paura e guarigione.
I nuovi Fontaines D.C., si è scritto a destra e a manca quando nel 2019 i Murder Capital hanno fatto capolino nella scena alternative rock. Come se i Fontaines D.C. non fossero a loro volta "nuovi", come non avessero anch'essi rilasciato un primo full length soltanto quell'anno. Come questi ultimi non fossero stati chiamati a loro volta gli Idles d'Irlanda. Si trattava dunque di una brutale semplificazione critica, che non solo risultava fallace nell'introdurre una nuova, interessante band, ma che al contempo sminuiva lo spessore di una scena vera e propria, sempre più folta e rilevante come quella del post-punk seduto a cavallo tra gli ultimi due decenni.
I due nomi tirati in ballo fanno però comunque comodo per tracciare qualche coordinata onde collocare When I Have Fears, il primo Lp della band del giovane James McGovern. L'accento dublinese ricorda certamente quello di Grian dei Fontaines D.C., mentre lo stile chitarristico meno melodico e variegato degli altri dublinesi, e dunque secco e aggressivo, riporta alla band di Bristol.
Tolte staffilate punk dal declamato tonante da novello Joe Talbot, come "More Is Less", "For Everything" e "Feeling Fades", che si sono guadagnate qualche apparizione nelle compilation dedicate alla scena, i Murder Capital adattano i canoni bellicosi del genere ai propri gusti, aggiungendo peraltro vistosi orpelli dark - un basso cavernoso e tarantolato à-la Peter Hook e decadenti apparizioni di archi (il canto di balena che apre il disco, il lento spegnersi di "Slowdance II").
Si tratta di una cifra estetica inevitabile, dati i continui riferimenti alla morte che aleggiano in ogni scorcio dei versi. Sin dal proprio nome, l'opera dei dublinesi è segnata dal suicidio di un amico comune (certamente "Green & Blue", ma riferimenti meno espliciti alla tragedia sono rintracciabili quasi in ogni brano), così come "Don't Cling To Life" è stata scritta in seguito alla prematura dipartita della madre di un membro, avvenuta proprio durante le registrazioni. È in questa canzone che McGovern sputa la sentenza più dura ed esistenzialista dell'opera, "There's Nothing On The Other Side", per poi riabbracciare la speranza nel tempestoso finale intitolato "Love, Love, Love".
Numerosi rispetto alle abitudini della scena, sono i momenti riflessivi che i Murder Capital si concedono, riempendo i già plumbei scenari di ulteriore spleen. Le succitate "Slowdance I" e "Slowdance II", che comunque sfociano in finali laceranti e melodrammatici, ma soprattutto la decadente "On Twisted Ground" e "How The Streets Adore Me Now", ballata mogia e nebbiosa, borbottata da una voce di fumo e velluto, errando al lume di vecchie lanterne vittoriane.
Certo è che il gran mestiere del produttore Flood (uno che del post-punk ha prodotto capolavori di ogni epoca) abbia avuto un impatto fondamentale sul suono di When I Have Fears, questo risulta però comunque solido e personale, specie per degli esordienti. Cinque dubliners incazzosi e cupi che con il loro esordio hanno dimostrato quanto bene sappiano suonare. Nei momenti di dolore come in quelli di guerra.
Prima che il secondo album veda la luce passano quasi quattro anni. I Murder Capital si concentrano sulla ricerca di un nuovo sound per far funzionare qualcosa di differente dalla solita comfort zone in cui schizzavano riff, creando così una rinnovata alchimia e un inedito equilibrio tra la tessitura, gli arrangiamenti e la presenza esuberante del loro carismatico frontman. Un comportamento in linea con una band chiaramente più riflessiva e umbratile della media del nuovo post-punk, che ci rimanda a tanti aspetti della fase di passaggio degli Editors tra l'esordio "The Back Room" (Kitchenware, 2005) e "An End Has a Start" (Kitchenware, 2007).
Altrettanto lirici e tesi tra le parole, il ritmo del verso e la vertigine del significato di ciascuna parola, i Murder Capital provano a cambiare direzione sedando la foga e le distorsioni dell'esordio verso atmosfere electro-psichedeliche e andamenti obliqui. Già dai primi singoli, rilasciati tutti nel finale del 2022, sono stati ben chiari non solo il parziale cambio di rotta del sound, ma anche una sterzata in termini di mood. Se When I Have Fears era pervaso da oscurità e cattivi presagi sul tema della morte, che di quei tempi aveva fatto diverse volte capolino nella vita della band, Gigi's Recovery (2023) ci anticipa sin dal titolo che questa volta, pur non mancando le ombre, è la guarigione con il suo lume di rinnovamento il centro del discorso, che porta con sé il superamento dell'isolamento.
La guarigione, nuovo inizio per antonomasia, non può che passare per un rinnovamento stilistico. Le scatarrate al vetriolo dei Fall, principale trait d'union della nuova scena post-punk e comunque presenti nel primo disco dei Nostri, sono qui svanite. McGovern e i suoi sono ormai dediti quasi completamente all'introspezione, che si riflette in trame sonore più delicate che in passato, a tratti evanescenti.
Se due dei quattro singoli che hanno anticipato l'album, l'innodica "Return My Head" e la sgolata e solare "Only Good Things", ricordano i ritornelli a presa rapida dei concittadini Fontaines D.C., proprio non si può dire lo stesso del resto del lotto, basato su composizioni ed evoluzioni meno immediate e più raffinate, come "The Stars Will Leave Their Stage".
Il lavoro effettuato sulle chitarre dal duo formato da Damien Tuit e Cathal Roper è sorprendente e conferisce incredibile profondità allo spettro emozionale messo in campo dalle liriche di McGovern fin dall'opener "Existence". In "Crying" le chitarre sembrano come cigolare, lugubremente immerse nella nebbia, trascinando al limite dell'intonazione anche la voce, come nella dark ballad dalle sfumature elettroniche "Belonging", mentre in brani più liberatori come "The Lies Become The Self" e "A Thousand Lives" prima crollano in un lamento strozzato e poi brillano come schegge di vetro sotto i colpi degli assoli. È poi la title track a focalizzarci di nuovo sul grande lavoro fatto dalla sezione ritmica, nell'episodio più fermamente e lucidamente struggente dell'album, che rappresenta uno dei maggiori frutti della maturità compositiva ma anche emotiva della band.
Ci vuole tempo a entrare in Gigi's Recovery, bisogna superare tante emozioni così come tutte le incertezze di un percorso che si presenta nudo nel suo farsi suono e canzone in modo tutt'altro che imperativo o assertivo, come in "We Had To Disappear", ma tratteggiando una strada inesplorata e personale che recupera anche il rock inglese degli anni 90, come in "The Lie Becomes The Self", brano sospeso tra i Pink Floyd e i Radiohead che sarebbe stato impossibile immaginare all'interno dell'album precedente.
When I Have Fears(Human Season, 2019) | 7,5 | |
Gigi's Recovery (Human Season, 2022) | 7,5 |
Green And Blue | |
Don't Cling To Life | |
Return My Head |
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