I won't stop 'til I'm in a coma
Slowthai non si ferma: rispetto all’esordio “Nothing Great About Britain” (2019) ha già dimostrato di potersi rivolgere verso un pubblico più trasversale di quello dell’Uk-hip-hop, come ascoltato su “Tyron” (2021). Questo terzo “UGLY” (sigla di “U Gotta Love Yourself”) spariglia le carte iniettando post-punk e indie-rock nella sua energica miscela hip-hop. Più che l’album di un rapper, suona come l’esordio di un'inedita band post-punk contaminata con il rap contemporaneo e l'elettronica.
L’apertura è una botta di adrenalina intitolata “Yum”, la trasposizione sonora di un attacco di rabbia e disperazione che ricorda le abluzioni nell’abisso dei Nine Inch Nails più oscuri, compresi i ritmi meccanici e le scorie noise. Non solo è un’opener estremamente intensa, ma ha la capacità di portarci nella mente iperattiva del rapper, soffocato dalle droghe e dall’agitazione fino al lacerante urlo finale.
Il resto dell’album, essendo impossibile mantenere un tale livello d’intensità, declina queste emozioni torcibudella in battiti ossessivi e rallentamenti angoscianti (“Selfish”, con un’inquietante sirena e altre bave di rumore), oppure stemperando l’irrequietezza in un dance-punk che finge solo l’allegria (“Sooner”), sottilmente tragico anche quando ripete all’infinito “I feel so good” (“Feel Good”, con Shygirl) o accrocca un finto inno alla felicità (“Happy”, che ripete sconsolata “I would give everything for a smile”).
Tutto questo avviene senza, comunque, che la tensione possa davvero dirsi dispersa: “Fuck It Puppet”, a metà scaletta, mette in scena le lacerazioni interiori dei disturbi psicologici con una feroce mancanza di eufemismi; “Falling” trova il suo senso nello scorticarsi dell’anima in urla laceranti, più che nel suo incedere post-punk; “Torniquet” è un’assordante e sognante preghiera cantata in lacrime.
Ritornano anche parentesi meno agitate, come il lo-fi di “Never Again”, trasformato in una confessione emotiva su beat frenetico sullo stile di The Streets, ma è soprattutto quando violenza e disperazione si fondono, nella sinfonia rumorosa della title track, che si arriva a una sintesi commovente. Il brano, ispirato al conflitto tra Russia e Ucraina, potrebbe diventare un inno di questi anni post-Covid con il suo carico di malinconia e amarezza (“All this trauma in the name of a medal”).
“UGLY” descrive una disperata necessità di amarsi, un bisogno di superare i traumi e il dolore per liberarsi. La soluzione, suggerisce “25% Club”, una canzone d’amore con battito elettronico e carillon di chitarre che ricorda i Magnetic Fields, è farlo insieme:
We both have to break like porcelain plates
But I got some glue so we can rebuild
Aiutano anche Taylor Skye dei Jockstrap, Jacob Bugden dei Beabadoobee e i Fontaines D.C. ma “UGLY” è un grande traguardo da attribuire a slowthai. Un notevole 89/100 di Metacritic, unito a un (momentaneo) primo posto anche negli album del 2023 su Rate Your Music, certificano l’entusiasmo condiviso da critica e pubblico. Pur con le evidenti citazioni della tradizione post-punk e indie-rock, “UGLY” è intenso e unico, profondamente commovente e violentemente sincero: tanto basta a farne, già da adesso, uno degli album dell’anno.
10/03/2023