Prologo: Life ain't always empty
Sono trascorsi appena due anni e mezzo da quando Niall Byrne, il 6 gennaio del 2018, sulle colonne dell'Irish Times spargeva parole al miele su una band irlandese che aveva all'epoca realizzato giusto qualche traccia "esplorativa", ma di qualità così stupefacente da colpire l'attenzione di critica e pubblico locali. Era poco più di un trafiletto, nel quale si faceva notare quanto nel primo singolo del giovanissimo quintetto, "Liberty Belle" (dal nome di un pub frequentato da studenti), l'accento da dubliner di Grian Chatten risultasse autentico e riconoscibile. L'acclamatissimo "Dogrel", l'album d'esordio dei Fontaines D.C., pubblicato oltre un anno più tardi, nell'aprile del 2019, veniva inaugurato pronunciando proprio la parola "Dublin", a dimostrazione di un legame saldo con la terra d'origine e con la città natale. Oggi i Fontaines D.C., nonostante un solo disco all'attivo, sono scherzosamente considerati dai connazionali come la seconda voce dell'export irlandese, subito dopo i prodotti del brand Guinness: roba da far girare la testa anche al più modesto degli artisti.
Pubblicata dopo un lungo tour (nel maggio 2019 la band ha vivisezionato gli States), l'opera seconda riflette le molteplici esperienze vissute negli ultimi mesi, schiudendo gli orizzonti lirici verso nuove argomentazioni, sdoganandosi in parte dal pur poetico reportage cittadino per affrontare temi "globali", puntando non di rado sull'analisi psicologica e sulle sensazioni interiori. Grian Chatten, il poeta-cantante del gruppo, in una recente intervista rilasciata a Bbc News, ha sottolineato di non sentirsi più autorizzato a scrivere di una città dalla quale, di fatto, negli ultimi due anni è stato quasi sempre lontano. La sua vita, e dei compagni di ventura, non è più vuota e ripetitiva come quelle di tanti amici rimasti downtown. I ragazzi hanno acquisito notorietà, sono imitati dai "concorrenti" e idolatrati dai fan, hanno dimostrato al mondo di possedere ispirazione e talento. Molto è cambiato nelle loro vite; resta quell'accento usato come inconfutabile segno di riconoscimento, per non lasciar dubbi sulla reale provenienza geografica.
Inside: I don't wanna belong to anyone
"La vita non è sempre vuota", ripete ogni volta per sei volte Grian nella title track, "A Hero's Death", una sorta di decalogo sulle cose da fare prima di subito, per evitare pentimenti futuri, un prontuario di consigli dispensati raccomandando quella sincerità indispensabile per rendere convincente e autorevole il proprio messaggio ("When you speak, speak sincere/ And believe me friend, everyone will hear"). "A Hero's Death" è stata diffusa lo scorso maggio, in piena emergenza da Covid-19, proprio mentre tutti gli impegni concertistici, che avrebbero dovuto lanciare per direttissima i Fontaines D.C. nell'olimpo mainstream, stavano mestamente saltando, posposti all'anno successivo. Subito dopo la pubblicazione di "Dogrel" i ragazzi avevano comunque fatto in tempo a ritagliarsi un ruolo di primissimo piano nel sottobosco indipendente, improvvisi protagonisti di una scena artistica dublinese forse mai così florida, tanto da valere alla città il titolo di "pregnant city" (in "Big", il pezzo che ci introduceva in "Dogrel").
Ma Chatten è un ragazzo sensibile, lo si capisce già soltanto osservando i videoclip del gruppo, e ha subito percepito un senso di pericolo derivante dal rapido successo. Già dalle prime frasi di "I Don't Belong", non a caso posta a inizio tracklist, Grian sembra sotto choc, mostra preoccupazione per il futuro, pretende autonomia, esprime il desiderio di non essere fagocitato dal sistema, reclama la propria incolumità, sia fisica che psicologica. Il medesimo malessere gridato da Eddie Vedder nell'epocale "Corduroy", scritta dopo aver visto una copia del proprio giubbotto esposta nella vetrina di un negozio d'abbigliamento, sentendoselo idealmente strappato di dosso come fosse stata la sua stessa pelle.
Così come Vedder si chiuse in sé stesso, rinunciando a interviste e contatti col pubblico, Chatten comprende sì l'importanza dei rapporti sociali, ma mette in guardia sui potenziali pericoli provocati dal mezzo televisivo, colpevole di trasmettere un "cabaret broadwayano" nel quale tutto, gioie e dolori, del protagonista di turno viene catapultato sullo spettatore. Ne parla in "Televised Mind", che parte con un giro di basso, sul quale entrano in rapida sequenza la batteria, una chitarra in tremolo e l'altra che genera riff poderosi. Chatten non grida quasi mai, il suo storytelling appare poeticamente colloquiale anche quando si slancia in uno dei tanti slogan che ama dare in pasto al pubblico, ripetuti fino allo sfinimento. In "Love Is The Main Thing" sostiene che "l'amore è la cosa più importante", ma lo fa con una voce insensibile, depressa, consumata dalla disillusione, calpestata dall'attesa, poggiando il declamato sopra una batteria che imita il suono di un treno sui binari, come fosse la loro "Still Ill", con le chitarre che per due volte squarciano la ritmica con forza. Brano cupo, dark, volutamente "bloccato", privato dell'apertura armonica che un ritornello avrebbe garantito, costruito per sottolineare la sensazione di disagio provocata da un sentimento che si vorrebbe far decollare senza mai riuscirci per davvero. Tutto molto smithsiano.
Outside: Living In America
Quelle chitarre. Era da un po' che nel circuito indipendente non rintracciavamo una coppia di chitarre tanto eccitante, con incastri e sovrapposizioni studiati ad arte per esaltarne il dinamismo, rifrazione delle molteplici influenze derivanti dagli ascolti accumulati dal quintetto. Le nuove undici canzoni dei Fontaines D.C. si presentano più marcatamente introspettive rispetto all'impeto "barricadero" del precedente lavoro, ma l'impronta varia da un brano all'altro, con una caratterizzazione ben precisa per ognuno. Il punto di partenza resta la radice post-punk, ma al plumbeo malessere dei Joy Division, o di certi Wire, si alterna la ricerca della luce, ricorrendo tanto a ganci vagamente britpop (in "You Said" sulle chitarre Sonic Youth/Pavement si adagia un cantato impunito figlio di Gallagher, Albarn e Ashcroft) quanto all'orecchiabile disimpegno mutuato dagli Strokes ("A Hero's Death", con tanto di coretti ironici).
L'eco dei traditional della terra madre si rintraccia a metà corsa, nel modern folk di "Oh Such A Spring", il momento più malinconico del lotto: fra pioggia, nuvole e lacrime, la primavera rappresenta la metafora di una giovinezza scivolata via troppo presto. Nostalgia canaglia.
Ed eccoci agli attesi frangenti destinati a innalzare il livello di aggressività: "A Lucid Dream", rasoiata wave eseguita con l'intento di chi vuol colpire l'ascoltatore dritto in faccia, e "I Was Not Born", nella quale vengono innestate dosi di Stooges. Ma il brano decisivo in tal senso è l'affilata "Living In America", eseguita con il medesimo passo minaccioso che rese grande "Bullet The Blue Sky", un'infuocata resa dei conti giocata su un registro vocale baritonale. Centro pieno.
Il lato più "dolce" della scrittura dei Fontaines D.C. viene invece relegato in coda alla scaletta, dove prendono strategicamente posto due ballad: la prima, "Sunny", dal sapore psichedelico, la seconda, "No" che non teme di lasciar trasparire ulteriori influenze U2, richiamando in questo caso le struggenti armonie di "All I Want Is You". Quando Grian alza la tonalità cantando "You feel/ You feel" il livello emozionale sale alle stelle: è il rituale che genera un ultimo, indimenticabile brivido collettivo, incendiando l'anima. Un fuoco indimenticabile. La chiusura perfetta di un disco ultra-convincente. E considerato quanto i cinque siano esplosivi nella trasposizione live, sarebbe un peccato imperdonabile non riuscire a vederli sopra un palco fin quando potranno continuare a esibirsi per pochi intimi in piccoli club: con le premesse fin qui messe in sequenza, presto avranno bisogno di arene molto più capienti.
Epilogo: That was the year of the sneer, now the real thing's here
Non sono molte le guitar band che oggi possano vantarsi di aver raggiunto e consolidato, nello spazio di così poche canzoni, una personalità tanto definita. I Fontaines D.C. hanno saputo costruire in brevissimo tempo un suono che li fa assomigliare soltanto a sé stessi, sottraendosi a qualsiasi confronto, e senza il rischio di essere confusi con formazioni presenti o passate. Le inevitabili prossimità stilistiche vengono citate solo per semplificare i riferimenti: in realtà, il quintetto è già lui stesso un nuovo termine di paragone per band che iniziano a cimentarsi in ambiti stilisticamente affini. Un risultato straordinario, realizzato bruciando le tappe e architettando un formidabile equilibrio fra vecchio e nuovo, fra tradizione e contemporaneità, fra "rock" e "pop", restando "garage" pur riuscendo a suonare "per tutti", costruendo un sontuoso racconto per immagini, nel quale ogni musicista ha l'opportunità di ritagliarsi lo spazio che merita e desidera, senza egoismi: basti notare, ad esempio, come le prime tre tracce inizino ognuna con un diverso strumento in evidenza.
E poi c'è questo ragazzo, dotato di una scrittura, di una voce e di un viso perfetti per diventare una stella, proprio ora che si percepisce un gran bisogno di nuovi eroi in grado di illuminare il palcoscenico di certo rock meno allineato. Alternativo e intellettuale, con un faccino pulito e rassicurante, sembra davvero il personaggio giusto al momento giusto. Come sottolinea nell'ultimo verso di "A Hero's Death" (la canzone), dopo tante chiacchiere e sogghigni, ora il nuovo disco è qui, pronto per essere giudicato, amato, sbeffeggiato. Un lavoro che, così come "Dogrel", è certamente destinato a restare. Un lavoro dal valore fortemente simbolico, nel quale il coraggio e la sfrontatezza della gioventù vengono uniti a una visione già matura.
Li abbiamo visti sbocciare, ora li stiamo osservando crescere: impossibile prescindere da un album come questo per chiunque intenderà analizzare il 2020 in musica. Fra quarant'anni vogliamo immaginarli ancora lì, a sbandierare il vessillo irlandese sotto la pioggia. Con Grian Chatten che racconterà come un giorno raccolse lo scettro che un tempo fu di Bono Vox.
01/08/2020