La teatralità è uno di quegli aspetti che ad Alex Turner e soci non è mai mancato. Smessi i panni da common guys di Sheffield con taglio beatlesiano e tuta, gli Arctic Monkeys hanno iniziato una serie di trasformazioni camaleontiche, includendo dei tocchi vintage, specchio dei generi musicali introdotti album dopo album. “The Car”, settimo disco in carriera per le Scimmie Artiche, colpisce per l'immancabile aspetto cinematografico fin dalla copertina, scatto del batterista Matt Helders, che raffigura una solitaria auto bianca in lontananza, parcheggiata su un tetto a Los Angeles. Ispirata principalmente alle opere di William Eggleston, padre della fotografia artistica a colori, l'immagine è perfetta nelle linee al punto da sembrare un diorama, ricostruzione di ambienti solitamente protagonisti di una branca della staged photography, nella quale il fotografo è anche burattinaio dell'intera scena (basti pensare ai panorami cittadini silenziosi e surreali di Frank Kunert).
Grazie agli scatti condivisi con Turner, il gruppo è giunto alla stesura del brano “The Car”, fissando un punto di partenza per sviluppare il resto dell’opera. La svolta lounge di “Tranquillity Base Hotel & Casino” aveva lasciato l'amaro in bocca a chi di opere come “AM” e “Whatever People Say I Am...” ha fatto un vero e proprio culto, e acceso contemporaneamente l’interesse in chi invece non aveva mai considerato la band prima di allora. Il quartetto va oltre la science fiction permeata di psichedelia dello scorso episodio e torna sulla Terra con suoni più chiari e definiti, accompagnati dagli immancabili giochi linguistici dai doppi/tripli significati contenuti nei testi, peccando in qualche caso di autoreferenzialità eccessiva, tra storie d’amore e riferimenti all’ispirazione musicale e al mondo del music biz.
Le influenze principali in materia di sonorità oscillano tra le avanguardie di Japan e del David Sylvian solista, alcune incursioni tra funk e soul à-la David Bowie e l’art-rock di “Imperial Bedroom”, su una base di pop sofisticato che rimanda a Blue Nile e Prefab Sprout.
A dettare il passo del disco sono il pop orchestrale degli archi sinuosi e del piano di “There'd Better Be A Mirrorball”, e il ritmo funky seventies e i cori di “I Ain't Quite Where I Think I Am”, ma a catalizzare su di sé buona parte delle attenzioni è l'irresistibile slow ballad “Body Paint”. Sebbene all'inizio possa suscitare perplessità (fino a creare una sorta di dipendenza ascolto dopo ascolto, anche se probabilmente può essere un fatto soggettivo e non una regola fissa), è possibile ritrovarvi un filo conduttore con il passato del gruppo, riconducendola ad un'evoluzione della più adolescenziale “Love Is A Laserquest” nell’andamento e di “Dance Little Liar” nelle liriche, a riprova del fatto che la direzione intrapresa dal quartetto possa essere considerata coerente.
Presentano gli aspetti tipici di una colonna sonora le atmosfere ambientose tra Sylvian e Brian Eno di “Sculptures Of Anything Goes”, retta da synth e drum machine, e quelle della jazzata “Jet Skis On The Moat”. Sorprende la venatura glam-rock conferita dall’assolo di chitarra di “The Car”, inaugurando la seconda metà del percorso dove le sonorità tendono ad appiattirsi un po’, tenendo fede a quelle già proposte nei brani precedenti ed esponendo il lato debole dell’opera, l’unico a fronte di scrittura e arrangiamenti quasi perfetti, ovvero la leggera monotonia di Turner nel ruolo di crooner. “Big Ideas” punta nuovamente su sinfonie orchestrali con guitar riff nel finale, mentre “Hello You” si colloca tra funk e soul, concludendo con gli arpeggi fingerstyle di “Mr Schwartz” e gli archi dal tocco beatlesiano in stile “The Long And Winding Road” di “Perfect Sense”.
Più deciso del suo predecessore, “The Car” segna la svolta decisiva nel processo di maturità degli Arctic Monkeys, ben differente forse da ciò che ci saremmo aspettati anni fa, ma che tutto sommato, dopo ripetuti ascolti e un’attenta analisi, rientra nel processo naturale della band (derive turner-centriche, più o meno apprezzate, comprese), lontano dalle dinamiche della discografia odierna che forse vorrebbe immortalare i Nostri nelle vesti di eterni ragazzi, ancora sulla cresta dell'onda indie-garage.
27/10/2022