Ho sempre avuto timore reverenziale per i nomi di alcune band inglesi che negli anni 80 rappresentavano la scena elettronica post-punk di Sheffield. Per me Cabaret Voltaire era un nome da maneggiare con cura, evocava oscurità e rumore. Ma Clock Dva ancora di più: un nome preso da “Arancia Meccanica” che rappresentava il mistero della musica elettronica in cerca di un punto di contatto tra uomo e macchina, partendo dai Kraftwerk e arrivando alle orecchie di ascoltatori esterrefatti grazie all’estetica del primigenio industrial dei Throbbing Gristle. Adi Newton ha sempre percorso queste strade sonore, dall’esordio del 1980 con “White Souls In Black Suits” in poi. Troppo profondo l’oceano in cui i Clock Dva mi chiedevano di immergermi, ero nella mia sbornia electro-pop e mi attraevano i suoni dei “colleghi” Human League. Me negli anni il loro messaggio, incursione dopo incursione, ha fatto a poco a poco breccia.
Clock Dva è infatti entità disturbante che appare improvvisamente per svegliare le coscienze e suonare la musica che connette il nostro corticale con la sostanza limbica, per non dimenticare che abbiamo diritto di pensare e provare emozioni anche nell’era dell’intelligenza artificiale. E anche se la loro musica è prodotto di macchine, il loro suono è essenza umana: battiti, pulsazioni, respiri, connessioni neuronali.
Non a caso, in un momento in cui la parola apocalisse appare spesso nelle dichiarazioni dei politici senza scrupoli, il progetto Clock Dva riprende vigore e Adi (voce ed elettronica) accompagnato da TeZ Maurizio Martinucci (elettronica, campionamenti e strumenti a fiato) e Gabriel Edvy (visuals) fa uscire per Mute Song il nuovo album “Noesis”, in versione su vinile, cd e box a tiratura limitata. Un album che ci avverte che la tecno-negatività va contrastata con l’utilizzo del pensiero, unico strumento che ci salverà dall’apocalisse.
Le danze, nella versione su cd, si aprono con le ritmiche techno industrial di “Acceleration”: la voce ci accusa di aver cambiato troppo rapidamente e che nessun cambiamento superficiale rimarrà nel tempo, mentre inquietanti pulsazioni di basso sintetico provocano scossoni neuronali in cerca di allineamento con un accenno di melodia, come a rendere meno spiazzante il suono della contemporaneità. Le frequenze basse dominano anche l’oscura “The Engines Of Intimidation”, in cui il cantato è compresso in una cappa di sofferenza. La linea melodica alleggerisce solo un po' un brano che ha il potere di rendere palpabili le tante forme di intimidazione tecnologica presenti nella società odierna. Solo verso la fine si apre a note sinfoniche che arrivano per consolare gli animi.
“The Simulacra” è lenta e fatta di strati di suoni che prendono il sopravvento su scarne tessiture di synth, creando un’atmosfera di attesa che prepara a incursioni rumoristiche di kraftwerkiana attitudine. “Time Is A Flat Circle” è ambient oscuro, in cui i rumori metallici preparano a qualcosa di inatteso e danno a poco a poco spazio a tesi sequencer circolari. Avvolgente e ossessivo, è un brano che connette con lo spirito della Terra e non a caso le note di sitar si confondono col suono delle viscere del nostro pianeta mentre cori pagani ondeggiano in cerca di direzione. In “Syndrome” le pulsazioni metronomiche scavano nel profondo, provocando scosse telluriche favorite dal beat scarno, mentre la voce invita a svegliarci e uscire dalle mille sindromi che ci ammorbano. Ascoltare un brano come questo fa capire ancora meglio quanto la lezione Clock Dva sia stata appresa da artisti come Chris Liebing.
L’eco di “Noesis” sarà prevedibilmente minima, nell’era delle playlist e della musica che gira intorno senza depositarsi nel nostro inconscio. È musica per esploratori, per chi vuole ogni tanto uscire dai loop della tecnologia che intontisce e disumanizza per abbandonarsi alla tecnologia che, guidata dagli umani, diventa emozione, poesia, vibrazione.
(02/03/2023)