Artista surreale e fuori dagli schemi, Gruff Rhys ha dato prova del suo talento in precedenza con i Super Furry Animals, una delle band più bizzarre e creative del panorama britpop (tanto da meritare l'appellativo di "Blur gallesi"), poi con una carriera solista sempre interessante anche nelle prove apparentemente meno a fuoco, come "Pang!" del 2019. A dare impulso alla sua vena creativa è la composizione della colonna sonora di "The Almond And The Sea", film indipendente di taglio drammatico, seconda soundtrack dopo quella misconosciuta di "Set Fire To The Stars" di sette anni fa per il musicista gallese, a dimostrazione di un estro imprevedibile e visionario.
L'incipit con violoncello ripreso da Bach farebbe presagire un'opera prettamente strumentale, ma lungo questo "The Almond And The Seahorse" abbondano le canzoni (raggiungendo quasi la metà delle ventitré tracce) che si assestano su un art-pop in cui prevalgono gli strumenti a tastiera, con piano e synth a intrecciarsi in volute minimali ("The Brain And The Body", in cui dialoghi del film vengono usati in funzione spoken word), sull'onda del Brian Eno autore pop con le suggestioni oblique e vagamente orientaleggianti di "People Are Pissed" ad altezza "Taking Tiger Mountain (By Strategy)".
Rhys utilizza registri ludici nel synth-pop dal sound "giocattoloso" di "Layer Upon Layer" e vivaci nell'uptempo folk jazzato di "Sunshine And Laughter Ever After", procurando, pur senza riferimenti diretti, nostalgia dei SFA, alternandoli a squarci lirici à-la Peter Gabriel (i cori malinconici di "Orea"), successivamente gigioneggia come un dandy sardonico nell'elegante chamber-pop di "I Want My Old Life Back", ma raggiunge lo zenit con il pezzo scelto come singolo apripista, "Amen": partenza in sordina con piano e voce a emozioni trattenute, per poi esplodere in un refrain degno dei capolavori melodici del primo Elton John, subito disciolto in morbidezze Brian Wilson, una delle canzoni da ricordare dell'anno in corso in ambito pop, vertice di romanticismo sapientemente smentito dall'ironica canzone di non amore "Liberate Me From The Love Songs", degna della penna sapiente di Stephin Merritt.
Se l'ispirazione di Rhys, da tempo assurto all'aristocrazia del pop britannico, brilla nel formato canzone, nelle composizioni strumentali va a corrente alternata, tra discreti intermezzi classicheggianti più brevi e altri fin troppo allungati: a tratti commuove la luce diafana che filtra tra le filigrane acustiche di "Library To Kiss", mentre si rischia di rimane fin troppo abbacinati dai bagliori finali e affogare nel liquido amniotico ambientale dalle tracce conclusive (precedenti a un'altra versione di "Amen") eccessivamente estese, peccato non veniale che inficia un'opera resa in parte eccessiva e magniloquente, che con maggiore misura avrebbe ambito ai vertici della produzione solista del gallese, pur restando, al netto dei difetti, tra quelle complessivamente apprezzabili a dispetto dell'accoglienza fin troppo tiepida di buona parte della critica.
28/06/2023