Una radicata e consapevole concezione dell'arte ravviva il percorso artistico di Damon Waitkus e della band Jack O' The Clock. La formazione prog-rock americana è in verità uno dei più grossi enigmi della scena musicale contemporanea: dall'esordio del 2009 ad oggi ha pubblicato un buon numero di album dalle insolite e originali connotazioni di stile, restando preda di un oblio critico che non rende merito alla lodevole qualità della sua produzione.
L'eclettismo creativo di Damon Waitkus ha radici nella lunga storia del musicista americano, affascinato sin da bambino dal pianoforte e dalla chitarra Martin del padre, che però approccerà solo all'età di dodici anni, in seguito stimolato dal suono di strumenti insoliti come il dulcimer a martello, l'arpa, la melodica e ciotole di metallo. A marchiare a fuoco la personalità artistica di Waitkus sono forme colte di musica (Bach e Debussy su tutti), l'avant-prog di Art Zoyd, Univers Zero, Aksak Maboul e la genialità degli Henry Cow e di Fred Frith. Non è infatti un caso che nella formazione attuale dei Jack O' The Clock siano presenti due membri del Fred Frith Trio: il bassista Jason Hoopes e il batterista Jordan Glenn.
"The Warm, Dark Circus" giunge dopo il breve rapporto con la Cuneiform ed è stato realizzato in completa autonomia. Una scelta che ha permesso alla band di poter curare ogni aspetto del suo album, a partire dalla splendida copertina, rielaborata con l'ausilio dell'AI e avente come oggetto una famosa xilografia di Albrect Dürer (1494-1528) raffigurante un rinoceronte, animale che il famoso pittore e incisore tedesco non conobbe mai e che raffigurò egregiamente con il solo ausilio dell'immaginazione. Immaginazione, elemento chiave di un disco che ancora una volta stravolge le regole di stile, introducendo il viaggio sonoro con un banjo e una decisa virata verso elaborate soluzioni prog-rock dal passo greve e colto, in un brano che affronta il tema del suicidio come possibile fuga dai debiti e dalle sofferenze.
L'irruenza del breve blues microtonale "Division Blues" (2 minuti e 21 secondi) è un concentrato di genio e sregolatezza che mette a fuoco l'estrema compattezza e autorevolezza della band. Un riff di fagotto, il riverbero del piano e le vellutate grazie del flauto accompagnano una delle performance vocali più stravolgenti del disco, "Stuck Inside Of Elvis", tra ritmi sincopati, cori alla Beach Boys e geometrie a metà strada tra John Zorn e Frank Zappa.
Dopo tanta grazia, i tredici minuti di "Dürer's Rhinoceros" suonano come una minaccia: niente paura, Damon Waitkus sfodera le armi di seduzione più allettanti, la forza narrativa dei testi che mette insieme storie e giochi di parole al limite dell'impressionismo pittorico, l'alternarsi di momenti ricchi di pathos, emozioni e sgomento e il flusso di elaborate sonorità elaborate di archi, fretless bass e manipolazioni elettroniche raggiungono vertici creativi desueti, che ridestano l'abile folk-prog dei Gentle Giant e le avventurose trame del terzo e quarto album di Peter Gabriel, la tenebrosa e minacciosa pausa a metà corsa è foriera di ulteriori cambi armonici, con Damon che si rifugia in anfratti sempre più cupi, in preda a dubbi e incognite sulle sorti dell'umanità al cospetto dell'Intelligenza Artificiale.
La bellezza della breve "This Is Just What It Seems", ballata acoustic-folk condivisa con la voce di Thea Kelly e ricca di avvicendamenti strumentali di pregiata fattura, crea per un attimo un'oasi in cui la riflessione assume toni delicati, prima che il caos prenda il sopravvento. Annunciato da un'atmosfera spettrale, "How Are We Doing..." estrae dal cappello magico dei Jack O' The Clock una muscolosa struttura a base di batteria elettronica, percussioni e ritmi in forma libera, accordi di chitarra psichedelica, arpeggi sotterranei, flauti, violini e piano; il brano si evolve poi verso forme di jazz-rock e spigolose melodie che più di altre evocano lo spettro degli Henry Cow, accompagnando intelligenti riflessioni sul rapporto tra tecnologia, natura e spiritualità.
Le asperità di "How Are We Doing..." sono in parte stemperate da quello che può essere considerato il degno seguito "...And Who Will Tell Us": mellotron e chitarre acustiche in stile Genesis era Gabriel creano un tappeto delicato e musicalmente complesso, con Damon Waitkins pronto a prendere le redini del brano introducendo liquid piano, riverberi chitarristici e una svolta rock a base di frammenti percussivi, strappi sonori e sequenze strumentali atonali e microtonali, che pian piano si dissolve e lascia spazio a melodie evanescenti e informi.
Nei tre minuti e trenta secondi dell'ultima traccia "Snowman On A Ledge", Waitkins dà libero sfogo alla passione per il dulcimer a martello, mentre la voce di Thea Kelly si adagia delicatamente sulle note, dosando elegantemente passione e immaginazione, quest'ultima autentica protagonista di uno dei dischi più intensi dell'anno appena trascorso, purtroppo l'ennesimo grande capitolo discografico di una grande band destinata a un dorato oblio.
13/01/2024