Enoshima, una piccola isola 50 chilometri a sud-ovest di Tokyo, un'etichetta indipendente, la Guruguru Brain con doppia sede, Tokyo e Amsterdam, tre giovani musicisti provenienti dalle comunità marittime circostanti l'isola - Ryota Takano, Tsutomu Sonoda e Shoei Iked – un nome ricavato non dalla ricca tradizione ma da un neologismo associato a uno stato onirico-visivo in cui l'immaginazione prevale sulla realtà, ambientazioni folk e psichedeliche tanto essenziali quanto misteriose: la magia dell'esordio dei Maya Ongaku è racchiusa tutta qui. "Approach To Anima" è il disco che tutti aspettavamo per coronare il già ricco parterre di delizie sonore dell'anno in corso, con un album da tirar fuori al momento opportuno, ovvero quando dopo aver mostrato tutti i preziosi vinili colorati limited edition più chiacchierati del momento, l'ospite più insidioso della comitiva inizia a sorridere con arcigna benevolenza quasi a voler dire: tutto qui?
Scherzi a parte, l'esordio del trio giapponese è una delizia da sorseggiare con calma e dedizione, un gioiellino di meditazione ed esoterismo musicale dalle profonde radici culturali, nonché ricco di interessanti connessioni emotive.
Il primo approccio, "Approach" appunto, è scandito da avvolgenti e dolci percussioni, il suono di un gong, il tono suadente del flauto, il canto degli uccelli e una una vibrazione cosmic-jazz affidata al suono di un sax.
L'album dei Maya Ongaku è un viaggio fantastico in un universo sonoro parallelo: voci, chitarre, strumenti tradizionali e percussioni si fasciano di suoni gentili che sembrano generati dalla nebbia, le melodie scorrono su trame folk-psych incantevoli ("Nuska"), mentre lisergiche jam session offrono spazio a dettagli e improvvisazioni dall'ipnotico e suggestivo fluire ("Description Of A Certain Sound").
C'è perfino spazio per una più agile melodia da affidare al chiarore della luna, una canzoncina folk-jazz dal ritmo esotico e dalle vezzose sonorità ,"Melting", che Tsutomu Sonoda canta con irresistibile grazia e disincanto.
Bastano pochi elementi al trio giapponese per mettere in piedi canzoni melodicamente memorabili: solo un tocco di chitarra acustica, un cantato gentile, il passo felpato delle percussioni (djembe, rain stick, shake), il suono di un vibrafono e altri esotismi. Pochi, semplici elementi che inebriano l'estatica purezza di "Something In Morning Rain".
Un breve interludio, "Rakusui", anticipa il vero capolavoro dell'album, "Water Dreams", undici minuti di intensa ed eterea meditazione, dove riecheggia il bisbiglio del vento, il filtrare della sole tra i canneti e le vecchie travi di legno di un casolare, e gocce di rugiada che si confondono con lo scorrere di un ruscello; apparentemente lontano, il suono del sax stimola l'immaginazione e un flebile canto, contornato da poche note di chitarra acustica; realtà e sogno si fondono in un magico cullare di note dall'intenso fascino onirico, scandito da un pulsare che evoca la fase fetale, mentre il sax riconnette mente e corpo con la natura.
Compito non facile è infine affidato a "Pillow Song", deliziosa ninna nanna che offre un ruolo più deciso al pianoforte, ridestando con calma e grazia l'ascoltatore in preda a un'autentica estasi: il suono della puntina che gracchia piacevolmente sul finale è solo l'ultimo tassello di uno dei dischi psych-folk più incantevoli degli ultimi tempi.
11/08/2023