Swans

The Beggar

2023 (Young God)
avant-rock, gothic

Circa diciotto mesi fa un Michael Gira segnato in modo indelebile dai due anni della pandemia che gli era costata il tour di “Leaving Meaning" con Ben Frost e Anna von Hausswolff, annunciava la pubblicazione di “The Beggar”. Un annuncio stanco e per certi versi preoccupante, di un Gira provato dalla stanchezza e dalla delusione di due anni di assenza forzata dal palco, che "sentiva" che quello sarebbe stato il suo ultimo album. E’ un fatto quanto gli Swans abbiano segnato la musica rock post-2000 come avevano già fatto negli anni 80 e 90. La loro trilogia "monster" di “The Seer” (2012), “To Be Kind” (2014) e “The Glowing Man” (2016), con le tre monumentali title track, ha segnato gli ultimi dieci anni più profondamente di ogni altra band con oltre quaranta anni di carriera, smarcandosi dal frequente cliché di dinosauri in costante autocelebrazione.

 

Michael Gira è forse l'unica leggenda del rock (magari insieme a Nick Cave) che di certo non diventerà mai un dinosauro: la sua musica resterà sempre contemporanea, eternamente attuale, figlia dei suoi tempi, mai autocelebrativa. In questo tragitto davvero poderoso, “Leaving Meaning” ha rappresentato un cambio di rotta verso sonorità più acustiche, con l’addio del chitarrista Norman Westberg che aveva contribuito in modo decisivo allo sviluppo di quel sound così potente. “The Beggar” prosegue quel percorso, ancora una volta con la pressoché totale assenza della chitarra elettrica (ma con due lap steel guitar), accentuando l'aspetto di guru profetico di Gira, il quale mette al centro sé stesso (i continui riferimenti a Michael) e riflette sulla vita e sulla morte, nonché sulla fine del proprio percorso personale e artistico, presumibilmente giunto al suo ultimo colpo di coda.

Sono tanti i presentimenti, da “Michael Is Done” ("Michael è finito") - quasi un addio a tutto (“Quando Michael se ne sarà andato, ne verrà un altro”) - a “Unforming” (“Presto scomparirò, chi se ne frega e chissà dove sono stato o andrò”), alla tristissima ballata folk di “No More Of This”, clamorosamente melodica per essere un brano degli Swans. E’ il testamento finale di Gira, che saluta tutto e tutti, dai suoi figli alla vita stessa, e che affronta la morte come “assenza di rabbia e di paura” (“Non ci sarà un nuovo giorno luminoso e splendente, nessun domani, nessuna strada aperta, ora è il momento di andarsene finalmente”). E immaginando di non esserci più, spera nell'esistenza di un dio ("Prego il cielo che tu esista in una nuvola di nebbia curativa che permea il tuo essere più profondo"). Forse il momento più toccante di tutta la sua carriera, insieme a “The Helpless Child”.

Il parassita di “The Parasite” è dunque la vecchiaia che pervade il corpo di ogni uomo e se ne impadronisce passo dopo passo, lasciando come unica possibilità la resa totale. L’imponenza - sempre presente nonostante l’assenza dei vecchi muri di suono - diventa ipnotica e malinconica. Il finale di “Ebbing”, con basso, tastiere e chitarra acustica, evoca scenari kraut tra Popol Vuh e Neu!, mentre “Los Angeles: City Of Death” (appena tre minuti) è una nuova riflessione sulla morte e sulla malattia (“Crescendo in un polmone, eccola che arriva, eccola che arriva”).

Ma il brano più atteso è “The Beggar Lover (Three)”, capace di superare in durata tutti i brani degli Swans, anche quelli battezzati nel corso degli anni come monster, che impallidiscono di fronte ai suoi quarantatré minuti. Inizio di synth solenne, che dal vivo raggiunge i consueti volumi altissimi, parlato di Jennifer Gira (figlia di Michael), percussioni e poi una lunghissima composizione che potrebbe definirsi come una suite dark che va dalle citazioni di “The Seer” a l’ipnotica parentesi strumentale dal minuto 12 al minuto 24, che accelera sempre più verso il finale, per chiudersi al minuto 22 con un coro femminile ripetitivo. Improvvisamente suoni industrial con vocalizzi senza apparente significato anticipano la voce di Saoirse Gira (seconda figlia di Michael) per dare il via a un nuovo strumentale dal minuto 27 al 35. Le percussioni diventano imperiose e aprono al canto di Gira che arriva solo negli otto minuti finali. Ormai la voce del leader si fa sempre più eterea, come il suo corpo non ha più consistenza fisica ma è spirito che vaga (“Posso vederlo ma non vederlo, posso sentirlo ma non trattenerlo, posso toccarlo ma non trattenerlo”), in un ultimo straziante addio.

 

Una chiusura del cerchio, forse la chiusura di una carriera unica. Ovviamente, la speranza è che tutto ciò non avvenga, ma se così fosse, la musica di Michael Gira di certo non abbandonerebbe le nostre vite.

01/07/2023

Tracklist

  1. The Parasite
  2. Paradise Is Mine
  3. Los Angeles: City Of Death
  4. Michael Is Done
  5. Unforming
  6. The Beggar
  7. No More Of This
  8. Ebbing
  9. Why Can't I Have What I Want Any Time That I Want?
  10. The Beggar Lover (Three)
  11. The Memorious




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