Se volete essere tutto non dovete tentare di diventare qualcosa
Il principe nero è tornato. Valerio Zecchini a Bologna è come il Folagra di
Fantozzi: guai a intrattenersi troppo in sua compagnia, la compromissione è dietro l'angolo. Sarà. Con la sottoscritta ha sempre azzeccato toni, argomenti e pronomi: me lo faccio bastare.
Liquidato come un provocatore di mezza tacca (definizione che lo gonfierebbe d'orgoglio), Zecchini è invero un polemista sulla scorta di Jonathan Swift o Karl Kraus, una stentorea voce di dileggio più che dissenso, acerrimo sbeffeggiatore di un Occidente la cui decadenza lo strega e avvince. Seguace pedissequo della dottrina
Zappa-
McLaren, ben conscio della necessità di non prendersi sul serio, ha eretto un'agguerrita speculazione multimediale sul credo "post-contemporaneo", con tanto di gadget e motti da I Ching nichilista: aforismi
prêt-à-porter come "Vivere è una vergogna" o "Se il destino è contro di noi, peggio per lui" hanno spopolato nei salotti virtuali che contano.
Spezzata la cattività malese che lo ha a lungo relegato nell'ombra ("Come rimpiango la solitudine mistica della vita nei grattacieli", sospira nondimeno), ha sassolini negli anfibi da lapidarci mezza Europa. In questo ennesimo breviario d'assalto, il più organico declamato finora, non bada a spese: si proclama "supremo sciamano della letteratura da ballo e da combattimento" e nel titolo occhieggia ai frappè post-ideologici di Ernst Jünger e Guillaume Faye.
A supportarlo, i sodali di prammatica (l'elettronica
Arab Strap-iana di Luca Oleastri, i
treatment esotici di Roberto Passuti, le lacerazioni in picchiata del caduto
Dario Parisini, a cui l'album è dedicato) ma anche qualche armigero fresco di reclutamento (l'incalzante violoncello di Antonello Manzo nella sonata futurista "Avamposto"). Completano il pacchetto quattro polaroid d'autore, a conferma di uno slancio da artista totale.
In repertorio qualche vecchio
anthem, a volte stravolto (lo straniante
maquillage dungeon synth di "Heimat", "Le vostre putride esistenze non valgono una cicca" e la sua sporca psichedelia in odor di
Screaming Trees), a volte intonso ("
Bob Marley era una brutta persona", salmo post-contemporaneo
par excellence).
A ghermire sono però le nuove, venefiche invettive, sorrette da un lessico musicale mai così ricco: "La giornata di un nevrastenico" trapianta Dino Campana in un acquatico ethno-jazz, tra
sample enigmatici e organo alla
Bad Seeds; "Nostalgia unghiuta di Kuala Lumpur", proposta in due versioni, è dance-punk da
coitus interruptus, che infierisce sul cadavere dei Doobie Brothers; "Paseo por el lado salvaje en Barcelona '92" sguazza in un'opalescente new age. Più canonicamente "zecchiniani", invece, il
post-rock di "Palingenesi tardiva" e l'Ebm di "Pellegrini dell'innocenza".
Estrapolare un verso piuttosto che un altro farebbe torto al resto del poema, ma dovendo proprio scegliere, è difficile schiodarsi di dosso quei "pellicani agonizzanti rinvenuti nel bagno turco della palestra sotto casa tua".
Fustigatore di costumi con le dita incrociate dietro la schiena e la lingua premuta contro la guancia, Zecchini rimane tra i brontoloni più fini e temibili. Quanto ai sospettosi detrattori, non sanno cosa si perdono.
E le majorette della maggioranza silenziosa cantavano in coro: 'Ognuno ha quel che si merita!'
30/09/2024