Dopo sedici anni di silenzio, tornano i Sunset Rubdown. La band è nata nel 2005 come valvola di sfogo per la strabordante creatività del Wolf Parade Spencer Krug. A questo progetto ne seguono altri più introspettivi, come Moonface, e la decisione definitiva del rocker canadese di mettersi in proprio, per dare inizio alla sua carriera di solista, che attualmente è giunta al terzo album.
Sembrava, quindi, che l'avventura dei Sunset Rubdown avesse concluso il suo ciclo vitale dopo tre album, culminati con l'ottimo "Dragonslayer" del 2009. A quel punto la svolta solista era diventata la priorità dell'indiscutibile leader della band. Ma non tenevamo conto della sua imprevedibilità, che gli ha fa scattare la voglia di rimettere insieme dopo sedici anni gli antichi compagni di viaggio.
Tutti hanno risposto "presente", tranne il chitarrista Michael Doerksen, ma la band ha preso la coraggiosa decisione di non sostituirlo. Il sound, molto legato al lavoro della chitarra elettrica, ne risente e risulta dirottato su tastiere e piano, quindi i Sunset Rubdown tornano sì, ma in netta discontinuità con il loro passato.
Le affinità più evidenti sono con i dischi da solista di Krug e, addirittura, nei brani trainati da piano e voce si percepisce una certa vicinanza ai Moonface.
La malinconia è l'elemento più presente e crea un certo distacco con la produzione dei Rubdown: vengono a mancare dinamismo e brillantezza, mentre si guadagna in profondità.
La ballata per chitarra acustica e synth lunari ("Losing Light") sa essere toccante e carica di chiaroscuri, è toccante anche il duetto a due voci con Camilla Wynne ("All Alright") che trasmette la fatica di sopravvivere alla consapevolezza di un amore corroso dal tempo, i crescendo ("Snowball") riescono a scuotere con potenza e drammaticità, e quando si decide di spingere sull'acceleratore dell'immediatezza ("Reappearing Rat"), si arriva a centrare il bersaglio.
Qualche volta le cose non vanno per il verso giusto e i brani si trasformano in caotiche marcette su ritmi vagamente kraut, condite da melodie esotiche ("Ghoulish Hearts") oppure le tastiere troppo acide rimangono un po’indigeste ("Candles"). Nello sviluppo di "Always Happy To Explode", sembra prendere più corpo la presenza di Krug e meno l'apporto della band. E nella tripletta finale la voce profonda del cantautore di Vancouver regala i momenti migliori.
"Cliché Town" è ariosa e disperata, "Worm" ha la forza marziale del sostegno dei suoi synth solenni che si riflettono tra gli alberi brillanti di David Sylvian e la Berlino di David Bowie, e "Fable Killer" è un piano e voce che soffoca per autocommiserazione mentre delizia per intensità.
With youAnche se il bilancio del ritorno dei Sunset Rubdown sembra, tutto sommato, positivo, è difficile da consigliare l'ascolto a chi spera di ritrovare la band degli anni 2000. Le caratteristiche sono cambiate, mancano la totale imprevedibilità e il nervosismo di quella band, e il leader sembra aver omologato il loro suono attuale a quello della sua produzione da solista. Ma, come anticipa il titolo, "Always Happy To Explode", i Sunset Rubdown sono sempre felici di esplodere, anche se cambiano le modalità. Tutto cambia, si sa, e non bisogna farsi prendere troppo dalla nostalgia.
I cut the fable down the center
And kill the heart
By not allowing it to remember
06/10/2024