Un café affollato, voci in arabo e in francese, sul tavolo un bicchiere di tè alla menta fumante, tutt'intorno odore di tabacco e cucina levantina: così immagino l'atmosfera di un locale libanese a metà anni 60, con un pizzico di esotismo che mi si potrà perdonare. Un'atmosfera non troppo dissimile da quella di un bistrot parigino, tra intellettuali e poeti, quotidiani e taccuini, risate e improperi.
Nel giro di pochi anni, la Svizzera del Medio Oriente era diventata un modello di stabilità per tutta la regione. Merito delle sue floride banche, certo, ma anche di una cultura vibrante e "occidentale": un Iran senza lo Scià, praticamente. Il peggio sembrava alle spalle: gli attriti con Israele, l'arrivo in massa dei profughi palestinesi, la sventata crisi del '58. Anche la precaria convivenza religiosa tra sciiti, drusi e maroniti pareva miracolosamente in equilibrio.
Accendendo la radio, non sarebbe stato inconsueto imbattersi in un'orchestra tanto ricca da sfondare gli speaker e una voce tanto languida da schiantare il cuore: trattasi dei fratelli Assi & Mansour Rahbani, compositori/drammaturghi che hanno fatto grande il paese dei cedri, e di Fairuz, regina della musica araba nonché moglie del primo. Troncato il sodalizio artistico e umano con il marito, la Divina trovò una nuova spalla nel non meno talentuoso figlio Ziad.
Mago degli arrangiamenti, Rahbani jr. si è subito distinto come un visionario con i piedi a Beirut e la testa tra jazz, funk, musical e chissà cos'altro. Amato dagli appassionati e odiato dalle autorità, il poliedrico figlio d'arte non ha mai rinnegato un costante impegno sul fronte dell'estrema sinistra, accreditandosi tra i fari dell'intellighenzia militante mediorientale.
Se la fama lo ha baciato grazie ai lavori al fianco della madre (d'obbligo menzionare almeno il capolavoro del '79 "Wahdon"), Ziad si è fatto valere anche come talent scout (un nome su tutti, il progger e compagno di lotte Issam Hajali) e compositore per cinema e teatro. "Amrak Seedna & Abtal Wa Harameyahnon", datato 1987 e uscito solo in Libano per la mitica etichetta Relax-In, accorpa le colonne sonore di due commedie di Antoine Kerbaj e attesta mirabilmente il suo febbrile eclettismo.
Consolidata la sinergia tra jazz-fusion e musica locale, ma senza dimenticare la lezione di Kurt Weill, si saltella tra temi e stacchi che toccano anche tango ("Tango”, per l'appunto) e honky tonk ("Kabbaret Dancing"), accontentano i palati arabi più refrattari ("Al Piano") e non si fanno scrupoli a citare John Barry ("Al Muqadenah") e Bach ("Al Adala"). Cotanto bendidio (che in realtà occuperà solo mezz'ora del vostro tempo) ce lo regala la parigina WEWANTSOUNDS, che ristampa album senza paletti stilistici o geografici purché "difficili da trovare" - e anche solo per questo ci rimane parecchio simpatica.
Com'è proseguita e come sta proseguendo l'Odissea libanese, purtroppo, lo sappiamo. Senza sottrarci alle nostre responsabilità morali, ci consoliamo con la fantasia di un fuoriclasse a prova di passaporto, sognando il sapore di quella tazza di tè alla menta.
04/12/2024