“Lifetime”, o per dirla in un'altra maniera, “il senso di Erika de Casier per gli anni Novanta”. Non che l'autrice danese non abbia abbondantemente lasciato intendere che la sua arte guardi con assoluto rispetto a un decennio magico per le sorti della musica pop, nell'offrirsi però con un'estetica che guarda e rinnova i fasti del periodo a cavallo tra i due millenni, il tocco nineties è finora rimasto più in tralice, come un caro fratello da cui trarre forza e ispirazione. Dopo un biennio piuttosto frenetico, in cui è emersa anche una prepotente voce da hitmaker (ne parlavamo in occasione di “Get Up” delle NewJeans), un album come “Lifetime” parla di un necessario ritorno a casa, di una riscoperta delle proprie origini, quelle che in un modo o nell'altro ti trascini dietro volente o nolente.
Una vita intera per l'appunto, condensata in un disco totalmente e fieramente autoprodotto, tanto breve quanto dritto al punto, in cui l'r&b che da sempre guida le intenzioni della musicista qui si immerge nel mare magnum dell'universo downtempo, giocando con un taglio atmosferico che dirige le operazioni in pieno controllo. Dove “Still” lasciava intravedere qualche cedimento, qui la materia aggregante è sufficiente a consolidare una traiettoria artistica tanto singolare quanto sottilmente influente.
La produzione, in tal senso, svetta su ogni altro aspetto del disco: già impattante ai tempi di “Essentials”, qui tramuta l'r&b di partenza in materia liquida, plasma duttile da manipolare e foggiare a proprio piacimento. Se in passato erano gli spunti lounge o certe inconsuete derive barocche a rappresentare l'agente contaminante, qui la palla passa a una nebulosa rarefatta che non teme di guardare anche all'ambient ma piuttosto preferisce osservare da vicino la vecchia cara Bristol (impossibile non rilevare tanto dei migliori Massive Attack nei rallentamenti mirati di “Two Thieves”) oppure trarre ascolto dalla maturità di Sade (c'è tutto il meglio di “Love Deluxe” nel lento scandire di “December”, con tanto di contributi di flauto che vanno appresso ai primi Enigma).
Quando poi subentrano beat più marcati, è lì che il talento di de Casier sprigiona tutto il suo potere: tra i pad ostinati di “Seasons” emergono pattern taglienti che lasciano pensare a una sorta di ibrido tra Janet Jackson e la misconosciuta quanto formidabile Gaelle, “The Chase” gioca con costrutti più hip-hop e un parco timbri più diversificato, tale da renderla uno dei momenti più avvincenti nel repertorio dell'artista.
Mancano forse le spallate melodiche che hanno reso memorabili i primi due album (la title track conclusiva una delle rare eccezioni a tal riguardo), eppure nella concezione a flusso unico sottesa alla realizzazione di “Lifetime” si evidenzia un carattere concettuale che ancora mancava nel percorso di de Casier, una poetica della suggestione che trova una sponda perfetta nell'assetto atmosferico del disco. You can call her delusional, come recita nel pezzo posto a metà scaletta, eppure il tocco della musicista danese esprime una sottigliezza che anche senza particolari appigli sa esercitare tutto il suo peso.
30/05/2025