Dopo cinque anni di assenza, le tre sorelle Haim - Danielle, Alana ed Este - tornano con il loro quarto album in dodici anni: "I Quit" può sembrare come una dichiarazione d'intenti negativa, una resa incondizionata, un farsi crollare le braccia. E forse lo è, ma da questa resa scaturisce - come dalle migliori delusioni - una poesia musicale ispirata che fluisce libera e spontanea in questa tracklist sentimentale di 15 canzoni che pur guardando a suoni dei tempi andati risultano comunque fresche, accattivanti e trascinanti.
Il carattere dominante dell'album è quello di un solido folk-rock anni 70 in cui lo stile cantautoriale delle Haim si accompagna a decisi accompagnamenti ritmici pensati per rendere le canzoni energiche ma con eleganza. Dietro c'è Rostam Batmanglij - già collaboratore del trio nel disco precedente, "Women In Music Pt. III", e che conferma ancora una volta di essersi portato via con sé la parte migliore del sound dei Vampire Weekend. Peccato per la band di NYC, meglio per le sisters losangeline.
Nei vari brani le tre sorelle - affidandosi spesso alla voce di Danielle, leader de facto del gruppo, in primis - riflettono sulle varie sfaccettature nelle storie d'amore di oggi. Lo hanno in un certo qual modo sempre fatto, fin dal primo album uscito nel 2013; ma qui ritrovano una malinconia e un senso di impotenza che trasudano meno sarcasmo e incitano di più alla comprensione reciproca tra i sessi, nella riscoperta di un certo romanticismo d'altri tempi - pur se con qualche "fuck" qua e là - che sembra davvero cantato per tutti.
Musicalmente, il disco è potente e variopinto. L'intrigante introduzione di "Gone", un crescendo in stile anni 70, costruisce un'intensa atmosfera soft-rock e si riallaccia a quella che è sempre stata definita l'influenza principe delle tre sorelle: i Fleetwood Mac. E vista l'impronta rancorosa delle liriche, sarebbe una traccia che si potrebbe tranquillamente inserire in un album come "Rumours". In direzione diversa va invece "Relationships", già una delle tracce più popolari del 2025, con un soul cadenzato che ricorda alcune delle cose più classiche di Beyoncé - o di Solange, meglio ancora.
L'incoraggiante e nostalgica "Take Me Back" è un country con cantato "rap" - parlato, sarebbe meglio dire - dall'accento molto "southern", ma riporta anche ad alcune delle cose che a Jack Antonoff piace tanto fare con i suoi Bleachers, specie nell'arrangiamento molto "festaiolo". E tra un sitar ("Love You Right"), un'armonica a bocca alla Dylan e un banjo ("The Farm") c'è spazio anche per il rock distorto con wall of sound di "Lucky Stars", arrivando fino al veloce esperimento semi-elettronico con ritmi jungle di "Million Years" - tra i cui autori figura, attenzione, Justin Vernon.
"Everybody's Trying To Figure Me Out" è già un altro classico moderno, un pop-rock nel quale si possono sentire bene le tre sorelle armonizzare, e in cui il drumming acceso e concitato sembra davvero affidato a un Mick Fleetwood. "Spinning" è invece l'unico pezzo che sembra riportarci in pieno territorio indie pop anni 10, con più spazio per le tastiere e più attenzione al ritmo, meno all'atmosfera e alla poesia. E ragguardevole, infine, è l'interessante test di "Now It's Time", tutta costruita su un ben evidente sample di "Numb" degli U2.
L'impressione, per questo quarto album delle Haim, è che le tre siano più sicure di quello che vogliono e di quale sia il loro posto nel panorama musicale contemporaneo. La riscoperta dei suoni di un'altra era inseriti in un insieme dalla cornice moderna segnala la volontà di fare musica ambiziosa per tutti, che parli ai giovani e ai meno giovani, alle donne come agli uomini e a tutti quanti - specialmente a chi ha ancora una volta il cuore spezzato. I temi sono gli stessi di cinquant'anni fa, le musiche - suppergiù - anche; ma per come la propongono le Haim, la formula funziona benissimo.
30/06/2025