Babymetal

Babymetal

Le idol del metallo

Temerario progetto ideato nel 2010 da una potente agenzia di talenti, con l'obiettivo di unire la idol music giapponese all'heavy metal, il gruppo di Sumetal e compagne si è evoluto nel tempo, in modo anche originale e sorprendente. Fino a diventare un fenomeno capace di riempire gli stadi e aprire i concerti di Lady Gaga, Metallica e Korn

di Antonio Lo Giudice

Heavy Creamy

 

È un’osservazione forse un po’ scontata, ma a qualsiasi italiano nato dagli anni 70 in poi il giapponese suona, in qualche modo, familiare. Non che sia una lingua parlata e compresa, ma riconosciuta sicuramente sì. Evocativa di pomeriggi passati davanti alla televisione, quando il doppiaggio dei cartoni lasciava brevemente spazio a qualche intermezzo musicale, caratterizzato da un melodismo spinto, con vette di epica o patetismo ai limiti del pornografico. Sappiamo cosa sono le idol dai tempi di Creamy ed Emy, personaggi “da femmine”, le cui vicende, però, seguivamo anche noi maschietti. Magari, poi, con gli anni, ci siamo appassionati all’heavy metal, anche per darci, quantomeno in adolescenza, un tono più adulto e virile, salvo poi, alla soglia dei quarant’anni, trovarci davanti Creamy che canta le sue canzoncine zuccherose su una base di riff power e batteria a doppia cassa come se non ci fosse un domani. E, battendo la vergogna, abbiamo alzato il volume senza il minimo ritegno.
Tuttavia, razionalizzando, definire le Babymetal un mero guilty pleasure da metallari hipster è riduttivo e ingiusto. Parliamo di un progetto che, con un’inconsapevolezza ai limiti del masochismo, ha sparigliato le carte in ambito hard and heavy, portando una benvenuta ventata di leggerezza e divertimento, creando una forma di crossover, tutto sommato, inedita e gettando un ponte sia artistico che geografico (al netto di qualche appassionato, il mercato musicale giapponese resta alieno per noi occidentali) su coordinate che difficilmente qualcun altro avrebbe anche solo immaginato. Non è poco e non era scontato che funzionasse.

 

Parlare di inconsapevolezza, sembrerebbe paradossale, riferito a un prodotto studiato a tavolino, come centinaia di gruppi idol in Giappone prima di loro, composti da ragazzine cresciute quasi in batteria, mere esecutrici (“interpreti” suonerebbe persino eccessivo) e totalmente avulse da ogni procedimento creativo, a totale appannaggio di produttori e compositori che lavorano dietro il palco.
In questo, le Babymetal non fanno eccezione: loro cantano e ballano con nipponica dedizione brani e coreografia che altri hanno preparato per loro. Nelle loro interviste non emerge alcunché di personale o caratteristico. Mettono le loro voci e i loro corpi a servizio di un progetto ideato dalla loro agenzia, che portano avanti ormai da oltre 10 anni con un’ammirevole etica professionale (sia pure con la defezione di uno dei tre membri nel 2018).
Di certo, però, le ragazze (o, per meglio dire, le bambine), quando hanno iniziato erano, appunto, assolutamente inconsapevoli del genere musicale che avrebbero interpretato. Lo stesso progetto (unire la cosiddetta idol music all’heavy metal) pareva più una delle tante stramberie giapponesi destinate unicamente al qui e ora.
Sul loro successo ha indubbiamente pesato il clima culturale dello scorso decennio, con il fumetto e l’animazione giapponese sempre più mainstream e la centralità di YouTube, media perfetto per la diffusione di eccentricità assortite.
Eppure, le notizie sulle loro nuove uscite sono sempre oggetto di numerosi commenti (molti negativi, ovviamente), i loro concerti, non solo in patria, sono partecipatissimi e non si contano i gruppi di kawaii metal o, in generale, di band metal all female nate in Oriente sulla scia del successo di SuMetal e socie.

Di cosa parliamo quando parliamo di  “musica pesante”?

 

In Italia ci sono metallari che, con buona pace degli Atroci, non si perdono un’edizione di Sanremo. In Giappone ci sono metallari che lavorano per importanti agenzie di modelle e idol, producendo e componendo zuccherose canzoncine pop per bambini, adolescenti e figuri più o meno raccomandabili. Kei Kobayashi è un sarariman dell’importante agenzia Amuse, con una passionaccia per i Dream Theater e per il power più epico. Nel 2009, mentre si trova a seguire il gruppo Sakura Gakunin, viene colpito dalle doti vocali di una delle ragazzine, ravvisando in lei qualcosa di più incisivo della media, qualcosa che risulta imbrigliato non solo dall’età, ma, soprattutto, dal contesto in cui si trova ad operare. Suzuka Nakamoto (si potrebbero fare facili battute sul fatto che sia originaria di Hiroshima), in realtà, a 12 anni ha già una discreta carriera alle spalle: bambina-modella in numerose pubblicità, prima di entrare nelle Sakura Gakunin, aveva militato in un altro gruppo targato Amuse, le Karen’s Girl. Soprattutto, è dotata di una voce duttile ed estremamente potente, sia pur ancora venata da tratti infantili, che deve aver fatto scattare in Kobayashi la curiosità di sentirla interpretare un brano power. La cosa deve aver funzionato, perché al produttore, a questo punto, viene l’idea di fare nascere un sottogruppo delle Sakura Gakunin dedito all’heavy metal, nonostante nessuna delle ragazze chiamate a partecipare al progetto abbia la più pallida idea di cosa si tratti.

Mi dissero che il gruppo si sarebbe focalizzato su un tipo di musica più pesante (rispetto alle Sakura Gakuin), ma non avevo idea di ciò che volesse dire musica pesante. Significava forse che avremmo cantato riguardo ad argomenti pesanti? Così quando sono entrata nelle Babymetal ho capito: ‘Oh, è questa la musica pesante!' Ero così scioccata!

Così parlò Moa Kicuchi, nel 2009 decenne, membro delle Sakura che, assieme alla coetanea Yui Mizuno (i nomi d’arte, rispettivamente, sono Moametal e Yuimetal), fu scelta per partecipare a questo nuovo progetto. Va detto che le due avranno sempre una funzione puramente coreografica, rispetto alla sorella maggiore Suzuka (va da sé, Sumetal), la cui voce resterà uno dei tratti davvero caratteristici delle nascenti Babymetal.
Questo nome deliziosamente sciocco, come spesso accade da quelle parti, nasconde più significati: da un lato, “baby” viene letto dai giapponesi in modo simile a “heavy”, dall’altro lato, può significare “la nascita di un nuovo genere musicale”, nientemeno! A parte la pompa oltre la soglia del ridicolo (i nipponici hanno un concetto tutto loro di ironia), è abbastanza difficile immaginare che Kobayashi potesse credere nel futuro del gruppo oltre la semplice boutade. Originariamente, le Babymetal erano il “club del metal” all’interno delle Sakura Gakunin e, in effetti, il primo singolo “Dokidoki Morning” è pubblicato in un disco del 2010 di queste ultime. Il pezzo è, ovviamente, scemotto e non particolarmente a fuoco, ma già in qualche modo paradigmatico: non si tratta di un brano metal cantato da ragazzine (sarebbe stata la scelta forse più facile e pigra), ma un brano smaccatamente pop e infantile su cui sono innestati in maniera spiazzante rocciosi riff di chitarra e urla in growl, su un testo che parla delle…difficoltà scolastiche. Certo, perché una roba così possa funzionare, serve un giusto equilibrio, qui totalmente assente, ma è solo questione di tempo.

 

Con il singolo successivo (in realtà, uno split con la band Kiba of Akiba), il bersaglio viene già perfettamente centrato: “Li ne!” e “Answer For Animation With You” aggiungono alla ricetta elementi di elettronica e, in qualche modo, si comincia a prendere un po’ di distanza dalla idol music. Il primo pezzo, in particolare, è una bombetta danzabile che frulla in tre minuti sciocchezze preadolescenziali, aggressività metal, ritmi dance, un ritornello scanzonato e, persino, un disarmante tentativo di hip-hop, così maldestro e fuori luogo da risultare irresistibile.
Prendono forma anche alcuni dei loro aspetti iconografici più riconoscibili: la divisa studentesca giapponese virata decisamente al dark, in un tripudio di rosso e nero, i balletti semidemenziali ad opera della coreografa Mikiko e il gesto delle corna modificato per assomigliare al muso di una volpe (trovata che, sommetto, sarebbe piaciuta non poco al buon Ronnie James Dio), omaggio al kami Kitsune, protettrice del metal, di cui il gruppo si dichiara messaggero (non che i Manowar l’abbiano toccata più leggera con amenità di questo tipo, e senza nemmeno la scusa dell’età).
Il singolo, uscito nel 2012, si rivela un successone in patria - cosa che permette al gruppo di emanciparsi definitivamente dalle Sakura Gakunin e vivere di vita propria, cominciando anche a esibirsi dal vivo, persino in festival importanti come il Summer Sonic Festival di Osaka, anche se, i primi tempi, su basi preregistrate e con comparse che suonano in playback.

 

In studio il nuovo passo, solo qualche mese dopo, si chiama “Headbanger!!” ed è un’altra svolta: si tratta di un brano power di una potenza e un’efficacia indiscutibile, benedetto da una melodia epica e appiccicosa che richiama le sigle degli anime più aggressive, coretti assurdi e un crescendo convincente che culmina nell’urlo “hedabengaaaaa!” di Sumetal (che nel video, ispirato ai j-horror, appare per la prima volta ragazza, mettendosi simbolicamente il rossetto) da consegnare agli annali. Il pezzo non ha nulla a che vedere con quelli precedenti, visti i numerosi e sempre diversi autori coinvolti - caratteristica che, se da un lato aumenta l’imprevedibilità della proposta, dall’altro pone problemi a livello di compattezza della scrittura. Il che è il principale difetto dell’omonimo disco di esordio Babymetal uscito nel 2014.
Più che un’opera coerente, appare come una raccolta di singoli - e, in effetti, ricomprende tutti quelli usciti fino a questo momento. Dove funziona, però, è puro spettacolo: “Megitsune” è un’altra perla power, con spezie elettroniche e influenze della musica popolare giapponese - a parere di chi scrive, tra i migliori brani metal del terzo millennio. “Gimme Chocolate” è un adorabile bubblegum pop idiota, ibridato con il groove metal. “Atatsuki” parte come una power ballad , per poi sfociare in una cavalcata che richiama i migliori Vision Divine e Angra, con la voce di Suzuka sugli scudi. Peccato che la parte centrale del disco sia obiettivamente debole, composta da brani che tendono a rimarcare più la stranezza del progetto che la presenza di effettive idee. Ci si riprende sul finale, con la drammatica “Rondo Of Nightmare” (ancora una volta, prova strepitosa della cantante, ormai sedicenne), la già citata “Headbanger!!” e il conclusivo speed metal “Ijime, dame, zettai”, uscito come singolo poco prima dell’album e che vedeva, in una delle versioni pubblicate su singolo, anche la chitarra di Christopher Amott degli Arch Enemy (primo dei numerosi artisti della scena metal occidentale che, negli anni, collaboreranno con le ragazze). Come bonus track nelle edizioni successive del disco, verrà aggiunta “Road To Resistance” con la partecipazione di Herman Li e Sam Totman del Dragonforce.

 

In ogni caso, il sasso è stato gettato, è delle Babymetal, oltre che in patria (il disco arriva al secondo posto nella classifica Billboard), si comincia a parlare anche nel resto del mondo. Le tre si imbarcano in tour in Europa e in America, questa volta accompagnati da veri musicisti (la “Kami Band“ nella quale si segnala il virtuoso chitarrista Mikio Fujioka, morto nel 2018), sia aprendo i concerti di Lady Gaga, sia partecipando a festival metal, dove vengono trattate con simpatia e rispetto dagli altri artisti (ovviamente) e dal pubblico (cosa meno scontata). Sulla Rete, invece, non mancano i pareri feroci di chi le reputa uno scherzo di pessimo gusto, quasi un’offesa alla serietà della musica metal.

Opporre resistenza (è inutile)

 

Non so se questi detrattori abbiano davvero ascoltato Metal Resistance, il secondo disco del gruppo uscito nel 2016, a due anni dall’esordio. Lungi dall’essere un’offesa al metal, ne è un’esaltazione per tutti i suoi 54 minuti. I difetti del lavoro precedente vengono ovviati con una scrittura più matura e, in qualche modo, la coerenza tra i brani aumenta, pur senza andare a scapito della varietà e nonostante il solito affollato parco-autori. Si perde qualcosa - è vero - nell’assurda follia dei primi singoli, ma è davvero difficile trovare un episodio sottotono o dimenticabile. Dal powerone iniziale della già citata “Road To Resistance” fino alla ballata (in un inglese rivedibile) “The One”, non si contano i pezzi memorabili: lo scatenato j-pop in levare su base heavy di “Java”, la groovy e ieraticaKarate” (quasi una versione adulta di “Gimmie Chocolate”), il tripudio melo-metal di “Amore” che fa sfoggio di riff di una velocità supersonica, sovrastati dalla voce di Sumetal, perfettamente in controllo nonostante la difficoltà del pezzo.
L’anima più “bambinesca” emerge dalla filastrocca di “MetaTaro”, che però si sviluppa in un’andatura marziale sottilmente inquietante ed epica e dalla divertente party song “Awadama Fever”. Per il resto, il gruppo osa con l’elettronica e cinematografica “From Dusk Till Dawn” (capolavoro presente solo nella versione europea del disco) e con il thrash pestone di “Sis Anger”, prima di quell’ottimo apocrifo dei Dream Theater che risponde al nome di “Tales Of Destiny”. La produzione è, al pari del primo disco, stellare e assolutamente priva di sbavature.

 

È evidente come il mastermind Kobayashi voglia essere preso sul serio. Non si accontenta del successo raggiunto dalla sua creatura, né dal filone che le Babymetal hanno aperto. Dopo il loro successo, infatti, in Giappone sono spuntati come funghi gruppi metal composti esclusivamente da ragazze, adolescenti e bambine - alcuni effettivamente studiati a tavolino da qualche agenzia di idol, ma molti no, anche se hanno indubbiamente beneficiato della popolarità di Sumetal e compagne. C’è chi prova a ricalcare la stramberia del progetto originale (vedi le Ladybaby), altre invece cercano di variare la formula, inserendo elementi più moderni e complessi (tra le migliori, le Passcode) o applicando un approccio rigoroso e professionale al genere (le Lovebites, che meriterebbero una trattazione a parte, sono il miglior gruppo power dell’ultimo decennio). Altre sfruttano prevalentemente l’elemento scenografico (Band Maid, Necrononidoll) o quello demenziale (Hanabie).
A cercare su YouTube e Spotify, sembra che oggi, in Giappone, ci siano più donne che uomini nella scena metal. E sono tutte colorate e divertenti.
Sì, con buona pace dei puristi, alla fine, le Babymetal hanno battezzato veramente “la nascita di un nuovo genere musicale”. Hanno fatto, a modo loro, la storia e si possono concedere duetti con Rob Halford (all’Alternative Press Music Awards del luglio 2016, interpreteranno insieme “Painkiller” e “Breaking The Law”), di aprire i concerti di Metallica, Red Hot Chili Peppers, Korn, Guns N’ Roses e di riempire il Budokan, la Tokyo Dome e, persino, Wembley. Il tutto mantenendo un livello di professionalità e serietà che a noi occidentali può apparire straordinario e, a tratti, quasi crudele. Della loro vita privata, infatti, non si sa assolutamente nulla e può venire legittimamente il dubbio che, semplicemente, non ne abbiano una. Il che, di fatto, spiega l’abbandono, nel 2018, di Yuimetal, ufficialmente per “problemi di salute”.

Galassiopea verso altri mondi

 

Era lecito aspettarsi altro? No, eppure l’opus n. 3 “Metal Galaxy” (2019) è un altro gioiellino, nonostante i presupposti non proprio esaltanti: i due singoli lanciati prima dell’uscita “Starlight” e “Elevator Girl” non colpiscono particolarmente. Il primo è il classico power ben suonato ma con un’atmosfera da cartone animato anni 80 un po’ frusta, mentre il secondo è un groove metal senza particolari pretese. Il terzo, uscito contestualmente all’album, al contrario, fa drizzare le orecchie: “Pa Pa Ya!” è il brano metal che chiunque con un minimo di gioia di vivere sognerebbe di sentire in pista. Ritmo continuamente spezzato, ma incalzante, elementi percussivi e tribali come se non ci fosse un domani, un refrain sciocco eppure appiccicoso ed esaltante e, mancia, un’azzeccatissima feat del rapper tailandese F. Hero (più simile a un raggamuffin, in realtà).

 

Fortunatamente, è quest’ultimo a fare da paradigma per Metal Galaxy.
Babymetal era un disco per scapocciare, Metal Resistance per pogare, mentre il terzo lavoro è indiscutibilmente pensato per far ballare fino allo sfinimento. E, per non sbagliare, dopo una breve introduzione, cala subito un asso come “Da Da Dance”, capolavoro di eurobeat irrobustito dalla chitarra di Tak Matsumoto, che farebbe scatenare persino le statue, e prosegue con un altro brano assolutamente liberatorio, sia pure più cadenzato, come “Shanti Shanti” dalle influenze bollywoodiane.
Nella sua folle corsa a essere divertente e sopra le righe, Metal Galaxy sacrifica la coerenza del lavoro precedente e recupera un po’ della locura dell’esordio. Qui, però, tutto è decisamente più a fuoco: il folk metal ubriaco di “Oh! Majinai” con Joakim Broden del Sabaton, l’Aor di “Brand New Day”, lo scilinguagnolo semi-rap di “BxMxC” e, persino, il doom con elementi di musica rituale e cantato growl di “In The Name Of”. Tra i solchi, si sente un po’ di tutto, fino alla meravigliosa doppietta finale “Shine” e “Arkadia” - maestoso metal orchestrale, superbamente interpretato da Sumetal.
L’album è un altro successone e, per capitalizzare ulteriormente, nei mesi successivi vengono pubblicati numerosi dischi dal vivo, che, però, nulla aggiungono.
Decisamente più interessante la collaborazione con i Bring Me The Orizon nel brano “Kingslayer” del 2020.

Arrivati al 2023, si attende l’uscita del quarto lavoro The Other One (finalmente un album senza “metal” nel titolo). Anche in questo caso, prima della pubblicazione vengono rilasciati diversi singoli, che spiazzano non poco i fan, vista la totale assenza di brani scanzonati e la netta virata verso atmosfere “monocrome”, per citare uno dei pezzi. Sembra che il gruppo voglia emanciparsi da un’immagine ancora in parte demenziale e bambinesca e la domanda è, ovviamente, se avrà le spalle abbastanza larghe. Alla fine, la risposta è positiva: The Other One non incide come i dischi precedenti, ma segna comunque l’inizio di un rispettabilissimo nuovo percorso, sulla base di un metal moderno ora sinfonico (“Shingeki”), ora carico di groove (“Maya”) ed elettronica (“Time Wave”), sempre melodico, ma mai scanzonato.
Anche dove si balla (“Metalizm”, forse il brano migliore del disco), l’idea non è quella di ragazzine scatenate su un palco, ma di una discoteca piena di persone adulte. Poteva sembrare conveniente fermare il tempo, ma “le stagioni cambiano e noi non siamo le stesse” e, quindi, addio al kawai metal - altri gruppi lo stanno già riproponendo, ma a Kei Kobayashi e alle sue Babymetal non interessa evidentemente ripetersi. Ed era forse l’ultima conferma che si stava cercando per sancire l’assoluta validità della loro musica.
Prima di partire in tour, il gruppo ha annunciato l’ingresso di un nuovo membro, riorganizzandosi così in un terzetto dopo cinque anni: si tratta di un’altra ex-Sakura Gakuin, Momoko Okazaki (“Momometal”). Probabilmente l’unica novità concreta sarà il venir meno di ogni simmetria nelle coreografie, dato che la nuova arrivata è molto più alta delle altre due ragazze. Ma, d’altronde, vista l’età che avanza, anche l’aspetto scenico richiederà un diverso approccio.

 

“Guilty pleasure” è una definizione cretina e insopportabilmente radical chic. Non c’è nulla di “colpevole” nell’apprezzare un prodotto capace di toccare immediatamente le tue corde, bypassando anni di sovrastrutture e ascolti via via più raffinati e complessi. Non esisterà mai musica che ameremo tanto come quella scoperta in adolescenza e, pertanto, che senso ha disprezzare immediatezza e leggerezza, quasi temessimo di perdere la (auto)stima sulla nostra competenza, faticosamente guadagnata impilando dischi su dischi? Il progetto Babymetal (mi riferisco a tutti i soggetti coinvolti, ovviamente) si è dimostrato duraturo e fruttuoso: onesto nel cercare il successo, coraggioso a farlo giocando un campionato diverso da quello di elezione naturale, estremamente influente in uno spazio temporale tutto sommato ristretto, ma soprattutto divertente come pochi e capace di far sentire bene e a casa l’ascoltatore.
Si può chiedere altro, ma è difficile chiedere di più.

Babymetal

Discografia

Babymetal (BMD Fox, 2014)

6,5

Metal Resistance(BMD Fox, 2016)

7,5

Metal Galaxy(BMD Fox, 2019)

7,5

The Other One (Cooking Vinyl, 2023)

7

Pietra miliare
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