Rush

Rush

Il lato duro del progressive

I canadesi Rush, partendo da un hard-rock di matrice Zeppelin, hanno nel tempo portato a gestione un intero genere, il progressive-metal o hard-progressive. Tra grandi successi e passaggi a vuoto

di Michele Chiusi

Nel giovane mondo del rock, esiste un'enclave isolata, ignorata o trattata con sufficienza dalla critica che però ha un pubblico diffuso, fedele, transgenerazionale, con diffusione e seguito che non conoscono crisi o riflussi. Questo è il mondo dell'hard-rock e del metal. Musica coatta, grossolana, immutabile nei sui schemi? In parte forse è anche vero, però è un fenomeno che non può essere ignorato né risolto in analisi e in giudizi frettolosi. Certo, se parliamo di Led Zeppelin l'atteggiamento cambia, in parte anche se si citano i Deep Purple, recente poi il recupero in sede critica dei Black Sabbath e dei Motorhead, ma poi, più nulla da ascoltare? Aspettando la rivalutazione anche dei Thin Lizzy, degli Iron Maiden e degli Ac/Dc, forse è il caso di puntare i riflettori su un gruppo che ha sì vasto seguito e fama (in Italia meno che altrove) e che risulta essere non solo una delle massime espressioni del "rock duro", ma che ha portato a gestazione un intero genere, il progressive metal o hard progressive: i Rush.

I Rush, il più famoso gruppo canadese, esordiscono nel 1974 con il disco omonimo. Il gruppo si presenta fin da subito con una formazione a tre: Geddy Lee (voce e basso), Alex Lifeson (chitarra) e John Rutsey (batteria). Rush presenta un sound molto debitore dei Led Zeppelin, di cui però non hanno il pathos né le chiavi acustiche, con pezzi moderatamente tirati, con buoni escursioni strumentali, buone scelte melodiche, ma poco più. Lifeson già si mette in luce all'elettrica, Lee comincia a fare le prove generali con il suo basso usato in chiave armonica e funge da cantante con la sua voce acuta e in falsetto, in qualche modo simile a un Jon Anderson spiritato. Le composizioni sono buone, ma non particolarmente interessanti né innovative, anche se rimangono alcuni brani efficaci, riproposti per anni nei live-act ("Working man", "Fiding My Way", "In The Mood"). Il problema è una derivatività marcatissima dal modello dei Led Zeppelin, tanto che sembra quasi di ascoltare una cover-band, con abbondantissimi riferimenti al dirigibile sparsi ovunque nell'album.

L'anno successivo esce l'album Fly By Night, con il cambio alla batteria di Rutsey con Neil Peart. Con l'inserimento di Peart, il line-up raggiunge l'equilibrio definitivo che durerà fino ai giorni nostri. Il nuovo batterista è tecnicamente decisamente più dotato e latore di un drumming più originale e inventivo, nonché uno stimato paroliere che d'ora in avanti si occuperà di tutti i testi del gruppo.
Il nuovo disco è un deciso passo avanti sia nelle composizioni sia nella definizione di un proprio stile e sonorità. Echi di Led Zeppelin si odono qua e là, ma in genere si brilla di luce propria, con un primo tentativo di brano dilatato ("By Tor And The Snow Dog") e una splendida gemma acustica come "Rivendell". Il gruppo cresce molto anche come esecuzione, l'approccio al drumming di Pert è potente e fantasioso e trascina una evidente crescita di Lee al basso, usato anche in chiave armonica, e di Lifeson alla chitarra. Fly By Night è essenzialmente ancora un disco di puro hard-rock, pur se con un songwriting evoluto e con accenni embrionali di maggiore complessità e pretenziosità.

Nello stesso anno i Rush danno alla luce il terzo disco, Caress Of Steel, che contempla sia rimandi al recentissimo passato ("Bastille Day"), sia malcelate velleità progressive, soprattutto nella suite "Fountain Of Lamneth", in realtà una falsa suite in quanto collage di parti distinte e non un brano organico, dove si alternano riff propriamente hard-rock a parti melodiche condotte dalla chitarra acustica, che assurge spesso al ruolo di protagonista.
Caress Of Steel è al contempo un disco di transizione e un passaggio importante per il superamento degli stilemi hard-rock da cui il gruppo era partito.

Passaggio che subisce una accelerazione con il disco dell'anno successivo, 2112, magnus opus della prima fase del gruppo e uno dei loro lavori più famosi e celebrati. Il disco contiene la suite omonima che occupa tutta la prima facciata e se si gioca ancora sull'alternanza di parti hard con derive acustiche. Rispetto al disco precedente vi è sicuramente una maggiore organicità d'insieme e una maggiore accentuazione di toni epici e di ridondanze progressive. Importante, poi, l'impatto strumentale, supportato da una tecnica eccellente, con riff e progresssioni trascinanti con la chitarra di Lifeson sugli scudi e una sezione ritmica che già si rivela tra le più potenti e creative di tutto il rock. Molto buoni anche i cinque brani della seconda facciata con una orecchiabile "Passage To Bangkok", highlight da concerto, e una struggente "Tears".

Il doppio live All The World's Stage chiude la prima fase del gruppo, che si ripresenta nel 1977 con A Farewell To Kings.
Molte cose sono cambiate. Il disco è smaccatamente progressive a partire dalla bella copertina allegorica, con l'importante introduzione delle tastiere, suonate da Lee quasi mai comunque in chiave solista, a dilatare i brani ampliando la tessitura sonora delle melodie.
A Farewell To Kings perde molto dell'impatto del periodo precedente, ponendosi come uno dei meno duri dell'intera discografia dei Rush, l'hard-rock degli esordi rimane sullo sfondo, preferendosi atmosfere più celebrative, con temi a incastro, come nelle due mini suite "Xanadu" e "Cygnus X 1", dai toni spaziali, se non proprio con brani soffusi ("Madrigal") o di facile orecchiabilità ("Cindarella Man", la famosa "Closer To The Heart"). A Farewell To Kings è un disco palesemente progressive, a tratti vicino ad alcune cose degli Yes, oramai lontano dalla matrice Led Zeppelin da cui si era partiti.

Forse per reazione a un disco di indubbio valore, sia strumentale che compositivo, ma un po' troppo compassato per gli standard del gruppo, nel 1978 esce Hemispheres, in cui si recuperano, ferma restando una matrice progressive evidente, certe sonorità hard, tanto che sembra Hemispheres e non A Farewell To King il successore di 2112, con efficaci stacchi chitarristici e lunghe progressioni strumentali in cui emerge come non mai il grande controllo tecnico e il grande virtuosismo di tutti e tre i componenti. La prima facciata è occupata dalla suite omonima, ma forse le cose migliori sono nella seconda facciata con "The Trees", un inizio acustico con una parte centrale strumentale arrembante, e l'interamente strumentale "La Villa Strangiato", nove minuti esaltanti non privi di grande suggestione e di raffinatezza, con digressioni al limite del jazz-rock.

Nel 1980, con i Rush all'apice della fama e della creatività, esce Permanent Waves. Se i due dischi precedenti erano dischi di hard-prog, stilisticamente legati agli anni 70, in Permanent Waves si modernizza molto il sound, rinunciando in parte alle lunghe suite, privilegiando dinamiche più immediate e meno involute e giocando piuttosto sulla raffinatezza di certe soluzioni armoniche.
Permanent Waves mantiene inalterato comunque l'approccio strumentale virtuosistico supportato da un songwriting di altissimo livello, appena limitato da un certo schematismo e rigidità negli arrangiamenti, caratteristica da cui il gruppo non si svincolerà mai. In tal senso, i Rush sembrano pagare un tributo alla loro origine nordamericana.

L'anno succesivo è la volta di Moving Pictures, da molti considerato il miglior disco della band, che riprende le sonorità del disco precedente con alcuni brani eccellenti come "Tom Sawyer", "Red Barchetta", " Limelight" e la funambolica "YYZ", un indulgente ma coinvolgente esercizio di tecnica strumentale con alternanza di parti soliste.
Moving Pictures chiude la quadrilogia progressive dei Rush, suggellata dal live Exit Stage Left, e il periodo di miglior gloria artistica.

Il successivo Signals apre una nuova fase, i brani sono più corti, si punta alla sintesi più che all'analisi, e il ruolo delle tastiere diventa non solo di appoggio, ma assolutamente preponderante sostituendo in parte la chitarra nell'economia complessiva del sound del gruppo. Questa è una fase di allontanamento sia dall'hard che dal progressive, preferendo un sound algido, tecnologico e poco irruente. Molti fan della prima ora storcono il naso, accusando il gruppo di eccessiva freddezza, ma in realtà Signals è un disco di ottima fattura e ben ispirato, con ottimi brani come l'iniziale "Subdivision, Losing It", impreziosita dal violino elettrico, e "New World Man", con addirittura una ritmica reggae-rock.

Nel 1984 esce Grace Under Pressure, disco molto orecchiabile, meno levigato del precedente ma anche meno riuscito, e gli anni successivi Power Windows e Hold Your Fire, dischi più riusciti, specie il secondo, sempre sul solco di un power-rock supportato da grande tecnica e da un grande songwriting, anche se un po' monolitici come arrangiamenti e scelte stilistiche.
Il Live A Show Of Hands chiude questa fase del gruppo, che ritorna nel 1989 con Presto, disco peraltro deludente, e nel 1991 con Roll The Bones, che gli è di poco superiore.
Come risposta a un accenno di crisi ispirativa, nel 1993 esce Counterparts, che recupera una certa durezza di fondo, con brani però non all'altezza del passato anche recente, e nel 1996 Test For Echo, disco molto curato ma poco significativo. Questi ultimi dischi, permanendo comunque una forte dignità di fondo, manifestano una evidente parabola discendente nella creatività del gruppo, la cui stessa esistenza è messa in discussione da vicissitudini famigliari di Peart.

Ma nel 2002 esce Vapor Trails a scompaginare la situazione. Il disco può piacere o meno, a chi scrive non piace, ma marca, dopo trent'anni di carriera, una discontinuità rispetto alle fasi precedenti, presentandosi con un sound molto duro, a volte al limite del "noise", con la chitarra di Lifeson che batte territori asprissimi. Che sia un nuovo inizio oppure l'estrema risposta a una crisi, magari preludio dello scioglimento, non è dato sapere, certo è che Vapor Trails è disco al contempo discutibile e coraggioso, nella speranza che non sia l'ultimo atto di un gruppo importante sia come definizione stilistica sia come corpus musicale.

Il ritorno nel 2007 con Snake & Arrows presenta un sound più sereno e solare, a cominciare dal singolo "Far Cry". I riff granitici di Alex Lifeson innervano "Armor And Sword", mentre "Workin' Them Angels" si snoda su cadenze più blues e acustiche, così come "The Larger Bowl", elettrica solo nel refrain. E se "The Way The Wind Blows" consolida la matrice più hard della band, "Hope" rimanda ancora una volta al folk, mentre "Good News First" e "Bravest Face" sfoggiano forse le migliori melodie del lotto.
Snakes & Arrows è un disco sostanzialmente di mestiere, che conferma tuttavia la statura e l'affiatamento di una band che non sembra volerne proprio sapere di ammainare bandiera.

Nel 2012, dopo cinque anni di attesa e una lunga gestazione, esibizioni live e tour veri e propri, arriva il nuovo album. Si tratta di un concept in cui fantasy e richiami all'attuale situazione mondiale si impastano con spartiti dai forti connotati hard. Il titolo, Clockwork Angels, sottolinea la figura de controllori del tempo, cui il protagonista deve rendere conto nel suo lungo viaggio alla ricerca del sogno perduto. Un lavoro tecnicamente ineccepibile, in cui il muro del suono sembra però nascondere una mancanza di idee. Poco presenti le melodie, la verve, la fantasia che hanno contraddistinto la carriera dei tre canadesi per almeno tre lustri (dalla metà degli anni Settanta alla fine degli Ottanta). E intanto si vocifera che dalla nuova prosa di Neil Peart potrebbe essere tratto un romanzo, scritto dall'amico del drummer Kevin J. Anderson.

Il 7 gennaio 2020 a soli 67 anni si spegne Neil Peart. La band ha annunciato la notizia solo tre giorni dopo, invitando coloro che vogliono esprimere le loro condoglianze a fare una donazione a un gruppo di ricerca a scelta sul cancro. Infatti, la causa del decesso è un tumore maligno al cervello, il glioblastoma, con cui combatteva da tre anni. In Italia è attiva l'Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC). Cosa dire di lui in sua commemorazione dopo una carriera spettacolare ad alti livelli? Neil Peart è stato uno dei più grandi batteristi nella storia del rock, celebrato e rispettato da innumerevoli musicisti in tutto il mondo per la sua grande tecnica e le capacità composive. È entrato nella Rock and Roll Hall of Fame nel 2013. Nei suoi 45 anni di militanza nei Rush, assieme ai colleghi Geddy Lee e Alex Lifeson, ha contribuito a creare uno dei gruppi più amati e stimati di sempre. Oltre che batterista del gruppo fin dal 1974, era anche il principale autore dei testi che hanno spaziato con intelligenza e profondità sui soggetti più disparati, dalla fantascienza alla storia, dalla politica alla filosofia, dagli inni alla libertà alle difficoltà nella vita.

Contributi di Stefano Conti ("Snake & Arrows") e Davide Sechi ("Clockwork Angels").

Rush

Discografia

Rush (Moon/Mercury, 1974)

5,5

Fly By Night (Mercury, 1975)

6

Caress Of Steel (Mercury, 1975)

6,5

2112 (Mercury, 1976)

7,5

All The World's A Stage (live, Mercury, 1976)

A Farewell To Kings (Anthem, 1977)

7,5

Hemispheres (Anthem, 1978)

7,5

Permanent Waves (Anthem, 1980)

8

Moving Pictures (Anthem, 1981)

8

Exit... Stage Left (live, Anthem, 1981)

Signals (Anthem, 1982)

7

Grace Under Pressure (Anthem, 1984)

6

Power Windows (Anthem, 1985)

6,5

Hold Your Fire (Anthem, 1987)

7

Presto (Anthem, 1989)

5,5

A Show Of Hands (Mercury, 1989)

Chronicles (doppio cd, antologia, Mercury, 1990)

Roll The Bones (Atlantic, 1991)

6

Counterparts (Atlantic, 1993)

5,5

Test For Echo (Atlantic, 1996)

6

Retrospective 1974-1980 (antologia, Mercury, 1997)

Retrospective 1981-1987 (antologia, Anthem, 1997)

Different Stages (triplo cd, live, Anthem, 1998)

Vapor Trails (Atlantic, 2002)

5,5

Feedback (Atlantic, 2004)

Snakes & Arrows (Atlantic, 2007)

6

Clockwork Angels (Roadrunner, 2012)

5,5

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