U2

Da "Boy" a "Under A Blood Red Sky": i primi passi di Bono & C. (1980-1983)

C’è un alone mitico che, a torto o a ragione, ammanta la prima trilogia di album a firma U2, vale a dire “Boy”, “October” e “War”, dati alle stampe tra il 1980 e il 1983. Per molti, Bono e soci avrebbero potuto fermarsi lì, o tutt’al più a “Under A Blood Red Sky”, epocale live contenente il meglio di quel primo periodo e che restituirà appieno la loro natura di animali da palco. ”Boy” nel suo insieme è un ottimo esordio, magari non un capolavoro; “October”, per parte sua, rappresenta un piccolo passo indietro rispetto al predecessore e rappresenta forse il capitolo più debole del trittico; mentre “War” è più elaborato sul piano tecnico, specie per quanto attiene alla sezione ritmica, e contiene anche due autentici inni, “Sunday, Bloody Sunday” e “New Year’s Day”. In tutti e tre i lavori si percepiscono l’urgenza, l’esuberanza, l’incoscienza e l’autenticità di una band giovane, sfrontata, ancorché ingenua. E vi si percepisce altresì una buona propensione alla composizione, che l’arrivo di Brian Eno alla consolle a partire dalla successiva fatica, “The Unforgettable Fire” (1984), saprà valorizzare al massimo. Ma ancora più importante in questa prima fase è la prorompenza del gruppo on stage. La fama (e gli ingaggi) i quattro se la guadagnano, oltre che per il materiale inciso, per le loro esibizioni cariche d’elettricità, adrenalina, pathos. Raramente l’appellativo di live band è stata calzante come nel caso degli U2, di questi primissimi U2 specialmente.

“Boy” e il relativo tour

La prima opera lunga esce il 20 ottobre 1980 ed è a suo modo già un'antologia, del materiale fin qui composto dagli U2. La formazione, nata a Dublino quattro anni prima col nome Feedback cambiato poi in The Hype, ha macinato serate in giro per Irlanda e Regno Unito, si è conquistata i primi trafiletti sulla stampa specializzata e ha già scritto svariati pezzi dando pure alle stampe l’Ep “Three” (uscito a settembre 1979 per Cbs) e i singoli “Another Day” (pubblicato nel febbraio successivo, sempre su Cbs) e “11 O’Clock, Tick Tock” (maggio, Island).
Quando “Boy” arriva nei negozi, in tema di new wave e affini, solo per quanto riguarda il 1980, hanno già visto la luce “Closer”, secondo album dei Joy Division, “Seventeen Seconds” dei Cure, “Crocodiles” degli Echo & the Bunnymen, l’omonima opera prima dei Killing Joke, “The Voice Of America”dei Cabaret Voltaire,Kaleidoscope”di Siouxsie and the Banshees, e in più sta per arrivare “In The Flat Field” dei Bauhaus. Per non parlare di “Vienna” degli Ultravox, “Flesh And Blood” dei Roxy Music e “Black Sea” degli Xtc.

Come detto, l'album include molti brani che i fan della prima ora conoscono da tempo ed è quasi un modo di mettere ordine nel repertorio fissando su nastro le cose riuscite meglio, alcune delle quali composte anche qualche anno addietro e qualcuna addirittura già pubblicata. Ritroviamo infatti “Twilight” (già lato B del dello stesso “Another Day”), “Out Of Control” e “Stories For Boys” (apparse sul summenzionato “Three”), ma anche “Shadows And Tall Trees”, “Another Time, Another Place” e “The Electric co.”, da un bel po’ punti di forza delle scalette live, oltre a “A Day Without Me” (primo estratto di “Boy” uscito ad agosto).
La genesi del disco però è travagliata. Il produttore inizialmente designato è infatti Martin Hannett, già dietro la consolle per il mitico “Unknown Pleasures” dei Joy Division, ma il suicidio di Ian Curtis, suo grande amico, lo turba al punto di spingerlo ad abbandonare il progetto, e così gli U2 devono cercarsi un altro producer. Non che la cosa dispiaccia loro, a dirla tutta. Professionalmente, Hannett ha un approccio freddo, analitico, che mal si sposa col piglio brioso e casinista della band irlandese. In più è uno che predilige i suoni sintetici anche a costo di sacrificare le qualità del gruppo. Per farsi un’idea basti ascoltare il succitato singolo “11 O’Clock, Tick Tock”, pubblicato due giorni prima della morte di Curtis. A sostituire Hannett ecco quindi Steve Lillywhite (già al lavoro su “Drums & Wires”dei già citati Xtc) il quale porta una ventata d’aria fresca perché ha un approccio completamente diverso rispetto al predecessore: è allegro, coinvolgente, propositivo, ed è lui a tenere per mano una band ancora tecnicamente immatura (eufemismo), che fatica da matti a trasferire in studio le qualità mostrate dal vivo. Merito suo se, come sound, “Boy” risulta tutto sommato compatto e le magagne di un ensemble di musicisti quasi del tutto improvvisati e la cui impreparazione è evidente, in special modo riguardo alla sezione ritmica, vengono mascherate. Non a caso produrrà anche i successivi due album, oltre a offrire un sostanzioso contributo ad altri lavori della band di Dublino nel corso degli anni. Lillywhite intuisce altresì che il solo elemento a cui si può lasciare un po’ di spazio è l'autodidatta The Edge, probabilmente l'unico della combriccola a saper suonare uno strumento, difatti a modo suo inaugurerà uno stile poi ripreso da altri chitarristi.

Anche sul piano tematico il disco è coerente. I testi sono ovviamente opera di Bono e il tema di fondo è il passaggio dalla giovinezza all’età adulta, condensato nella copertina raffigurante il mezzobusto in bianco e nero di un bambino a torso nudo (è Peter Rowen, fratello minore di Derek – alias Guggi – dei Virgin Prunes, band concittadina e amica degli U2). La parola boy compare svariate volte nei testi, dove si possono scorgere riferimenti autobiografici che raggiungono l’apice della drammaticità in momenti come “I Will Follow”, la prima vera hit degli U2, e “The Ocean”, entrambe ispirate alla morte della madre del frontman avvenuta alcuni anni prima. Le principali qualità di “Boy” risiedono appunto nell’autenticità, nel suo essere senza filtri nonostante i limiti, per questo gli si possono perdonare le mancanze.

Il Boy Tour schiude definitivamente alla band irlandese le porte dell'Inghilterra, solo parzialmente visitata in precedenti occasioni, e con alterne fortune (vedasi tour-fiasco autofinanziato nell’autunno 1979 e giro lampo nella primavera successiva a supporto di “11 O’Clock, Tick Tock”). Le date promozionali strettamente afferenti l'Lp d’esordio iniziano a settembre e portano gli U2 nelle principali città albioniche (più la capitale scozzese Edimburgo), con in aggiunta qualche puntata - ed è la prima volta - in Europa continentale (Olanda, Francia, Belgio). A dicembre, invece, i Nostri scoprono l'America tenendo una manciata di date sulla East Coast in vista della prima vera e propria campagna a stelle e strisce in programma in primavera. Peraltro, l'8 dicembre 1980, negli stessi istanti in cui a New York John Lennon viene assassinato da Mark Chapman, gli U2 si stanno esibendo a Buffalo, città facente parte del medesimo Stato americano che prende il nome dalla Grande Mela.
A inizio 1981 Bono e soci riprendono poi a girare la Gran Bretagna (e l’Europa), prima del summenzionato ritorno oltreoceano a marzo per un capillare tour di quasi tre mesi lungo gli States, grazie al quale vi consolidano la loro fama, riuscendo a guadagnarsi una discreta frequenza di passaggi sulle radio locali, che negli Usa rappresentano il viatico necessario per la notorietà. La “cartolina” del Boy Tour è quindi essenzialmente quella che fotografa il successo degli U2 nella Land of hope and dreams.

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La genesi di “October” e il tour a supporto

Il giro americano però sfianca la band, che al ritorno in Irlanda inizia subito a pensare al successore di “Boy” il quale, come da contratto con Island, deve uscire entro l'anno. Le idee però latitano, i quattro in tour hanno pensato molto a suonare e poco a comporre, così in mano si ritrovano giusto qualche embrione di canzone. Il solo pezzo pronto è “Fire”, registrato alle Bahamas durante una breve vacanza nella villa del presidente della stessa Island, Chris Blackwell. In più, i rapporti interni al gruppo stanno incrinandosi per la frequentazione, da parte di Bono, Edge e Larry, di un collettivo di preghiera chiamato Shalom. A un certo punto addirittura il chitarrista abbandona la band, e il cantante fa quasi per seguirlo, salvo poi tornare entrambi sui loro passi. Alla fine il gruppo riesce a mettere insieme altri dieci brani che, a onor del vero, sono solo poco più che semplici demo, anche perché durante il tour statunitense Bono è stato derubato della valigetta contenente i testi, per cui ha dovuto riscrivere le canzoni daccapo, non di rado improvvisando le parole al microfono durante le registrazioni. Ma pure la musica, pur al solito esuberante, mostra più di una pecca. “October” è un lotto di idee abbozzate e sostenute più che altro dalla solita vigoria, a tratti aggressività, che come sempre la band prova a trasferire dal palco a dentro le mura dello studio. Sarà proprio dal vivo che i brani troveranno la loro espressione ideale. Il disco comunque mostra più di un motivo d’interesse, esprimendo tutto il travaglio interno all'ensemble nonché la tensione spirituale di un momento in cui i componenti si stavano interrogando su come far convivere la vita da rocker con i precetti cristiani. L’album inoltre introduce alcune novità: The Edge per la prima volta si cimenta al piano (“I Fall Down”, la title track), Bono per la prima volta canta in latino (l’epica “Gloria”) e tra gli strumenti utilizzati appare anche una cornamusa irlandese (“Tomorrow”).

“October” non può che uscire a ottobre (il 12) e il tour a supporto iniziare nello stesso mese. Le prime date si tengono ancora nel Regno Unito e in Europa continentale, con il supporto del secondo singolo, “Gloria”, che a differenza di “Fire” si fa valere nella chart Uk raggiungendo l’undicesima posizione grazie anche al videoclip, uno dei primi a essere trasmessi sulla neonata Mtv, girato su una chiatta ormeggiata a Gran Canal Docks, la zona portuale di Dublino.
Anche a fine 1981 la band saggia il terreno negli States per preparare il tour vero e proprio in programma a partire da febbraio. Stavolta però in America l’album non sfonda, costringendo la Warner a chiudere i cordoni della borsa e piazzare i quattro come spalla alla J. Geils Band, formazione rock/blues del Massachusetts: un forte ridimensionamento per gli U2, che se non altro riescono a non farsi prendere a bottigliate dagli astanti accorsi per il main act. Al ritorno dagli States, però, si rifanno esibendosi in alcuni importanti festival estivi europei, tra i quali Roskilde e Werchter.

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“War” e “Under A Blood Red Sky”

Ultimati gli appuntamenti live, il quartetto si mette al lavoro sull’album successivo, stavolta con un po' più di calma. Singolare è il fatto che l'embrione di una delle canzoni simbolo degli U2, “Sunday, Bloody Sunday”, prenda forma non per mano di Bono, che tra agosto e settembre si trova in viaggio di nozze, ma di Edge, che un pomeriggio s'inventa un giro di chitarra destinato a fare la storia, oltre a stendere il primo abbozzo di un testo molto politico, con riferimenti alla situazione in Irlanda del Nord. Il pezzo che sta prendendo forma lascerebbe pensare che la band stesse cambiando marcia a livello compositivo, ma non sarà del tutto così. Le registrazioni del nuovo album iniziano a settembre e ancora una volta i quattro entrano in studio senza aver composto quasi nulla, sperando nella manna dal cielo una volta varcata la soglia. L'aneddotica racconta che addirittura l'ultimo brano, “40”, viene finito di scrivere in fretta e furia mentre il gruppo che ha prenotato lo studio per il turno successivo sta bussando alla porta per entrare. A quel punto, Bono, non sapendo che fare, apre a caso la Bibbia che porta sempre con sé e la pagina voluta dal fato è quella del Salmo 40, il quale darà così titolo (e testo) alla canzone che, ironia della sorte, chiuderà non solo “War” ma anche tutti i concerti del combo per i restanti anni 80.

Il titolo scelto è il più adatto per un Lp che inizia affrontando il tema dei Troubles. Ma la guerra è intesa in senso generale, globale. I ragazzi da un paio di anni viaggiano regolarmente per il mondo e non restano indifferenti alle tensioni internazionali in atto, dalla Guerra fredda al conflitto delle Falklands, all'arresto di Lech Walesa in Polonia (proprio a lui è dedicato l’altro inno “New Year's Day”). “War” è una fotografia del mondo nel 1983, parla come detto di contese armate ma anche di disagio giovanile, di prostituzione minorile, oltre che - come sempre - di amore e fede. In un certo senso, “War” si propone come il vero sequel di “Boy” dopo l’intermezzo atipico di “October”. La continuità è garantita da Lillywhite, ma il suono a questo giro è più ispido, spigoloso. Molti pezzi hanno in evidenza il groove, l'afflato stradaiolo, combat rock. Tuttavia, il secondo singolo, “Two Hearts Beat As One”, non avrà un gran successo e la band non pubblicherà più estratti. I quattro dublinesi sembrano procedere a scatti: un assolo di qua (mirabile quello batteristico di Larry in “Like A Song”), un riff di là (“New Year's Day”); un violino che seduce di qua (“Sunday Bloody Sunday”, “Drowning Man”), un feat. a effetto di là (le Coconuts in “Red Light”). Vanno però sottolineati, come accennato, i progressi generali del gruppo e in particolare quelli della sezione ritmica. “War” ha una insospettabile anima dance data proprio dalla sinergia tra Adam e Larry, notevolmente migliorati sul piano tecnico tanto da scacciare via i dubbi sul loro valore. Non a caso i primi remix ballabili di brani degli U2 iniziano a circolare proprio a partire da questo disco.

Terminate le registrazioni a novembre, gli U2 si imbarcano per un breve warm up tour in Gran Bretagna. Il pre-War Tour li impegna fino a Natale, poi a gennaio “New Year's Day” inizia a girare in radio e su Mtv (il videoclip è stato girato il mese precedente in un innevato scenario svedese), regalando a “War”, pubblicato il 28 febbraio 1983, la testa della classifica inglese e l'ingresso al dodicesimo posto di quella statunitense.
Il tour vero e proprio parte il 26 febbraio e impegna la band dublinese quasi esclusivamente in Gran Bretagna, poi ad aprile c'è il trasferimento negli Stati Uniti, stavolta non da gruppo spalla ma soprattutto non più nei club bensì in arene in grado di ospitare diverse migliaia di spettatori. Motivo per cui viene predisposto un palco più grande e assunto uno stage designer incaricato di curare scenografia, abiti di scena e luci. Non siamo ovviamente ancora di fronte alle mastodontiche produzioni live degli anni 90, ma per la prima volta gli U2 si preoccupano della componente visiva dei loro spettacoli, passando anche per lo studio del look, che nella fattispecie assume un tono guerresco, da combattenti pacifisti, si direbbe. E sul palco, oltre alla gigantografia della copertina del disco (lo stesso bambino di “Boy” ma cresciuto e sfregiato in faccia) che campeggia alle spalle di Larry, svetta pure una bandiera bianca simbolo di resa (come da titolo di uno dei nuovi brani, “Surrender”) che Bono durante lo show avrà il compito di afferrare e sventolare con la rabbia di chi è stanco della violenza: immagine che diventerà il “francobollo” di questa prima fase del gruppo.

E gli U2 a questo giro sfondano davvero in America. I concerti sono affollati, la gente li riconosce per strada, non è ancora isteria collettiva ma poco ci manca. C'è però un giorno segnato in rosso sul calendario: il 5 giugno, una data che cambierà per sempre il loro destino. Quel giorno, infatti, il tour farà tappa all'anfiteatro naturale di Red Rocks, presso Denver, in Colorado. Sarà il posto più grande in cui avranno mai suonato fino a quel momento, oltre settemila spettatori di capienza. C'è solo un problema: la venue, uno scenario da favola ricavato nella roccia, si trova a 1.600 metri d'altitudine, e il meteo è un fattore necessariamente da considerare in questi casi, mettendo in conto l'eventualità di una cancellazione last minute. D’accordo, può capitare. Il fatto però è che la band ha deciso di filmare la performance per farne un film-concerto e per questo investe praticamente tutto il denaro guadagnato col tour. Puntualmente, a poche ore dall'inizio del concerto, inizia a piovere così forte che la già fiacca prevendita dovuta ai timori del maltempo si ferma completamente. I quattro però non si perdono d'animo e si mettono a battere palmo a palmo le radio locali, invitando gli ascoltatori a non disertare l'appuntamento, e tanto impegno viene premiato: come per magia, un paio d'ore prima dell'inizio smette di piovere e lo show può quindi tenersi regolarmente.
Alla fine, l’arena si riempie solo per un terzo dei posti disponibili, ma le telecamere faranno in modo che non si noti. Il risultato delle riprese video verrà dato alle stampe solo l'anno successivo in Vhs, ma un paio di canzoni (“Gloria” e “Party Girl”) si potranno già ascoltare sul mini-Lp, anch'esso dal vivo e dallo stesso titolo, in uscita a novembre 1983. “Under A Blood Red Sky”, sia l'album che la videocassetta, è considerato a ragione uno dei più bei live della storia del rock, e anche se il resto del 1983 riserverà ai Nostri altri momenti da ricordare (i festival estivi europei, il bagno di folla nell'homecoming show di Dublino alla vigilia di Ferragosto e un breve quanto memorabile primo tour in Giappone) sarà proprio lo show di Red Rocks a chiudere simbolicamente questo primo capitolo di carriera della band irlandese. Poi, arriverà il trionfo di “The Unforgettable Fire”, ma le basi erano già state saldamente poste in questo primo, emozionante quadriennio di vita degli U2.