Mississippi John Hurt

1928 Sessions, viaggio alle radici del country blues

La vita semplice, onesta e dimessa che emerge dalla storia personale di Mississippi John Hurt (1892-1966) si svolge per la gran parte nelle sperdute campagne che costeggiano il fiume Mississippi nell’omonimo stato degli Usa. Un artista che viene inserito, giustamente, tra i grandi del countryblues, la cui musica è stata di ispirazione, tra gli altri, per Bob Dylan, ma che è stato contemporaneamente un mezzadro per quasi tutta la propria esistenza. La manifesta, umile bontà e la gentilezza priva di artifici che traspaiono dal volto e dagli atteggiamenti di questo stimato chitarrista coesistono, inoltre, con un vasto seguito di appassionati creatosi sia negli anni che ne hanno preceduto la morte che successivamente.
Autodidatta alla chitarra acustica, suonata con uno splendido fingerpicking, egli sviluppa fin da adolescente uno stile inedito proprio perché frutto di un relativo isolamento tanto geografico quanto musicale-culturale. Come molti bluesmen degli anni 20 del ‘900, inizia a suonare nelle feste di campagna e in locande di poco conto, per poi essere notato dalla persona giusta e avere così accesso agli studi di Memphis prima e New York poi.

Siamo nel 1928 e dai tredici seminali pezzi registrati in quell’anno scaturiscono alcuni singoli che non ottengono alcun significativo riscontro commerciale. L’arrivo della grande depressione nel 1929 spazza via le ultime velleità di John Hurt, il quale torna a prendersi cura dei campi in Mississippi. Seguono trentacinque anni di duro lavoro che terminano nel 1963, quando viene riscoperto nell’ambito del revival folk e blues vissuto da Stati Uniti e Inghilterra. Tre anni scarsi di ulteriori e importanti registrazioni lo conducono a una morte serena e senza rimpianti, che lo coglie subito dopo l’arrivo dei riconoscimenti pubblici ampiamente meritati.
In questa recensione prenderemo in considerazione i tredici brani messi su vinile da Hurt nel 1928 (diffusi a partire dai primi anni 70 in varie versioni su vinile e cd), consigliando però vivamente anche l’ascolto del materiale inciso dal 1963 al ’66 dopo la sua riscoperta.
“1928 Sessions” è un disco dalla qualità audio piuttosto buona per essere stato inciso circa cento anni fa, formato da tutte le composizioni registrate nella prima fase della carriera professionistica del bluesman, la quale si svolse, appunto, nei mesi di febbraio e dicembre 1928. Buona parte di esse sono state pubblicate all’epoca sotto forma di settantotto giri, mentre una (“Big Leg Blues”) era rimasta negli archivi inutilizzata. Oltre alle tredici qui presenti, il musicista registrò alcune altre tracce nelle due sedute di quell’anno che sfortunatamente sono andate perdute nel corso dei decenni.
Lo stile chitarristico di Mississippi John Hurt costituisce un'anomalia rispetto a quello degli altri bluesmen del Delta, avvicinandosi alle forme più agili e melodiche che caratterizzano invece l’East coast blues (conosciuto anche come Piedmont blues). A dare sostanza a questa eccezione è l’influsso esercitato sulla chitarra acustica di Hurt dal ragtime, una movimentata musica da intrattenimento suonata al pianoforte, importantissima dal punto di vista storico-musicale ed enormemente popolare tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 negli Stati Uniti.
L’influenza di questo genere sul blues di Hurt è rintracciabile in due elementi: il ritmo sincopato spesso assunto dai suoi accompagnamenti alla chitarra e il ricorrente tocco delle ultime due corde (quelle dal suono più grave) con il pollice, al fine di marcare il ritmo dei brani (proprio come accade con la mano sinistra sul pianoforte nel ragtime).
In aggiunta al ragtime, le articolate linee chitarristiche di John Hurt sono contraddistinte anche da accenni agli antichi motivi folk propagatisi nel Sud degli Stati Uniti tra la seconda metà dell’800 e l’inizio del ‘900. Da questa musica tradizionale (suonata con violino, banjo, chitarra acustica etc.) Hurt coglie la vivacità delle figure ritmico-melodiche e l’uso dinamico delle prime due corde del suo strumento (quelle dal suono più acuto).
I pezzi di Hurt si traducono quindi in un blues estremamente originale, tecnicamente molto avanzato e dal tocco lieve, accostabile per certi aspetti a quello di Mance Lipscomb.

Mississippi John Hurt - 1928 Sessions


Anche la vocalità di Hurt è un aspetto essenziale della sua arte, capace di distinguerlo nettamente rispetto agli altri bluesmen, sia a lui contemporanei che appartenenti alle generazioni seguenti. Il suo timbro vocale è sottile, morbido, dotato di una espressività difficilmente eguagliabile, che si rivela al contempo commovente e serena. La voce di Hurt crea, inoltre, una profonda intimità con l’ascoltatore, toccandone il cuore attraverso la sua malinconica dolcezza.
Leggermente nasale, soffuso di una sensibilità eloquente e appassionata e percorso da una nota vagamente mesta, il canto di Hurt si combina al suo abile fingerpicking, traducendosi in un country blues contaminato dal folk tradizionale.
“Stack O’ Lee Blues”, “Spike Driver Blues”, “Frankie And Johnny” e “Candy Man” ne sono un perfetto esempio, con le loro strofe trasportate da remote melodie, scorrevoli e affascinanti, che si risolvono in ritornelli dove il blues torna riconoscibile come una poetica allusione. Siamo qui nell’ambito del folk blues, dove prevale un’atmosfera allo stesso tempo intensa e delicata, imperniata su deliziose melodie e sul pregevole lavoro alla chitarra acustica, in contrasto con i toni più scuri e incisivi caratteristici del country blues. Hurt va peraltro considerato uno dei massimi interpreti nella storia della contaminazione tra folk e blues, insieme, tra gli altri, a Mance Lipscomb, Leadbelly e Henry Thomas.
La bellissima e struggente “Louis Collins”, così come “Nobody’s Dirty Business” rendono ancora più manifesta l’influenza del folk tradizionale sulla scrittura di Mississippi John Hurt. Due brani che denotano strutture musicali appartenenti alla memoria folk dei cantastorie attivi nel Sud degli Usa all’inizio del Ventesimo secolo, nelle quali il blues è evocato solo in controluce, ma non esplicitamente svelato.
Oltre alle tracce appena citate, troviamo nella raccolta anche cinque blues dalla struttura classica, ma dall’esecuzione estrosa e notevolmente personale. “Avalon Blues”, “Big Leg Blues”, “I Got The Blues” e “Blue Harvest Blues” (in ordine qualitativo) sono country blues avvincenti e sentiti, pur essendo dipinti da Hurt con colori tenui e soavi.
Lungo queste canzoni, il ritmo coinvolgente e sincopato delle corde cattura l’attenzione dell’ascoltatore, ribadendo brevi ed eleganti fraseggi melodici dal sapore inusuale per il blues del Mississippi. Essi sostengono la suggestiva voce del bluesman, dolcemente riflessiva nell’alterare, smussandolo con gusto e sentimento, lo stile di canto denso e risoluto solitamente associato al blues del delta.

Una citazione speciale va a “Ain’t No Telling” (che ricalca il traditional “Make Me A Pallet On The Floor”), quinto blues del disco nonché migliore episodio di queste registrazioni. In essa Hurt inserisce una squisita variazione melodica alla parte finale della strofa (ad esempio, dal minuto 0.15 al minuto 0.20, ma viene ripetuta spesso), indicativa della superba capacità compositiva di questo grande bluesman del Mississippi.
A completare le tredici tracce sono due gospel (“Blessed Be The Name” e “Praying On The Old Camp Ground”), brani che simboleggiavano la sincera religiosità di Hurt e che intendevano attrarre un pubblico aggiuntivo rispetto a quello interessato al blues. La pratica di dare spazio a qualche gospel nel repertorio esibito dal vivo o in studio di registrazione non era rara tra i bluesmen degli anni 20 e qui ne possiamo sentire due esempi semplici e quasi uguali tra loro. Ispirati entrambi a inni cristiani precedenti al gospel stesso, essi fanno leva sul palpabile sentimento e sul toccante trasporto che traspaiono dalla voce. Tuttavia, non sembrano del tutto convincenti, soprattutto se confrontati a performance analoghe di altri artisti country blues del periodo.

I testi dei tredici brani affrontano tematiche prevalentemente inerenti la gelosia, il tradimento amoroso e la passione carnale, l’omicidio e la povertà, affiancate da descrizioni di figure pittoresche, come famosi criminali e minatori. Parole che richiamano vividamente il contesto sociale degli afroamericani del Sud degli Stati Uniti nella prima parte del ‘900. Brevi vignette della tradizione, raccontate in maniera spontanea per mezzo di un linguaggio gergale efficace e diretto.
L’unico pezzo a uscire da questa categoria è “Avalon Blues”, composto a New York, durante le seconde session di registrazione del 1928, a partire dalla nostalgia provata da Hurt per essere in quel momento lontano da casa (situata appunto nei dintorni della cittadina di Avalon, in Mississippi). Questi versi sono divenuti noti perché hanno permesso di rintracciare il bluesman più di trenta anni dopo e, conseguentemente, di consentirne la riscoperta artistica.
Le tredici canzoni incise nel 1928 da Mississippi John Hurt (tutte intorno ai tre minuti di durata) rimangono un patrimonio musicale di grande importanza, rilevante per lo sviluppo del folk blues quanto, successivamente, per il cantautorato contemporaneo. Una raccolta emozionante, che riveste un notevole valore sia in quanto atipica e meravigliosa testimonianza della musica tradizionale americana in generale e blues in particolare, sia come strumento molto utile a comprendere meglio lo sviluppo della musica moderna nel ‘900.

21/05/2025

Discografia

Pietra miliare
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