Se quella nel titolo voleva davvero essere una domanda, la
risposta è: sì.
E' realmente il fantasma di Roman quello che si propone nel
2005, e che va a prendere il posto del misurato cantante, autore di un discreto
debutto due anni fa.
L'approssimarsi di Halloween, festività pericolosamente
a tema col titolo dell'album, suggerisce una domanda impertinente: lavorando a
"So Ghost?", Roman pensava più al dolce, o piuttosto allo scherzetto?
Diciamolo: se si dovesse accontentare d'una manciata di squisitezze per
ricominciare daccapo, togliendoci così dall'imbarazzo di scrivere della sua, e
purtroppo da oggi nostra, nuova fatica, faremmo volentieri una puntatina alla
tabaccheria dell'angolo, assai fornita di liquirizie e lecca lecca, pur di
raggiungere lo scopo. Se invece è tutto uno scherzo, ebbene, non possiamo
neppure annoverarlo fra quelli riusciti, o divertenti.
Tedesco di belle
speranze, Roman ha debuttato nel 2003 con "5 Minutes To Match", disco dalle
profonde atmosfere poptroniche che ammiccava ora ai Depeche Mode, ora ai Japan, per via di un tono di voce baritonale
sposato a un certo romanticismo eighties. Non male: qualche ingenuità, certo, ma
anche evidenti segnali di una capacità tutta da sviluppare.
Saranno state le
critiche mediamente positive, sarà l'eccessiva fiducia nelle proprie doti canore
e compositive, fatto sta che il giovanotto stecca clamorosamente la seconda,
riuscendo nell'impresa di condensare in soli 33 minuti una pretenziosità fuori
del comune, associata a una scrittura fiacca e sovente prevedibile. Non è chiara
la strada che il Nostro vorrebbe imbucare, combattuto com'è fra pruriti da
classifica e maldestri esperimenti in salsa pop. Il tutto condito da una
produzione che vuol risultare grezza, ma che suona semplicemente come
approssimativa e malriuscita.
Poche idee ma confuse, insomma, giocate
all'insegna di un eclettismo che non s'addice a chi non è in grado di aggregare
in modo convincente nemmeno le poche intuizioni che ha. E dire che l'album non
inizia neppure nella maniera peggiore: se "Little Baby" vuol essere un omaggio
al Robert Palmer in mise da bancario che anni addietro, col sorriso a
ventiquattro denti, centrava di tanto in tanto una superhit (ma ne dubitiamo),
almeno in quest'occasione la citazione è salva.
Forse persuaso di averci
ammaliato con un incipit in cui sono concentrate, ahinoi, la metà delle cose
presentabili di tutto il disco, Roman si cimenta, con la seguente "Skiver", in
quello che dovrebbe essere un saggio di vocalizzo virtuoso per pop sincopato.
Peccato che il risultato assomigli in modo preoccupante a una prova per volume e
microfono, talmente tronfia da non cogliere la piega dei raffazzonati
arrangiamenti simil-digitali che l'accompagnano: l'imbarazzo è palpabile, e Patrick Wolf su un altro pianeta.
Potremmo indugiare in descrizioni ingenerose nei confronti di un
musicista che, ci auguriamo, questa volta ha solo sbagliato mira: è un peccato,
ma a volte accade. Ma sappiate che è difficile far peggio che in "Cuddle For A
Corpse" (aiuto, il tema cadavere ritorna!), forse un demo prelevato tale e quale
fra gli scarti di Robbie Williams, che i diavoli avrebbero di sicuro preferito
trovare occupato, piuttosto che udire gli sciapi gorgheggi di "Devils Call", con
l'augurio infine che la malcapitata cui è gridato il disperante (per noi)
sentimentalismo di "I Found Love" non ne riceva mai notizia, magari perché
intenta ad ascoltare gli Smiths
originali, piuttosto che la loro triste parodia.
Insomma: rientrate
nella categoria dei bastian contrario? L'anima di San Tommaso alberga in voi?
Siete fra coloro che, allorché leggono una stroncatura, s'incuriosiscono e
corrono in men che non si dica ad acquistare il cd, solo per il gusto perverso
di dar dell'incompetente a chi la scrive? Accomodatevi. Ma poi non dite che non
vi avevamo avvisato.