Boris Savoldelli deve vivere su un'isola di jazz in un oceano di rumore. Mi era capitato tra le mani il suo “Insanology” qualche tempo fa e mi aveva spiazzato la completa mancanza di riferimenti, il minimalismo che permeava un lavoro di avanguardia che faceva dell'anarchismo il libro bianco su cui improvvisare e lacerare, in parte coadiuvato da Marc Ribot.
Di Elliott Sharp, invece, conoscevo l'approccio matematico alla musica e un album coi Merzbow di un paio di anni fa, le derive tra frattali e frequenze e la passione per un polistrumentismo eclettico e appassionato.
Savoldelli – Sharp (quindi “Protoplasmic”) è invece un esperimento che fa della profondità lo spirito comune multiplo che assorbe i gradi sonori di modulazioni che occupano ben più che lo spazio entro cui riescono a vibrare, ma che sembrano fluttuare nell'aria quasi restandoci a galla.
L'attitudine al suono di Sharp è quella di un Bill Frisell del periodo newyorkese, delle divagazioni rumoriste e delle atmosfere soffocanti à-la Naked City.
Se “Khaotic Life” espande le geometrie di un chitarrismo brutalizzato dagli effetti autoprodotti dall'artista americano, “Reflective Mind” e “Nostalghia” sono l'area temporale in cui Savoldelli sembra giocare con la materia a sua disposizione e il risultato è un'immagine tra il lirico e l'onirico, in cui riaffiorano memorie di Demetrio Stratos, a cui Savoldelli sembra voler rendere chiaramente omaggio in “Prelude to Biocosmo pt. 1 & 2”.
Un lavoro generato per caso, per una collaborazione nata in maniera altrettanto accidentale. Eppure un esempio di come l'attrito rumorista possa aprire delle strade nuove alla musica popolare e accessibile a un grande pubblico.
Resta la testimonianza di un'improvvisazione settembrina a Manhattan: un incanto per pochi per il consumo di molti.
13/06/2009