Wagakki Band

Vocalo Zanmai

2014 (Avex)
visual-kei, hard-folk, j-folk

Ah, il Vocaloid. Lanciato come sintetizzatore vocale dalla Yamaha poco più di dieci anni fa, in breve tempo ha raggiunto un livello di popolarità tale in madrepatria da diventare un vero e proprio fenomeno di costume, con tanto di popstar (digitalissime, s'intende) a interpretare pezzi integralmente composti con il programma ed essere esportato con enorme successo anche altrove, finendo con l'effettuare una sortita addirittura negli studi di David Letterman. Anche in un panorama così convulso e spietato come quello del pop giapponese, l'ascesa di personaggi olografici come Miku Hatsune è un fenomeno tutt'altro che da sottovalutare, l'indice della costruzione di un linguaggio musicale, ma ancor più meta-musicale, che potrebbe letteralmente cambiare la futura fruizione artistica.
Spicciola pseudo-sociologia a parte, cos'ha a che vedere un programma di composizione audio con l'affascinante combriccola di personaggi di cui ci si appresta a parlare, una ciurmaglia non meglio identificata di simpatici figuri in costume che sembra venuta fuori dalle pagine del copione de “La principessa Mononoke”? Un dilemma apparentemente irresolubile. Nemmeno il nome sotto cui questa compagine si presenta ci permette di districarlo: definirsi come una band che suona strumenti della tradizione nipponica (wagakki, per l'appunto) difficilmente svelerà l'arcano. Che c'entri qualcosa forse quel titolo? Risposta esatta!

“Vocalo Zanmai”, esordio per l'ensemble di otto elementi capitanato dalla carismatica personalità di Yuko Suzuhana (polistrumentista, recitatrice di poesie, cantautrice coinvolta in un molteplice numero di progetti), ha infatti parecchio a che spartire con l'humus che ha fatto nascere le nuove eroine digitali. Se non nasce da quell'ambiente (com'era ovvio che fosse) se ne è però lasciato contagiare, permeare come si trattasse di un nuovo abito da sfoggiare. Una compenetrazione d'intenti giunta a tal punto da far sì che i pezzi inclusi in questa prima raccolta siano stati scritti proprio per le immateriali popstar di cui sopra... No, un altro disco di cover! Come se il mondo non ne fosse già pieno, di inutili dischi di cover con cui riempire i cassettoni dei supermercati!
Aspettate, prima di trarre le conclusioni. Anche con un semplice ascolto di questo lavoro, potreste ricredervi sulla creatività che può animare un disco di rivisitazioni, se l'idea alla base si regge sui suoi piedi. Nessuna rielaborazione neoclassica, men che meno riproposizioni acustiche: a dimostrazione che una canzone non è soltanto una mera sequenza di accordi, ma ha spesso (quasi sempre, verrebbe da dire) bisogno di un arrangiamento e di un'interpretazione adeguati, l'album stravolge nel profondo le composizioni di partenza, affidandole a un team di specialisti che ne ha innalzato le premesse iniziali e le ha elevate allo stato dell'arte del rock made in Japan, con un sound di cui adesso nessuno dispone.

Lascia alquanto sconcertati constatare che sia proprio mamma Avex ad aver curato la pubblicazione di un disco del genere: siamo lontanissimi dall'estetica pop propria della label, alle prese con un mélange sonoro che appartiene esclusivamente alla band, ed era davvero impensabile che l'etichetta più in vista di Giappone passasse a scritturare qualcosa di lontano dalla propria orbita. L'incredibile è avvenuto: è vero che la moderna cultura nipponica marcia da sempre sul sottile crinale che separa e fonde tradizione e slancio avvenirista, ma che si arrivasse a piazzare però in top 10 un album dai profumi così antichi era andare troppo in là con l'immaginazione. Già, l'antichità. Reclamata sin dalle premesse, sbandierata nell'estetica, è il fulcro dell'operazione di de-/ricostruzione dei brani, nel suo tripudio di koto, shakuhachi, shamisen e wadaiko che spostano le coordinate sonore del progetto indietro di qualche secolo.
Eppure, non è un semplice ritorno alle origini, non è un classico omaggio alla tradizione, di quelli che ormai da tempo si riversano con ondate cicliche a provare a variare le carte in tavola delle classifiche giapponesi. Qui è la sinergia tra il passato e il presente la carta che la band gioca per presentarsi al pubblico, la cooperazione fattiva tra elettrico e acustico, tra recitato e cantato, a svelare un'originalità di approccio di cui nessuno, nemmeno le più fervide tra le formazioni visual-kei può vantare. Chitarre abrasive in fascia hard & heavy, basso stiloso e avvincente, una batteria che sa fornire cambi di dinamica da brano a brano: è nell'ostinata attitudine al sincretismo stilistico che l'ottetto manifesta tutta la sua invidiabile personalità, un sincretismo perseguito a tal punto da rendere plausibili scambi tra epoche lontanissime, come in un crocevia virtuale in cui incontrare musicanti di strada, menestrelli di corte e la più emozionale tra le power-band in circolazione.

Una cernita dei migliori pezzi? Operazione impossibile: procedendo per piccole variazioni (un'alternanza vocale qua, qualche maggiore coloritura di chitarra là, qualche piccolo svolazzo di shakuhachi da qualche altra parte), il lavoro si presenta forte di un'omogeneità così stoicamente ricercata da rendere abbastanza difficile non soltanto l'individuazione delle belle sottigliezze di arrangiamento e composizione, ma talvolta anche delle stesse melodie, eppure solidissime nell'impianto e variegate nelle strutture. Questo, se da un lato a molti renderà senz'altro più pesante l'esperienza d''ascolto, dall'altro rende possibile l'evidenziamento di una formula artistica che non ha bisogno di grandi cambi d'impronta per lasciare il segno, che comunica perfettamente in mille modi diversi senza dimostrazioni pirotecniche.
Un riascolto, e poi un altro ancora (perché arriveranno, in fila, uno dopo l'altro) consentiranno poi di evidenziare con la dovuta calma le varie piccole e meno piccole sfaccettature di un'opera decisamente più complessa di come pare di primo acchito. Finezze strumentali e struggenti interpretazioni a parte (e la Suzuhana ne regala a volontà), quel che resta sin da subito è la percezione di come la creatività, se messa a fruttare nel modo giusto, riesca ancora a partorire prodotti dalla grande unicità, lontani da steccati e barriere. A costo di uscirsene con una sparata, nemmeno le sublimi intuizioni di Akiko Yano si sono spinte a una tale organica commistione tra tempi e culture.

La Wagakki Band, al netto di qualche piccola sbavatura nella sua presentazione, resta in ogni caso tra le rivelazioni dell'anno. A voi la palla adesso.

09/12/2014

Tracklist

  1. Tengaku
  2. Setsuna Trip
  3. Yoshiwara Lament
  4. Kagerou Days
  5. Nijiiro Chouchou
  6. Iroha Uta
  7. Roku Chounen To Ichiya Monogatari
  8. Tsuki. Kage. Mai. Ka
  9. Episode.0
  10. Shinkai Shoujo
  11. Nou Shou Sakuretsu Girl
  12. Senbonzakura


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