La morte di DJ Rashad, lo spazio riservato agli artisti di Chicago da Hyperdub nelle compilation del suo decennale, il fermento attorno a nomi della sponda Planet Mu come RP Boo e Traxman ha espanso negli ultimi anni – fino a costituirne i confini – il successo del footwork. Un fenomeno fino a qualche tempo fa, una certezza stabilizzatasi oggi, con tutte le conseguenze – positive e negative – che ne conseguono: il costituirsi di una nicchia fissa di ascoltatori e seguaci contro il fossilizzarsi della stessa, la definizione di un'estetica unica e riconoscibile contro il suo perdere progressivamente stimoli e spunti, la diffusione di nomi sulle bocche di molti contro la riduzione dell'effetto-sorpresa (e di conseguenza della capacità attrattiva dei nomi stessi).
Potremmo andare avanti con l'elenco pressoché all'infinito, ma a meritare decisamente di più righe, parole e attenzione è questo esordio sulla lunga durata di Jlin: la più giovane delle partecipanti alle mitiche “Bang & Works”, la meno esperta ma la più versatile, la mascotte del gruppo, nonché l'unica artista di sesso femminile a tenere testa ai baluardi di quella Chicago. Dotata di una creatività non comune ma anche e soprattutto di un'apertura mentale inedita e quasi “evasiva”, ribelle – e dunque di una capacità di miscelare influenze, stili, suoni e tendenze senza contemplare alcun paletto – ha realizzato con “Dark Energy” il prodotto footwork più fresco, coinvolgente, esportabile degli ultimi anni.
Già l'apertura piano-archi-canto lirico che introduce la cavalcata oscura ed epica di “Black Ballet” basterebbe a depistare ogni aspettativa sul disco: con la stessa naturalezza innocente di una Jessy Lanza e la faccia tosta di una Ikonika, Jlin pesca dal kitsch e gli ridà gusto, lo plasma a suo piacimento. Salvo poi piazzare subito dietro un mantra post-juke da ko come “Unknown Tongues”, che però inizia con sample di arabeschi, giusto per non abbassare il livello di istrionismo. Il tentativo è quello di tenersi alla larga da qualsiasi identità: sulla title track elementi tribali e percussioni incontrano richiami dubstep e risate orrorifiche, “Infrared (Bagua)” procede a testa bassa verso il grime, “Ra” scarnifica la miscela sfiorando territori abstract.
Non c'è spazio per la “normalità” nemmeno laddove un equilibrio, seppur minimo, pare iniziare a prendere forma: lo schiacciasassi nero pece di “Guantanamo” preferisce una claustrofobia psicopatica all'usuale carica ipnotica, “Erotic Heat” trasfigura le pulsioni carnali infarcendole di (finta) innocenza, “So High” cerca e trova un inedito contatto con l'r'n'b mainstream. E poi c'è “Abnormal Restriction”, che prende in giro il brostep e i gridolini di Skrillex chiudendo senza peli sulla lingua. Niente spazio per compromessi di nessun genere, entusiasmo a dosi copiose e una faccia tosta di una certa importanza: questi gli unici segreti del manifesto della gioventù footwork. In attesa di capire cosa comporterà la necessaria e inevitabile, prossima maturazione.
02/04/2015