Walkabouts

Walkabouts

Folk-rock nel torbido stagno grunge

Figlia del punk così come della tradizione country-folk, la band guidata da Carla Torgerson e Chris Eckman ha saputo brevettare - durante gli anni - un personale formato di canzone d'autore Americana, approdando sino al nuovo millennio con dischi tanto elettrici quanto straordinariamente evocativi

di Marco Donato, Claudio Lancia

Generalizzare è sempre un male, soprattutto quando si parla d'arte; schematizzare può essere utile a fini didattici, ma il saggio non ignora che ogni legge è uno strumento e non un fine. Nella mentalità comune, la Seattle della seconda metà degli anni 80 è vista come la patria dei germi del movimento grunge, che sconvolgerà di lì a poco la scena del rock mainstream donando nuova linfa vitale al titanismo autodistruttivo dell'hard-rock dei Seventies; ma i Walkabouts non potrebbero essere più distanti da questa realtà. Il nucleo creativo della band è formato dalla coppia costituita da Chris Eckman e Carla Torgerson, i principali compositori, che si alternano alla voce solista. Il loro è un folk-rock dai colori sferzanti e malinconici, ora delicato e sapientemente intessuto di un soffuso manto di nebbia, ora frizzante e genuino, ruvido e immediato come impone la lezione del punk.

E' quest'ultimo il lato a trionfare nella primissima produzione della band: le composizioni sembrano appena abbozzate, così nei primissimi exploit discografici (un demo omonimo e l'Ep "22 Disasters", rispettivamente 1984 e 1985), come nel loro splendido esordio su long player: See Beautiful Rattlesnake Gardens (di tarda uscita - 1987 - a causa di un disguido contrattuale). Schegge di irruenta e acida vitalità sono "Laughingstock", corrosiva cavalcata di Eckman, l'iniziale "Jumping Off", l'incedere alla Buzzcocks di "Breakneck Speed"; verso una dimensione più morbida, l'agreste "This Rotten Tree" e l'acre profumo di legna bruciata di "John Reilly". Qualche filler non ostacola la buona riuscita dell'opera: i Walkabouts hanno fatto un botto che i loro depressi "rivali" possono solo sognare.

Weights And Rivers esce l'anno successivo sotto forma di mini-lp: raccoglie, oltre ad alcuni singoli antecedenti al debutto (tra cui "Linda Evans"), la stupenda "Cyclone", un torrido viaggio quasi psichedelico in un morboso labirinto di veli armonici concentrici, tra le gemme dell'intero repertorio.

In Cataract (1989), ciò che nel primo album era confuso e frammentario assume una propria identità uniforme (se non ancora sclerotizzata, come poi in seguito): "Whereabouts Unknown", con la sua cadenza medievaleggiante, è degna dei migliori Pentangle, mentre "Hell's Soup Kitchen" e "Bones Of Contention" si fregiano di strutture elementari per spazzare via la noia dell'eccessivo preziosismo. Cadute di stile come "Smokestack" e brani anonimi come "Whiskey XXX" non riescono a minare la profonda armonia di un lavoro già maturo.

Da qui in avanti, i Walkabouts non sapranno che ripetere quanto espresso vigorosamente nei primi lavori, avvicinandolo sempre di più ai gusti del pubblico meno estremista e al comodo linguaggio della tradizione roots. L'Ep Rag & Bone (1990) è un disco di transizione: l'aggiunta del pianoforte ravviva "The Anvil Song" (altrimenti totalmente priva di fascino intrinseco), mentre a spiccare sono i brani più malinconici ("Medicine Hat", lenta e vibrante, e la frondosa "Last Ditch").

Sintomatico di questo primo periodo di smarrimento è il patinato Scavenger (1991), forse il loro primo album del tutto in linea con i canoni del genere roots.
Se da una parte le istanze "sperimentali" (o perlomeno "artistiche") si fanno più esplicite (ad esempio la splendida e dilatata "Train To Mercy", indimenticabile chiusura dell'album, alla quale collabora Brian Eno), dall'altra il desiderio di coesione tende ad appiattire i singoli episodi, e anche i brani che spiccano non sono poi quel granché (i singoli "Dead Man Rise" e "Where The Deep Water Goes", oppure l'aspra parentesi di "Hang Man").
Paradossalmente il loro stile tende ad evolversi (se di evoluzione si può parlare) verso un robusto ma placido easy listening da salotto.

Questo rischio è evitato dalla band stessa con la magnificenza di New West Motel (1993), un mosaico saturo di colori e forme, che esplora ogni potenzialità espressiva dello stile folk-rock adottato da Eckman e soci. La Torgerson ci delizia con due delle sue esecuzioni più sentite: "Jack Candy" e la languida "Sundowner", prima che ogni restante dubbio sia dissipato dall'incedere sfrenato di "Grand Theft Auto", una power-ballad schietta e pesante come un macigno, veloce e precisa nella sua perfetta disperazione.
L'ascoltatore è condotto dal sapiente gioco di luci e ombre degli artefici verso un limbo sonoro d'incessante divenire: "Glad Nation's Death Song", "Sweet Revenge", "Drag This River", "Snake Mountain Blues", uno a uno ecco che squarciano l'orizzonte i canti eterni, già profondamente scavati nell'inflessibile pietra, di questi cinici e disillusi menestrelli.

Per molti tratti album complementare della folle corsa di New West Motel, il meraviglioso Satisfied Mind esce prima della fine dello stesso anno. Costituito interamente da cover, costituisce la controparte lieve e frugale alla magniloquenza del suo predecessore, presentando una scelta di repertorio azzeccatissima e una serie di esecuzioni decisamente stellari. La title track è uno standard country (riletto, tra gli altri, da Porter Wagoner) eseguito con leggiadra maestria, ed ecco che la Torgerson ci introduce a una passionale e agreste versione di "Loom Of The Land" di Nick Cave.
Nelle abili mani dei Walkabouts, sembra che questi brani risuonino da sempre facendo vibrare con la loro sottile brezza le spighe di grano. "The River People" di Robert Forster trasporta la magia in un ritmo un poco più incalzante, ma il risultato è sempre efficacissimo, così come nella tenera "Polly" di Gene Clark, o nella superba rilettura di "Buffalo Ballet" di John Cale. In "Feel Like Going Home", forse l'apice del disco per tensione spirituale e vigore espressivo, un Mark Lanegan in ottima forma è un ospite quantomai gradito, mentre "The Storms Are On The Ocean" fluttua malinconica sulla linea di un orizzonte crepuscolare; la conclusione dell'album è affidata a un'accorata versione a due voci di "Will You Miss Me When I'm Gone", un altro standard.
Questo è ben più di un album di cover, è un viaggio alla ricerca delle proprie radici, è il tentativo di costruire un linguaggio espressivo universale che riconsegni l'uomo alle sue origini, è un ingenuo e splendido (perlomeno dal punto di vista estetico) passo verso una riconciliazione fra l'uomo e la terra, all'insegna di quell'innata spiritualità ctonia che permea indissolubilmente la tradizione musicale americana.

Dopo aver conquistato questa vetta il gruppo non trova di meglio che tornare alle atmosfere sciacquate di Scavenger, allungando ancora un poco il brodo nel discreto Setting The Woods On Fire (che purtroppo non ha nulla a che vedere con l'omonima canzone di Hank Williams).
Effettivamente è presto per parlare di decadenza: forse i nostri eroi si stanno semplicemente riposando ("Hole In The Mountain", "Bordertown"), anche se ogni tanto qualche colpo riescono ancora a metterlo a segno (il singolo "Good Luck Morning", la divertente "Firetrap").

Il vero sfacelo arriva nel 1996, con Devil's Road: la band è passata alla Virgin e decide per l'occasione di ripulire ancora un po' il sound e di aggiungere maestosi arrangiamenti d'archi (!) alle proprie composizioni. Il risultato è probabilmente il loro disco più goffo e informe: "The Light Will Stay On" è il manifesto della svolta, un singolo pop da classifica che però in classifica non ci arriverà mai. Tuttavia, qualcosa da salvare c'è sempre: "Rebecca Wild" potrebbe essere (con un arrangiamento meno pretenzioso) una perla del repertorio passato. Si potrebbe dire che nel tentativo di ottenere un successo commerciale, i Walkabouts hanno davvero seguito la strada del Diavolo, vendendo la propria anima, sia quella ruvida e istintiva (sepolta per sempre nel caotico divenire di New West Motel), sia quella pulsante e positiva (consacrata da un fulgido monumento come Satisfied Mind), alla ricerca di una gratificazione professionale che tarderà ad arrivare.

Se non altro, nel loro secondo album per la Virgin tentano di limitare i danni e, bisogna ammetterlo, evitano per questa volta di percorrere la strada più semplice. Ancora easy-listening, ma immerso in un'atmosfera fumosa, urbana, notturna (come dice il titolo), probabilmente la più grande concessione della band alla modernità. I gioielli sono la ballata "Tremble Goes The Night", lo splendido quasi-trip hop (!) di "Follow Me An Angel" e il singolo "Immaculate".
Si può dire che Nighttown sia un bel colpo per chi pensava che la band avesse esaurito le proprie idee e un grande ritorno per chi era rimasto deluso dalla piattezza di Devil's Road. Tuttavia è più un lavoro furbetto che realmente consistente.

Tornati alla Glitterhouse dopo il fallimento commerciale della stagione Virgin, i Walkabouts pubblicano quello che è tuttora il loro album più desolato e anonimo. Trail Of Stars (1999) ha dalla sua parte solo le suggestioni mistiche di "Desert Skies" e sprofonda presto nella noia, tanto che sembra sia stato assemblato con gli scarti delle sessions dei due album precedenti. Da dimenticare.

Per riscattarsi di fronte alla critica e al pubblico, in mancanza di un repertorio solido e adatto alla situazione, i Walkabouts riprendono in mano l'idea dell'album di cover con Train Leaves At Eight (2000), spostando però completamente l'asse di Satisfied Mind e trasferendolo nell'Europa continentale. Si tratta di un esperimento curiosissimo e spesso azzardato (la cover di "Solex In a Slipshod Style", la cover di un collage della dj olandese Solex), ma efficace solo a metà. Le riletture più riuscite sono la title track (di Mikis Theodorakis), la bella "Disamistade" di De André, "That Black Guitar" di Vlado Kreslin e "People Such As These" di Jacques Brèl. Inutili molte altre, tra cui una tediosa rilettura di "Leb'Wohl" dei Neu!; discutibile, inoltre, la scelta (evidentemente per ragioni pratiche) di "riscrivere" i testi in lingua inglese, per quanto la traduzione sia abbastanza fedele.

Ended Up A Stranger (2001) riprende il discorso lasciato in disparte per elevarlo a un livello superiore: la banalità di Trail Of Stars rivive ancora, ma è salvata da arrangiamenti sempre più astuti e accattivanti, che tengono distante il fattore noia. "Lazarus Heart" riesce addirittura a ricordare, con un avvolgente tessitura d'archi, i Tindersticks più solenni; "Radiant" è l'estrema dimostrazione di come ormai la band sia priva di idee concrete, ma sappia presentare quel poco che raschia sul fondo del barile in una veste irresistibile.

Le due compilation del 2003 sono totalmente trascurabili, spingendosi al massimo a ripescare New West Motel (l'immancabile "Grand Theft Auto" che, guarda caso, in Shimmers manca) e presentando una visione incompleta e terribilmente parziale del percorso della band; Slow Days With Nina (2003) è un delizioso tributo a Nina Simone (anche se le esecuzioni non sono sempre all'altezza, basta ascoltare "Lilac Wine").

Il ritorno del lato ruvido della band è sancito dal fragoroso Acetylene (2005), salutato da pubblico e critica con entusiasmo.
L'album è stato concepito durante la campagna elettorale per le presidenziali americane ed assorbe tutta la rabbia e la frustrazione di chi trovava la rielezione di Bush jr. un'eresia.
Le canzoni rappresentano una sorta di chiamata alle armi, il suoni sono sintetizzabili dalle parole di Chris: "come se Neil Young avesse incontrato i Wire da qualche parte nel 1977".
Il profondo senso di urgenza traspare chiaramente da questo infuocato dischetto, i suoni del loro primo periodo oggi sarebbero risultati inadeguati: occorreva qualcosa di più "urban", di più infammabile e velenoso.
Il disco è stato registrato in presa diretta, con i cinque protagonisti disposti in circolo come in un accampamento nel bel mezzo del deserto, in modo che ognuno potesse guardare gli altri e tirar fuori qualcosa dall'osservazione delle espressioni altrui. 
Uno dei punti a favore dei Walkabouts è la profondità dei testi, qui confermata già dalla dichiarazione d'intenti dell'iniziale "Fuck Your Fear", che chiarisce il sound ed il progetto odierno del quintetto, lontano anni luce dalle peripezie di qualche anno or sono, quando da più parti vennero etichettati come i Fairport Convention degli anni 80.
"Non sembra la fine ma un brutto inizio", questa è la presa di coscienza in "Fuck Your Fear", che assieme alla successiva "Coming Up For Air" è stata registrata l'11 settembre del 2004, ben noto anniversario, e da lì si dipana il percorso musicale e lirico del disco.
Alla terza traccia appare la voce di Carla, ma il suo suono è disturbato dalla durezza delle parole; "sopravvivere è solo una parodia, contorta e distorta, nutriamo la bestia finché sarà abbastanza grassa per camminare, There are no devils left in hell"; non ci sono più diavoli all'inferno, son tornati tutti qui sulla terra, questo il terribile incipit di "Devil In The Details".
Parole dure, crude, disilluse, visioni apocalittiche, fiamme che incendiano luoghi, anche interiori e profondi dell'animo umano, amori disperati, piccoli e grandi disastri, strade deserte e desolate ("Have You Ever Seen The Morning?") o popolate soltanto da lussuriosi tiratardi ("Before This City Wakes"), dittatori e ventriloqui.
Non si trova un filo di speranza in queste liriche, nemmeno quando i suoni si fanno più concilianti e soffusi, nemmeno in un finale intitolato profeticamente "The Last Ones" (noi siamo gli ultimi, e non ci sono più luoghi dove andare).
Straordinariamente curato anche l'aspetto musicale, spesso con code strumentali di grande impatto.

Nel frattempo, Chris Eckman si gioca la carta solista di The Last Side Of The Mountain (2008), e si dedica ad un mare di progetti paralleli (Dirtmusic, Willard Grant Conspiracy), allargando ulteriormente il proprio spettro d'azione e consolidando la propria reputazione ben oltre i confini degli stili musicali che aveva finora brillantemente frequentato.

Ad ottobre 2011, a ben sei anni di distanza da "Acetylene", viene pubblicato Travels In The Dustland, ma basta ascoltare la voce di Carla Togerson nell'iniziale "My Diviner" per essere ripagati completamente della lunga attesa.

Accanto a Chris e Carla vengono confermati Michael Wells al basso, Glenn Slater alle tastiere e Terri Moeller alla batteria, più la new entry Paul Austin (già con Willard Grant Conspiracy) alla chitarra.
"Dustland" è meno cattivo di "Acetylene", un tantino più rifinito, ma altrettanto efficace, con undici tracce che sanno di polvere e di chitarre ben stagionate.

La qualità delle canzoni è come al solito straordinaria, folk rock che si contamina con un sopraffino approccio alternative, dove Carla rappresenta la dolcezza e Chris l'indignazione,

Alcuni brani risultano programmatici sin dal titolo ("Every River Will Burn"), ma questa volta l'aggressività resta latente, controllata, in un gioco d'insieme assolutamente riuscito e di gran classe.

E' il viaggio il motivo dominante ("Long Drive In A Slow Machine"), fra blues metropolitani ("Rainmaker Blues") ed orizzonti irraggiungibili ("Horizon Fade"), con il vento sempre pronto a scompigliarci i capelli ("Thin Of The Air").

I Walkabouts tornano a rubarci l'anima ("Soul Thief") per regalarci meravigliose storie di terre polverose ("The Dustlands") e cieli malinconici ("Wild Sky Revelry"), con episodi di una dolcezza disarmante ("They Are Not Like Us") alternati ad altri classicamente rock ("No Rhyme, No Reason").

Un risultato oltre le più rosee aspettative, conseguenza di immenso mestiere, grande equilibrio di fondo ed ispirazione costantemente su livelli d'eccellenza.

A novembre 2012 arriva nei negozi Berlin, emozionante sintesi di un concerto tenuto al C-Club di Berlino durante il recente tour europeo. E’ il primo live ufficiale dei Walkabouts, e si impone da subito come mirabile instant classic, una pietra angolare della moderna Americana, un disco superbo, che tutti gli appassionati del genere dovrebbero possedere.

La qualità dei brani selezionati è altissima, e la resa live dona un plus ulteriore in grado di rendere queste registrazioni imperdibili. Circa metà della scaletta (sei brani sui tredici complessivi) è occupata da estratti dai due lavori più recenti, ma sono ben rappresentati anche “Devil’s Road” (1996), con tre tracce, e “New West Motel” (1993), con due; un brano a testa per “Ended Up A Stranger” (2001) e “Setting The Woods On Fire” (1994).

Berlin mette in fila tredici capolavori assoluti scolpiti durante l’emozionante serata berlinese, spaziando dalla dolcezza infinita di “The Light Will Stay On”, “Border Town” ed “Horizion Fade” alle atmosfere da spy story di “Lazarus Heart”, dall’incalzante iniziale “Rainmaker Blues” agli imperdibili mid-tempo “Rebecca Wild” ed “Every River Will Burn”, dalle rabbiose sferzate di “Acetylene” alle memorabili cavalcate elettriche (scritte con Neil Young nel cuore) “Long Drive In A Slow Machine”, “Jack Candy” e “The Stopping-Off Place”, sino al delirio consumato negli oltre dodici minuti finali di “Grand Theft Auto”. Senza parlare della memorabile “The Dustlands”, resa ancor meglio rispetto alla versione in studio, senza troppi accorgimenti vocali.

Berlin è un lavoro concreto, coerente e sincero,  in grado di restituire intatta tutta la magia di uno show dei Walkabouts, una band in grandissima forma che con quest’opera suggella un momento di forma straordinaria.

 

Walkabouts

Discografia

See Beautiful Rattlesnake Gardens (Pop Llama, 1987)

6,5

Weights And Rivers (mini-cd, StillSane, 1988)

7

Cataract (Glitterhouse, 1989)

7

Rag & Bone (mini-cdSub Pop, 1990)

6

Scavenger (Sub Pop, 1991)

6

New West Motel (Sub Pop, 1993)

7,5

Satisfied Mind (Sub Pop, 1993)

8

Setting The Woods On Fire (Sub Pop, 1994)

6,5

To Hell And Back: Live In Europe 1994 (live, Glitterhouse, 1995)

5

Death Valley Days: Lost Songs & Rarities 1985-1995 (Glitterhouse, 1995)

6

Devil's Road (Virgin, 1996)

5

Nighttown (Virgin, 1997)

6,5

Trail Of Stars (Glitterhouse, 1999)

5

Train Leaves At Eight (Glitterhouse, 2000)

6,5

Ended Up A Stranger (Glitterhouse, 2001)

6

Drunken Soundtracks: Lost Songs & Rarities 1995-2001 (Glitterhouse, 2002)

5

Watermarks: Selected Songs 1992-2003 (anthology, Innerstate, 2003)

6

Slow Days With Nina (mini-cd, Shingle Street, 2003)

6

Shimmers (anthology, Glitterhouse, 2003)

6

Acetylene (Glitterhouse, 2005)

7,5

Travels In The Dustland (Glitterhouse, 2011)

7

Berlin (live, Glitterhouse, 2012)

9

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