Cranes

Cranes - Il volto etereo della dark-wave

Sonorità eteree, in bilico tra dream-pop e shoegazing, condite da atmosfere cupe e da un tocco di malinconia esistenziale: è la ricetta dei Cranes, una delle band più eleganti della "dark-wave" d'oltre Manica

di Claudio Fabretti

I Cranes sono una delle band di punta del movimento dream-pop, fertile laboratorio musicale a cavallo tra i decenni Ottanta e Novanta. Dei "maestri" Cocteau Twins, riprendono soprattutto la dimensione onirica e spettrale, pur senza possederne la stessa potenza evocativa. In più, aggiungono un tocco "dark" preso in prestito da gruppi come Joy Division, Cure e Siouxsie & The Banshees.

La band si forma a metà degli anni '80 a Portsmouth, Inghilterra, su iniziativa dei fratelli Alison e Jim Shaw (rispettivamente basso/voce e batteria). A completare la line-up provvedono Mark Francombe (chitarra) e Matt Cope (basso, chitarra). Per tutti, un background comune, che spazia da New Order a Nick Cave, da Young Gods a Joy Division.

Il demo-tape (1988) Fuse comincia a mettere in luce la band nel circuito indie d'oltre Manica. Il loro repertorio riecheggia apertamente Cocteau Twins e My Bloody Valentine, ma anche Joy Division e Cabaret Voltaire. E' un dark-pop-industrial dalle tinte oscure, permeato di un velo di malinconia esistenzialista.

Dopo tre anni trascorsi a produrre soprattutto brani per compilation, i tre riescono ad autoprodursi il mini-cd Self-Non-Self, che attira l'attenzione di John Peel, il celebre dj della Bbc, e una manciata di singoli ("Inescapable", "Espero", "Adoration, Tomorrow's Tears").

Nel luglio 1990 i Cranes vengono ingaggiati dalla Dedicated (filiale della Bmg/Rca Records) e ottengono un discreto successo con l'album Wings Of Joy, che sfoggia un pugno di ballate minimaliste, metalliche e funeree. Le loro nenie dark sono appoggiate su solidissimi muri di chitarre e giri di basso ipnotici. Sonorità oscure che sembrano riuscire nell'impresa di fondere i sogni dei Cocteau Twins e le visioni inquietanti degli Swans, gli spettri dei Cure e la trance dei My Bloody Valentine. Un piano avvolgente fa da sfondo a sferragliate di chitarra nella spaventosa "Starblood", "Beautiful Sadness" è quasi un manifesto dell'estetica "dolente" della band, mentre l'acquerello neoclassico di "Tomorrow's Tears", la disperazione, quasi mortale, di "Adoration" e la nenia eterea di "Watersong" (con violino pizzicato in apertura) accrescono il pathos. Il canto infantile di Alison Shaw si situa su tonalità più gravi di quelle di Claire Grogan degli Altered Images e meno oscure di quelle di Elisabeth Fraser dei Cocteau Twins, contribuendo a creare un effetto di notevole suggestione.

Ma è con il successivo Forever (1993) che la band di Portsmouth si comincia a ritagliare uno spazio significativo all'interno della scena indie britannica. Rispetto ai primi lavori, le sonorità si fanno ora più morbide ed eteree, componendo sfondi sonori ideali per il canto angelico di Shaw. Le sonorità minimaliste e oscure della band vengono riscaldate da arrangiamenti più "umani": "Far Away" e "And Ever" sono dominate da caldi rintocchi di pianoforte. "Cloudless" e "Rainbows" abbinano all'armamentario della ballata "glaciale" il recupero di sonorità acustiche, così come il singolo "Jewel" (che subirà vari remix da parte di Robert Smith dei Cure, di Jim Foetus e del "boss" della 4AD, Ivo Watts-Russell). Le chitarre aggressive di "Starblood" tornano, seppur meno violente, in "Sun and Sky" e "Clear", che sfoderano anche sirene e conga. Accrescono il clima spettrale il dissonante singolo "Adrift" e la magniloquente "Everywhere", con atmosfere dark stile Siouxsie. Completano l'opera altre due piccole perle: "Golden", altro viaggio a capofitto nella disperazione, e la conclusiva "Shine like Stars", maestosa nel suo mesto incedere da requiem.

Nel frattempo, i Cranes si mettono in luce anche come gruppo spalla dei Cure durante il "Wish tour" del 1994. E' l'anno decisivo per la loro carriera. Esce infatti Loved, il loro capolavoro nonché uno dei lavori più riusciti dell'intero movimento dream-pop. Costruito come concept-album attorno ai temi della solitudine e dell'angoscia esistenziale, il disco sfodera una sequenza di ballate eleganti e funeree, avvolte in una spirale di suoni ossessivi e claustrofobici. Tra strumenti acustici e tastiere sognanti, si fa largo un nugolo di chitarre distorte, che diventano uno dei marchi di fabbrica del gruppo insieme ai vocalizzi eterei di Shaw, allo spregiudicato uso dei pattern costruiti e campionati e a un drumming potente e ipnotico. Si spazia così dalle maestose melodie di "Shining Road" alla struggente elegia di "Are You Gone?", dal valzer magico di "Paris And Rome" agli incubi spettrali della title-track, dall'esile cartilagine "funky" di "Lilies" fino alla meditazione dolente di "Reverie" e al paesaggio sonoro desolato di "Beautiful Friend", che conia una sorta di originale "ambient-western".

Nel 1995 con l'album "La Tragédie d'Oreste et Électre" i Cranes danno un saggio della loro capacità di esplorare nuovi territori musicali, creando un adattamento orchestrale dell'opera esistenzialista di Jean-Paul Sartre. Dominano sonorità semi-industrial, con motivi sghembi di piano che sembrano quasi colonne sonore di Philip Glass e Tom Waits "riarrangiate" da Foetus.

Il successivo Population Four (1997) è una scivolata sul pop più commerciale, che oltretutto non frutta alla band il successo sperato, suscitando invece più di un malumore tra i fan di vecchia data. Il flop dell'album è anche alla base del divorzio dei Cranes dalla loro etichetta, che interrompe la reciproca collaborazione con la pubblicazione di una doppia raccolta intitolata EP Collection Vols 1 & 2 (1998) senza neanche concedere ai musicisti i profitti delle vendite.

Dopo quattro anni, molte vicissitudini e due cambi di formazione (entrano il batterista Jon Callender e il chitarrista Paul Smith), i Cranes tornano nel 2001 con un nuovo disco, Future Songs (prodotto da loro stessi con l'etichetta Dadaphonic), che compie un salto indietro verso le sonorità glaciali delle origini, con ballate melodiche come "Future Song" e "Fragile" e canzoni acustiche eleganti come "Sunrise" e "Driving the sun". "E' un disco più d'atmosfera e meno chitarristico dei precedenti - spiega Alison Shaw, che è anche autrice dei testi - Credo che segni l'inizio di una nuova fase della nostra carriera". Sovraincisi, nei brani, alcuni curiosi rumori ottenuti - spiega Alison - "tenendo un microfono in giardino per tutta la notte oppure raccogliendo i suoni della strada o il battito d'ali degli uccelli".

Nel 2004 esce Particles And Waves, un'altra incursione nel loro sound etereo e trasognato, tutto giocato sui vocalizzi diafani e infantili di Ali Shaw e sull'impasto di chitarre acustiche e tappeti elettronici. "K56" condensa questa formula in due minuti, all'insegna di un costante contrasto alti-bassi, che ha per protagonisti la voce sottile di Ali e le cupe linee del basso. Il canto di Jim, più caldo ma altrettanto sinistro, regge il gioco di "Every Town", languida piece elettro-acustica costruita su un nugolo di effetti e riverberi. "Vanishing Point" unisce alle suggestioni elettroniche la melodia più riuscita del lotto.
Altrove, il clima si fa più spettrale e onirico, come su "Here Comes The Snow", con il suo soffice drumming, le sue dissonanze e i suoi riff di marca shoegaze a far da sfondo ai bisbigli angelici, eppure sempre inquietanti, di Ali.
Un disco che riporta i Cranes all'attenzione dei media internazionali, con più di un merito, anche se ormai è lontano il fervore malato degli esordi.

Nel 2008 con l'omonimo Cranes Alison Shaw e compagni offrono undici nuove canzoni suonate con perizia certosina, condite da sapienza melodica e arricchite da una passione interpretativa vivida e commovente.
In poco più di mezz’ora veniamo cullati da docili marcette sognanti (incubi quiescenti nell’iniziale “Worlds”, risveglio rassicurante con “Worlds”), scossi da beat elettronici facilmente irriconoscibili (sfondo electro-pop per “Feathers”, bollicine traslucide in “Wires”) e infine distratti da una voce che si gonfia raggiungendo l’impalpabilità (“Panorama” pare un inno chiesastico, “Collecting Stones” scorre fra scale di piano e sibili sinistri).
L’uso dell’impianto chitarristico quasi folk giova alla varietà dei suoni, mescolando idee che si collocano fra la canzone bucolica di un cantastorie e la composizione di un artista dedito a un trip-hop oscuro. Ne sono esempio le gocce di melodia trasfigurata di “Wonderful Things” e la conclusione “High And Low”, mai così adatta per sancire il commiato. Le canzoni rimanenti riciclano con fantasia i punti cardine già evidenziati, risultando a tratti un po’ balbettanti ma tutto sommato positive nella loro ingenuità.

Seppur discontinua e altalenante, l'avventura dei Cranes è riuscita a tenere insieme due delle principali anime dell'art-rock anni Ottanta: l'industrial rumoroso di band come Einstürzende Neubauten, Swans e The Young Gods e il pop spettrale di Cocteau Twins e Dead Can Dance. Il tutto aggiornando in chiave "eterea" il dark-sound tipico degli anni Ottanta.

Contributi di Alessandro Biancalana ("Cranes")

Cranes

Discografia

Fuse (demo, 1988)
Self-Non-Self (mini-cd, 1989)
Inescapable (Ep, Dedicated, 1990)
Espero (Ep, Dedicated, 1990)
Adoration (Ep, Dedicated, 1991)
Tomorrow's Tears (Ep, Dedicated, 1991)
Wings Of Joy (Dedicated, 1991)

6,5

Forever (Dedicated, 1993)

7

Loved (Arista, 1994)

8

The Tragedy of Orestes & Electre (Dedicated, 1995)
Population Four (Dedicated, 1997)

5

EP Collection Vols 1 & 2 (anthology, Dedicated, 1998)
Future Songs (Dadaphonic, 2001)

6

Particles And Waves (Manifesto, 2004)

6,5

Cranes (Dadaphonic, 2008)

7

Pietra miliare
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