Albert Hammond Jr

Il risveglio di un cantautore

intervista di Giulia Polvara

Con l'ultimo disco, "Como Te Llama", risalente al 2008, Albert Hammond Jr pone finalmente fine a uno iato durato cinque anni per tornare con l'Ep AHJ. Le tappe italiane del suo tour europeo si avvicinano, e noi abbiamo pensato fosse bene farci due chiacchiere al telefono, se non altro per fare il punto della situazione. Piccola nota: era la mezzanotte di un venerdì sera.

Ciao Albert. Tutto bene? Dove ti trovi?
Ciao! Tutto bene, chiamo dall’aeroporto di Parigi. Il mio tour europeo parte da qui.

È da un po’ che non fai album da solista. Strokes a parte, prova a riassumere in breve quello che è successo in questi ultimi cinque anni.
Uhm...Ho riscoperto parti del mio cervello che sono rimaste addormentate per molto, le ho risvegliate lentamente, e dopo un lungo e doloroso processo di ricostruzione e allenamento sono riuscito a riguadagnare abbastanza fiducia in me stesso per mettermi alla prova e produrre la mia ultima fatica creativa, l’Ep AHJ.

Effettivamente questo è il tuo primo disco dai tempi della disintossicazione da eroina, sbaglio?
Sì, esatto.

Che tipo di impatto ha avuto un cambiamento del genere nel tuo modo di fare musica? Saresti in grado di mettere a confronto il prima e il dopo?
Essenzialmente no. Forse la disintossicazione mi ha semplicemente permesso di tornare a essere più creativo, per quanto paradossale possa sembrare. Effettivamente, durante il primo periodo da “sobrio” mi sono sentito in confusione, non ero ancora in grado di sentirne i benefici. Ma a lungo termine mi ha reso più creativo. Quando inizi a farti di eroina la usi come mezzo per assumere il controllo della tua mente e ti sembra possa offrirti dei modi per liberare la tua creatività. Ma a lungo andare penso che ti tolga più di quanto ti possa dare. Puoi raggiungere gli stessi risultati senza. Voglio dire, una volta che hai aperto quella porta è difficilissimo chiuderla. Ma se continui… non lo so, alla fine dei conti era semplicemente un metodo di auto-distruzione e ho iniziato ad aver paura di non poter più fare musica. Mi avrebbe tolto la stessa ragione per cui avevo iniziato a farmi.

Non fa una piega. E siamo tutti contenti di riaverti così in forma, il nuovo Ep riesce a far tornare in mente i momenti d’oro degli Strokes. Raccontami invece di quando hai iniziato a lavorare al disco. Quando sono arrivati i primi lampi di illuminazione?
Aprile. Ho chiamato Gus [Oberg] il giorno del mio compleanno, dicendo di avere questo verso su cui stavo lavorando – era di “Cooker Ship”. Sentivo che era qualcosa di nuovo, qualcosa che non creavo da tempo. Quando hai questa sensazione, devi fare il punto della situazione e iniziare a esplorare l’idea. Così ci siamo messi all’opera ed è venuta fuori tutta questa bella roba. È stato emozionante, io ero emozionatissimo, Gus era emozionatissimo, anche Julian era emozionatissimo.

Ho letto qualcosa su una sua mail di risposta piena di “SI’! SI’”
Già, erano un bel po’ di “Sì” …! E io comunque ero talmente agitato! Non sapevo cosa ne avrebbe pensato. Credo che più ti è vicina la persona di cui aspetti un parere, più vuoi fare bella figura ai loro occhi.

…più ha peso la loro opinione?
Sì. O forse semplicemente sei talmente emozionato da non vedere l’ora di ricevere un parere da gente che rispetti. Julien, Gus, i ragazzi della band. Ero così entusiasta di quello che avevo fatto e speravo di entusiasmarli perlomeno quanto il disco aveva fatto con me.

Capisco perfettamente. Prima hai nominato Cooker Ship. Mi sembra che il testo di questa canzone richiami in qualche modo al pezzo di un artista che tu stesso hai ripetutamente citato come uno dei tuoi riferimenti musicali principali: “Heroin” di Lou Reed. Sei d’accordo? Era tua intenzione o è stato un caso fortuito?
Sì, è vero. In realtà credo fosse a livello di subconscio, è naturale che i tuoi artisti di riferimento emergano di tanto in tanto nella tua musica. A dire il vero è una storia un po’ divertente, perché credo di non aver azzeccato la citazione.

Già, Lou Reed parlava di “a clipper ship”…
Esatto. In realtà la mia canzone originariamente parlava di “grey crystal ships”, anche se non aveva molto senso. Sai, quando stai scrivendo un testo spesso ti capita di scrivere cose che non hanno molto senso [ride]. Semplicemente mi piaceva il suono di quelle parole quando le pronunciavo. Poi si sono trasformate in “a great cooker ship”. Allora mia mamma, sentendola, mi ha chiesto se la canzone parlasse di droga.

Tu ovviamente hai subito smentito…
Sì sì, anche se mia madre è ovviamente al corrente di tutti i miei trascorsi. Comunque in quel momento mi sono reso conto di quanto fosse simile a quella canzone di Lou Reed. Tutti hanno pensato che fossi arrivato a quel pezzo per via dei richiami all’eroina. In realtà è tutto una coincidenza. Semplicemente mi piaceva il suono che avevano quelle parole combinate tra loro. E per me non avevano un significato univoco. Volevano dire moltissime cose. Avevano una loro forza, ecco. Mi sembravano convincenti.

Quindi quando componi il testo di un pezzo parti da un “nucleo” di parole-chiave, per poi costruirlo sulla base di queste, ho capito bene? Descrivimi il tuo processo creativo.
Non c’è mai un metodo unico. Di solito inizio scrivendo un paio di righe, a volte mi suonano subito abbastanza potenti, altre volte devo ripartire da capo. Se trovi i versi giusti devi poi chiederti “Perché ho pensato questo? Cosa significa?” Sai, in un’ottica universale. Quali altre cose puoi dire partendo da quelle frasi, e a volte puoi persino raccontare un’intera storia attraverso di esse, altre volte non sei così fortunato. Nei miei versi sento di dire qualcosa di molto personale e significativo, anche se non sono ancora riuscito a comprendere questo qualcosa nel suo senso più profondo. Ma so che dietro loro c’è qualcosa, non sono parole in sequenza casuale.

Tornando a parlare delle tue influenze, quali sono stati gli artisti e i generi che hanno modellato il tuo modo di suonare e, più generalmente, di fare musica?
E’ difficile da dire, le influenze si sedimentano nel corso degli anni, e soprattutto cambiano continuamente, senza che te ne renda conto.

Dimmi allora quello che stavi ascoltando nel periodo in cui hai creato questo Ep?
Un anno prima di registrare AHJ ho ascoltato molto i Wipers e i Misfits. Questo è principalmente il genere su cui stavo all’epoca. A volte i Wires, qualche canzone dei Buzzcocks, i Clash. Poi ovviamente ascoltavo anche altre cose. Beethoven, Etta James…

Wow. Gusti musicali molto vari, quindi.
Sì mi piace tutta la musica. Tutta la buona musica. Ascolto molti compositori classici.

Come ti trovi alla Cult Records? Immagino che il motivo principale per cui sei finito lì sia la tua amicizia con Julian, che ne è il fondatore.
Sì, io e Julian abbiamo vissuto insieme per sette anni quando eravamo più giovani. Siamo tuttora grandi amici, oltre ad avere moltissimo rispetto l’uno dell’altro, abbiamo sempre conversazioni molto interessanti. Quindi è partito tutto da una chiacchierata. E quando uno dei due intraprende un processo nuovo e interessante, è sempre bello che l’altro ne faccia parte. E un po’ come tirare ai dadi insieme, non sai come potrà andare, nulla è stabilito, devi solo aspettare e vedere cosa succede. C’è qualcosa di emozionante in tutto questo. Ed entrambi amiamo creare qualcosa di innovativo e proporlo alla cultura di massa, senza doverlo per forza depotenziare.

Trovi che sia più difficile fare musica per l’etichetta di un tuo amico? Ti senti più sotto pressione?
No, anzi, è più facile. Non devi combattere per ciò che vorresti fare. Siete in due e lavorate fianco a fianco per creare qualcosa di migliore. Come quando lavori con grandi produttori o musicisti, rende tutto più semplice. Ovviamente si sentirà sempre la pressione di lavorare bene, a prescindere dal contesto. Ma quando sei circondato dalle persone giuste puoi semplicemente concentrarti su quello, senza pensare alla tua personalità o ad altre piccole questioni che non hanno molto a che fare con la musica.

Stai dicendo che altre etichette discografiche in passato ti hanno spinto verso una musica più commerciale?
No no no. Sono stato fortunatissimo. Con gli Strokes non sono mai arrivato in studio per sentirmi chiedere di registrare un determinato tipo di musica.

C’è anche da dire che gli Strokes si sono abbastanza imposti sul mercato, non è stata solo questione di fortuna.
Sì, ma anche perché ci siamo battuti noi, a partire dal contratto. All’epoca le label non sapevano che la nostra musica avrebbe avuto determinati risultati. Ma se ci avessero detto che il nostro sound non faceva per loro non avremmo mai firmato.

Quando ti sei reso conto che la musica era la tua vera passione, o che ne avresti fatto una carriera?
Che poi è la stessa cosa. Woody Allen ha detto una cosa del genere: “Capisci ciò che ami fare, e se ti sembra di saperlo fare abbastanza bene allora troverai un modo di guadagnarci da vivere” [Ho perlustrato internet per una buona mezz’ora, senza riuscire a trovare alcuna citazione che si avvicinasse minimamente a queste parole, ndr].

Non è proprio così facile, ci vuole una bella dose di fortuna.
Quello che sto descrivendo non è assolutamente facile, in nessun caso. Soprattutto in partenza. Ma è in quest’ottica che credo si debba cercare di vivere. Altrimenti, perché siamo qui?

Ottima filosofia.
Woody Allen. Mi piace molto, seguo tutto quello che fa.

Parlami invece delle tue prime esperienze dirette con la musica.
Ho registrato il mio primo pezzo a 14 anni. Ho sempre sentito la passione, ma all’inizio non era nulla di concreto. È stato a 14 anni che ho sentito di poterlo veramente fare come mestiere.

Ho letto che tu e Julian facevate lezioni di chitarra insieme.
Sì, in verità ho iniziato io. Ero andato a prendere una chitarra da Richie’s e ho scoperto che JP [Bowersock] suonava lì. All’epoca vivevo con Julian. E’ venuto per una lezione ed è andata alla grande. In casa nostra tutte le porte stavano sempre aperte e sentivamo tutto quello che succedeva. Julian ci ha sentiti e ha subito chiesto “Oh, chi è questo tipo?” - anzi, forse avevo già fatto due o tre lezioni con JP - e mi ha chiesto se potevamo fare una doppia lezione. Prima io, poi lui o vice versa. Mi è sembrata un’ottima idea, anche a JP. Così abbiamo iniziato a passare i pomeriggi con lui, parlando o meglio ascoltando le sue storie di vita, o i suoi aneddoti culinari.

Ci sono stati elementi decisivi nella tua carriera, a seguito dei quali hai pensato di cambiare l’orientamento o il genere della tua musica?
Ci sono tuttora. Non mi sento per nulla sicuro di quello che faccio. Passa il tempo, succedono varie cose. Ma forse quando avevo 12-13 anni ho scoperto Buddy Holly, a 16 i Guided By Voices, a 18 i Velvet Underground. I Guided By Voices credo abbiano avuto l’influenza maggiore su di me. Quando ho incontrato i ragazzi poi è stato l’avvenimento più importante, ovviamente. Mi regolo naturalmente anche in base al successo di un disco. Ma questo lo valuto subito dopo l’incisione, non in base al numero delle vendite. Su quelle non hai controllo, ma dopo essere stato in sala di registrazione capisci veramente se hai raggiunto il massimo risultato possibile. I concerti più grossi, e così via. Il primo tour mondiale, quello sì che è stato piuttosto bello.

Non stento a crederci. Come ti sei sentito allora subito dopo l’incisione di quest’ultimo Ep?
Benissimo. Altrimenti non starei facendo tutto questo. Ero entusiasta, orgoglioso, volevo condividere il mio lavoro con la gente. Non vedevo l’ora che uscisse. Succede sempre così, scrivi una canzone, la registri e poi sei talmente su di giri all’idea di mostrarla al pubblico. Questo slancio si mantiene fino al momento del tour. Ci sono momenti in cui sei più stanco e ti chiedi “come ci sono finito qui? Ah sì, volevo far sentire le mie canzoni alla gente!”.

Quindi dopo un po’ ti stanchi anche tu delle tournée?
Beh, ovvio, ci si stanca di tutto. Ci saranno dei momenti in cui probabilmente ti scapperà anche la pipì. Ma fa parte della vita che ho scelto.

Bisogna farsi forza…
Sì, voglio dire, non è così terribile. Ma è un lavoro come è un altro. Se ti piace, andrai volentieri la maggior parte delle volte, ma ci saranno anche momenti in cui non sarai così contento. Sarebbe anormale se non fosse così.

Cosa stai ascoltando al momento? Hai scoperto qualche nuovo artista interessante?
Purtroppo no. In tour ho poco tempo, tendo ad ascoltare musica che conosco già, a volte preferisco addirittura stare in silenzio, o guardare qualche programma in tv. Comunque credo che presto scoprirò qualcosa, non sei la prima a chiedermelo. Sento che là fuori c’è qualche gruppo veramente fantastico di cui dovrei parlarti adesso. Ci sono così tante cose…Non vedo l’ora di suonare con i Rey Pila [suo gruppo spalla, ndr], la loro musica è certamente interessante.

Verrò a vedere il tuo concerto a Milano, qualche anticipazione?
Sarà un gran bel live. Ho già sorpreso piacevolmente molti fan durante il tour in Nord America, quindi vi posso assicurare che non rimarrete delusi.

Mi farai un autografo?
Sì, certo.

Grazie mille Albert. Mi spiace averti tenuto sveglio fino ad ora.
Figurati, di che ti devi scusare? Buona serata - o buona giornata…? - e grazie a te!

Discografia

Yours To Keep (Rough Trade, 2006)
¿Cómo te llama?(Rough Trade, 2008)
AHJ (Ep, Cult Records, 2013)
Momentary Masters (Vagrant, 2015)
Francis Trouble(Red Bull, 2018)
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Streaming

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(da AHJ, 2013)

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