Sono ormai lontani i tempi in cui il chitarrista degli Strokes conduceva una vita da autentica rockstar arrivando, tra un eccesso di consumo di cocaina e uno di eroina, a rischiare la pelle. Se infatti “Momentary Masters” del 2015, scritto da un Hammond Jr fresco di riabilitazione, in parte ancora si nutriva delle esperienze più oscure del suo autore, “Francis Trouble” suona come il disco di una rinascita ormai compiuta.
Sebbene l’espediente al centro di questo quarto lavoro in proprio di Albert Hammond Jr. non sia dei più spensierati – Francis Trouble è il nome di fantasia con cui l'autore chiama il gemello con il quale ha condiviso l’utero della madre fino all’aborto spontaneo di quest’ultimo -, le dieci canzoni che lo compongono sono radiose e trasmettono un forte senso di liberazione. Un po’ come se alla vita di fantasia di Francis Trouble corrispondesse la nuova vita del riccioluto chitarrista.
In “Francis Trouble” si schitarra senza soluzione di continuità. Delicatamente (“Stop And Go”), come ai tempi degli Strokes (“DvsL”, “Muted Beatings”) o come se non ci fosse un domani (l’assolone infuocato della conclusiva “Harder, harder, Harder”). I riff si rincorrono, si danno il cambio, cedono il passo a qualche arpeggio scattante, si ispirano ai Feelies e ai Television, ma non si fermano mai. O quasi. Fa eccezione soltanto il centro di “Tea For Two”, improvvisamente lasciato galleggiare in una nebbia di sassofoni jazzy.
Grazie a quella che difatti è l’interpretazione di un personaggio, l’Hammond Jr cantante ha ampliato notevolmente lo spettro dei suoi registri. E così si va dal suo ciondolare dannatamente cool (“Rocky’s Late Night”, “Strangers”) al fare il verso all’amico Julian Casablancas (“Set To Attack”), dal cantato emozionale che gli si strazia in gola in “Muted Beatings” a quello punk e cazzone che un po’ ricorda gli Hives in “ScreaMER”.
La sua durata esigua – 35 minuti - aiuta “Francis Trouble” a risultare un ascolto piacevole e per certi versi sorprendente. Quasi ci convince che le guitar band non siano un retaggio estintosi nei sempre più lontani anni Zero e ci fa dimenticare, almeno per un attimo, il fatto che gli Strokes non tirino fuori un disco degno del loro nome da ormai una decina d’anni.
07/05/2018