Non è stato facile raggiungere Dustin O'Halloran, né tantomeno estrapolargli informazioni su un progetto che probabilmente parla a sufficienza di sé attraverso la musica. Sulla creatura condivisa dal compositore con Adam Wiltzie avremmo sinceramente scommesso ben poco fino a qualche mese fa: e tanto meglio così, perché la sorpresa ci ha permesso di apprezzare in maniera ancora più intensa lo splendido "Atomos", uno degli highlight di quest'anno musicale. Delle venti e passa domande preparate per lui, Dustin sceglie di rispondere solo a tredici, per altro senza sprecare troppe parole. Glissa volutamente sui tentativi di chi scrive di analizzare e penetrare gli aspetti emotivi della musica del duo, bypassa senza remore ongi quesito riguardo la sua carriera solista e chiede di contattare Adam Wiltzie per poter sapere qualcosa sugli Stars Of The Lid: "sono in una sorta di coma farmacologico e non so fino a quando ci resteranno", avrebbe poi tagliato corto l'altro. E questo, oltre a rendere la lettura decisamente più snella e rapida, merita un plauso alla coerenza, per una sobrietà che si manifesta in tutta la sua efficacia nelle "chiacchiere" tanto quanto nella musica.
Trovo davvero notevole il modo in cui siete riusciti a far congiungere la vostra creatività e di conseguenza ad amalgamare i vostri stili... Ho sempre pensato che quando una collaborazione tra due musicisti riesce in questo modo, il risultato sia qualcosa di incredibile e spesso estraneo a tutte le altre forme d'arte... Tu cosa ne pensi?
Personalmente amo collaborare. Si riesce sempre a trovare nuove idee con molta più facilità, idee che ciascuno non avrebbe mai pensato da solo. Amo collaborare tanto quanto amo lavorare da solo, ma far tutto sempre da soli dopo un po' annoia. Per altro, collaborare con personalità forti è una sfida con sé stessi e le proprie idee, e aiuta a crescere.
Nel vostro caso, come siete riusciti a trovare quest'equilibrio? Avete incontrato difficoltà nel relazionare e conciliare i vostri stili ed approcci?
In realtà è sempre stato un equilibrio molto naturale, che abbiamo trovato piuttosto rapidamente. Credo che entrambi noi si abbia speso parecchio tempo esplorando lati diversi della musica. E quando abbiamo iniziato a far musica insieme, è stato facile fare in modo che ciascuno desse spazio all'altro dando contemporaneamente il meglio di sé. Adam è grandioso nel creare spazi e trovare quel che è essenziale in un brano... E io credo di cavarmela bene nel costruire strutture melodiche. Per altro, ciascuno di noi ha imparato molto dall'altro, e ora il tutto si è amalgamato. Ora, nel nuovo album, è piuttosto difficile dire chi ha fatto cosa: è capitato anche che io suonassi la chitarra e lui il piano, per dire.
Com'è nata l'idea di questo progetto e da dove viene il nome che avete scelto?
Ci siamo incontrati nel 2007 a Bologna, durante un concerto di Sparklehorse. All'epoca Adam suonava la chitarra per lui e il mio amico e ingegnere del suono Francesco Donadello mi ha invitato al concerto. Ci siamo incontrati dietro le quinte dopo lo show e abbiamo parlato principalmente degli Americani che vivono in Europa, ma poi ci siamo scambiati della musica e siamo diventati rispettivamente l'uno fan dell'altro. Il nome è ispirato in parte dall'antica statua greca del Louvre che ha un nome simile, e la parola "sullen" (letteralmente imbronciato, cupo, ndr) sta invece a rappresentare quella malinconia che sembra essere separata e lontana da noi. Volevamo un nome che sembrasse epico se recitato in slow motion con i colori nero e oro.
Che relazione c'è tra questo progetto e le vostre ultime prove "soliste"?
Tutto quel che abbiamo fatto prima ha un effetto su quel che facciamo ora, ovviamente. Ma credo che insieme noi si stia cercando nuove strade e un nuovo mondo da esplorare, un mondo che appartenga solo alla nostra collaborazione.
Ascoltando la vostra musica, ho avuto la sensazione di trovarmi di fronte a qualcosa di puro e intimo. Questo è un aspetto che riguarda soprattutto "Atomos" a mio parere. Che altre differenze individui con il vostro primo album?
Non possiamo separate le nostre emozioni dalla musica, abbiamo bisogno di "sentirla sulla pelle" e dunque di collegarla alle emozioni... Ma ci sono state sicuramente anche delle influenze esterne, soprattutto quella del coreografo Wayne McGregor, che ci ha dato il concept di base e molte idee su cui lavorare.
A proposito di ciò, il disco nasce effettivamente come soundtrack per un suo balletto! I brani sembrano quasi tanti atomi di una sola molecola, parafrasando il titolo...
E questo proprio perché il disco è nato su commissione di quel balletto, che avrebbe dovuto avere la forma di un unico lungo atto. Poi alla fine è stato diviso in tre parti, ulteriormente suddivise in altre parti più brevi... la musica ha seguito lo schema evolvendosi e adattandosi, ma nasce come un unico lungo brano, considerare quei pezzi come separati non avrebbe senso.
Entrambi i vostri album sono usciti per due etichette di punta della scena contemporanea: Kranky e Erased Tapes. Perché avete scelto la forma della doppia pubblicazione e come vi siete trovati a lavorare con questo metodo? Che ne pensi delle due label?
Ci sono un sacco di talenti che producono per entrambe, ma sono due etichette molto diverse. Se qualcuno ci chiedesse di descrivere la musica chiave di Kranky in una parola risponderemmo "ambient", per quella di Erased Tapes diremmo "post-clasical". Mi piace il fatto che noi non si ricada né sotto l'una né sotto l'altra definizione, che si abbia una nostra voce.
Come costruite i vostri live set insieme e cosa rappresenta la dimensione dal vivo per voi?
Quando abbiamo finito il primo album non eravamo sicuri di poterlo tradurre in un live show, ma lentamente abbiamo trovato un modo per farlo e ci è piaciuto constatare che nel live conoscevamo una nuova forza! Usare subwoofer e amplificatori potenti per i bassi ha aiutato parecchio in questo senso. Spesso è difficile tradurre dal vivo la musica pensata e registrata in studio, ma credo che molte esperienze passate ci abbiano aiutato a trovare un modo per farcela. Ci piace suonare dal vivo, comunque...
Quali location pensi siano le migliori per la vostra musica?
Chiese e vecchi teatri... Sono i posti dove acustica e ambiente si adattano meglio a quel che facciamo.
Porterete "Atomos" sul palco? E nel caso, avete intenzione di farlo con un set d'archi?
Sì, avremo parecchie date in cui eseguiremo tutto il disco dal vivo con una piccola ensemble d'archi.
Che altri strumenti vi portate di solito sul palco?
Io suono il pianoforte e mi occupo della parte elettronica, Adam la chitarra con i vari effetti e qualche tastiera.
E last but not least, passerete dall'Italia?
Finalmente sì! Il 29 Novembre al Locomotiv di Bologna, sarà il nostro primo show italiano insieme di sempre!