È recentissima la riscoperta e consacrazione dell’artista svedese Hilma af Klint (1862-1944), che precorse i tempi dell’astrattismo pittorico a tal punto da scegliere volontariamente di tenere nascosti i propri quadri fino a quando non fossero trascorsi vent’anni dalla sua morte, credendo che il pubblico dell’arte non fosse ancora pronto per quella rivoluzione di pensiero e d’immagine.
Lo scorso febbraio il Guggenheim di New York ne ha presentato un’importante antologica, resoconto di una visione pionieristica coadiuvata da altre artiste connazionali, riunite sotto il nome "de Fem" (Le Cinque) e interessate all’intervento del paranormale per mezzo di sedute spiritiche, atte a ispirare una pratica sperimentale di disegno automatico comparabile al canalizzare influssi mistici.
Questa, fra le altre, la principale ispirazione per il ritorno del duo A Winged Victory For The Sullen, che tra commissioni per opere di danza contemporanea (“Atomos”, 2014) e colonne sonore cinematografiche (“Iris”, 2016) di fatto non aveva ancora dato seguito all’ormai lontano esordio omonimo. Ne è l’occasione anche il passaggio dalla joint venture tra Erased Tapes e Kranky all’etichetta crossover Ninja Tune, detentrice anch’essa di un roster sempre più nutrito e prestigioso.
Può sembrare una metafora forzata, ma “The Undivided Five” è la sostanziale riconferma di come Dustin O’Halloran e Adam Wiltzie si rendano i medium per l’odierna perpetuazione di insegnamenti secolari, a ridosso di un’altra grande rivoluzione espressiva quale fu il tardo romanticismo di Debussy – in questo ambito altri esponenti dell’ambient music si erano invece confrontati con il sinfonismo di Mahler (Matthew Herbert, Fennesz) e Wagner (Indignant Senility).
Cinque come le succitate accolite dell’esoterismo scandinavo, ma anche come l’intervallo di quinta giusta, anticamente attribuito al divino e al trascendente, e il suo opposto diabolico (quinta diminuita o aumentata). Così, ormai quasi del tutto emancipati dai tired sounds della storica compagine texana, AWVFTS affondano ancor più convintamente nelle tenere radici di un classicismo perduto e ritrovato, facendo tesoro della cruciale lezione del sodale Jóhann Jóhannsson rispetto all'integrazione fra strumentazione acustica e manipolazione elettronica.
E analogamente al maestro islandese scomparso un anno fa, nella stesura del duo permane il gusto per un “cinemascope” sonoro che abbraccia lo spazio circostante e lo ammanta di tinte sfumate eppure dense, sacrali e terrene, nell'umile ma costante anelito verso una nuova forma di sublime musicale.
Quand’anche la formula di O’Halloran e Wiltzie apparisse oggi derivativa e collaudata, essa è nondimeno il frutto di sensibilità complementari in grado di dettare il passo della nuova composizione d'atmosfera, all'estremo opposto del sottofondo neutro per rivendicare la centralità di un incorrotto texturing emozionale, riverbero ideale e concreto di un'eredità artistica transdisciplinare che sembra non abbia mai conosciuto altro linguaggio che quello dei sentimenti, ma entro una sfera inaccessibile ai più.
06/11/2019