Beatrice Antolini

Beatrice nel paese delle meraviglie

intervista di Magda Di Genova

Incontro Beatrice Antolini sul sagrato del Teatro Strehler, alla prima giornata del Milano Film Festival, dove suonerà in serata. Tra organizzatori che corrono da un lato all'altro della piazzetta, catering che si approntano, operatori televisivi che si litigano un angolino di inquadratura, Beatrice è preoccupata per la macchina, per il posteggio, per l'ecopass. Dopo averla tranquillizzata, cominciamo tranquille la nostra chiacchierata, estraniate da tutta la frenesia che ci circonda.

Prima di parlare dei dischi, se non ti secca, volevo fare una panoramica sulla tua formazione artistica.
Va bene.
A tre anni inizi a suonare il piano.
Sì.
Enfant prodige?
Nnnooo. Diciamo che dovevo già sfogare qualcosa che non riuscivo a incanalare in altri settori se non la musica.
Che tipo di piano era? Toglimi questa curiosità.
Era un vecchio piano elettrico. Poi i miei hanno visto che ci passavo parecchio tempo e mi hanno comprato un piano vero. Ce l’ho ancora, è sempre lo stesso, infatti ha i tasti marroni da quanto l'ho suonato.
Sicuramente per me c'è stato prima il piano della scuola: ho iniziato prima a suonare e poi a leggere.

A 15 anni smetti di suonare musica classica. Quanti anni avevi quando hai cominciato?
Seriamente? Ad andare a lezione, credo a cinque anni. A quindici anni avevo iniziato con gli esami e i concorsi ed ero un po' stressata, quindi ho preferito buttarmi nel rock. (sorride)

Prima di passare al capitolo “rock”, hai accennato ai concorsi. Hai partecipato a concorsi internazionali di musica classica. A cosa servono i concorsi internazionali di musica classica?
Oddio, “internazionali”. All'estero ho suonato una sola volta in Germania e una volta in Jugoslavia. Non ho girato il mondo, non esageriamo.
Ne ho vinto qualcuno. Ne ho vinto uno a Recanati quand'ero bambina e a Velletri mi sono classificata terza. È stata una soddisfazione mostruosa, perché erano tutti grandissimi, io ero la più piccola quindi ero molto eccitata. Mi ricordo che c'era un Bösendorfer, che è uno dei pianoforti più costosi del mondo e siccome ero abituata a un pianoforte molto più standard, ho detto: “Questo pianoforte fa schifo, è una merda!” e un'organizzatrice del concorso, visto che ero bambina, mi disse: “Veramente questo è il pianoforte più costoso che suonerai nella tua vita”, e mi sono scusata. Chiaramente adesso vorrei un Bösendorfer.

Beatrice AntoliniPerfetto. Arriviamo alla adolescenza. Ti butti sul rock, sul punk, sul dark suonando basso e batteria.
Sì, ho suonato anche la chitarra. Avevo un po' tutto a casa.
Hai studiato o hai imparato da autodidatta?
Ho studiato basso elettrico per due anni in una scuola di musica moderna. Tutto il resto autodidatta. Anche perché i miei studi sono stati molto travagliati, non ho fatto un percorso logico.
Saper suonare il basso, la batteria e la chitarra ha poi cambiato il tuo modo di fare e scrivere musica?
Diciamo che la cosa che mi interessa di più è quella di arrangiarmi i dischi, di non aver bisogno di nessun altro. Questo comporta ovviamente anche delle mancanze perché non sono tecnicamente così preparata nella chitarra e nella batteria. Il fatto che riesca ad arrangiarmi la musica da sola porta poi ad avere un'unità nel disco e mi riconosco in tutte le parti e in tutti gli strumenti. Chiaramente è una cosa anche molto impegnativa, perché devi tenere sotto controllo una serie di cose gigantesca. Non escludo che prima o poi farò un disco anche con altre persone, magari chiamando un batterista e un chitarrista, ma devono essere persone di cui mi fido moltissimo.
Sei pienamente soddisfatta di quello che è venuto fuori con i dischi?
Sì, assolutamente. Soprattutto con il primo che, anche lui, ha avuto un percorso stranissimo.

A 19 anni ti iscrivi al conservatorio.

No. A 19 anni mi sono trasferita da Macerata a Bologna.
Ho ripreso il conservatorio nel tempo... Ho fatto anche l'Accademia di Belle Arti a Bologna.

Sei diplomata in teatro.
Sì, ho fatto due anni di scuola di teatro a Bologna.
Reciti ancora?
No. (molto secca)
Perché?
È stata una bella esperienza che mi ha arricchita parecchio, ma non era la mia strada anche perché facevo anche la musica per il teatro.
Immagino sia un'attività un po' schizofrenica quella di scrivere musica e recitare per lo stesso spettacolo.
Assolutamente.
Ho l’impressione che l'esperienza di comporre per il teatro abbia influenzato molto la musica che fai ora.
Sì. Il teatro mi piace parecchio. Soprattutto, come ho detto spesso, mi piace leggerlo e ragionare più sui testi scritti, che vederli rappresentati a teatro.

Cominciamo a parlare dei tuoi dischi.
Com'è avvenuto l'incontro con la Shinseiki e la Urtovox?

Conoscevo Paolo (Naselli Flores, label manager Urtovox) e mi sono proposta. Abbiamo parlato, a lui sono piaciuti i provini e dopo due mesi avevamo già il disco.

A Due” ha molto della Beatrice Antolini di “Big Saloon”, anche se è un po' diverso. Mi sembra più melodico, più tranquillo. “Big Saloon” era molto istintivo, ma aveva anche un che di isterico.
Ti sembra meno isterico questo?
Sì.
Ah no, a me sembra meno isterico l'altro. (ridiamo) Diciamo che questo è più crudo, più scarno, lo sento più nervoso, più inquieto. Sono stati due periodi diversi: ero molto più tranquilla quando ho fatto quel disco, l'ho vissuto in maniera più casalinga, più serena.
Be', l'isteria che sentivo era un'isteria positiva, allegra.
Sì, era più allegro, più positivo. Quest'altro... mica tanto, è un po' più oscuro. Ci voleva: sono le due facce della stessa medaglia. Infatti si chiama “A Due” (in italiano) anche per questo... Anche se in realtà il titolo è “A Due” (in inglese).
Infatti, questa era la mia prossima domanda. Adoro questo titolo: se lo si intende in inglese è qualcosa di forzato, di dovuto; mentre se lo si intende in italiano sembra quasi una dichiarazione d'amore.
Ci sono entrambe le cose.
Potrebbe essere inteso come il mio secondo disco, ma è anche riferito alle mie iniziali, A.B., che sono le prime due lettere dell'alfabeto.
Poi questa per me è una necessità: non faccio musica per passione, la faccio per necessità, se non faccio musica sto male. È anche qualcosa che gli altri devono a me: la vivo come un bisogno, un dovere, una necessità anche da parte del mondo nei miei confronti.
Poi ci sono due personalità: quella più allegra e quella meno allegra.
L'ottava del pianoforte che è “A2” nel linguaggio internazionale ed è da dove partono tutti i miei pezzi.
Poi perchè l'ho registrato con un'altra persona, quindi in due.
Ci sono tantissimi significati.
Immagino non ci abbia dormito la notte.
Non ci ho dormito due notti per un titolo che sembra semplicissimo e invece per me è importante.
C'è anche un aneddoto: mio padre ha una specie di negozio e di fronte c'è un negozio di illuminazione che si chiama “Due A”. L'ho scoperto l'ultima volta che sono tornata a casa e sono rimasta sconvolta tanto questo mi è entrato nell'inconscio.

Beatrice Antolini“Big Saloon” è stato registrato in casa, mentre “A Due” è stato registrato in studio. Come ti sei trovata?
Quello studio è stato una casa, perché ho avuto la gestione totale della situazione. L'unica differenza era quella di avere dei tempi, perché lo studio, chiaramente, non è gratis. Mi sono limitata in certe cose che ho dovuto lasciare al caso, mentre nel disco precedente sono stata più precisa. Con questo non potevo esserlo più di tanto, anche se la persona con cui ho registrato mi ha dato la disponibilità totale e ha fatto le nottate con me.
Perché sei passata allo studio?
Perché avevo bisogno di avere un luogo con tutta la roba, con gli strumenti e tutto quanto: avere tutto in camera, svegliarsi la mattina con i cavi in mezzo alle ciabatte non è una cosa che può durare molto.

C'erano aspettative molto alte per il seguito di “Big Saloon”. Hai sentito pressioni?

A me non me ne frega assolutamente niente, ti dico la verità. Ho fatto, come al solito, quello che mi veniva spontaneo. Prima butti fuori quello che hai da dire, poi sentirai quello che hanno da dire gli altri. Non è un mio problema pensare: “Avrò pareggiato l'altro disco?” È un disco diverso, un'altra cosa, sono passati quatto anni.
Chiaramente ho pensato di fare un disco almeno allo stesso livello, per non tornare indietro, ma in maniera inconscia, non sono stata lì a riflettere.

Per “Big Saloon” avevi dichiarato che i testi non erano importanti.
Non più di tanto.
Per “A Due”? Di più?
Sì, sì. Assolutamente.
Le liriche per “Big Saloon” erano fiabe stralunate...
Sì, ma anche parole a volte fantasiose, suoni più che parole... C'era un po' di tutto. Per questo disco ho fatto un pochino più attenzione, anche perché spero che abbia una distribuzione all'estero.

Ora che esce “A Due”, ci sarà una nuova ondata di richieste per “Big Saloon”. Ci sarà una nuova ristampa?

In teoria sì. Spero che le nuove ristampe siano pronte presto perchè il disco nuovo esce il 17 ottobre e sarebbe bello aver disponibile anche l'altro. Ci stiamo organizzando per avere la terza ristampa, perché, fortunatamente, ne sono finite due!
Una bella soddisfazione, anche perché non fai musica altamente commerciale.
A voglia!

“A Due” esce anche in vinile. È stata una tua idea?

No, della Urtovox. Ho sempre sognato di avere il vinile.

Cosa puoi dirmi della tua collaborazione con il fotografo e regista di videoclip Graziano Staino?

Graziano è un mito! Graziano è la persona che mi ha fatto le foto più belle che abbia mai visto. Fa delle foto in maniera personale, interessante, artistiche e che non sono le solite foto. È stata un collaborazione bellissima, lo ringrazio tantissimo e spero di farci altre cose prossimamente.
Avete parlato della possibilità di un video?
Ssssììì... ma non so se lo posso dire...

Beatrice, come si fa a fare il mestiere del musicista?
Eh, come si fa? Si fa facendosi un mazzo incredibile e mi dà fastidio una cosa: che la gente sia sempre pronta a giudicare non sapendo quanta fatica si faccia. La situazione, non solo in Italia, è complicata. È un lavoro difficile e a volte non ci si rende conto. Mancano sempre i soldi, c'è da correre a destra e a manca. È una cosa che devi fare al 100% e non puoi fare altri lavori.
Mi sorprende che tu mi dica queste cose: tu ora vivi a Bologna, una città giovane e attentissima, in cui queste realtà si dovrebbero conoscere.
Non mi sento criticata. Vedo nell'atteggiamento generale, quando si parla di un musicista, che non si considera mai “il lavoro” del musicista: come fa a fare quello che fa, quali difficoltà incontra. Sembrano rose e fiori, ma non lo sono! Non è affatto facile. Non è una critica, vorrei che ci fosse una presa di coscienza di tutto quello che c'è dietro e un po' di rispetto per quello che uno fa.

(Milano, 13/09/2008)

Discografia

Big Saloon (Madcap Collective, 2006)7,5
A Due (Shinseiki / Urtovox, 2008)7
BioY (Urtovox, 2010)6
Vivid (Qui Base Luna, 2013)4
Beatitude (Ep, La Tempesta, 2014)6
L'AB (La Tempesta, 2018)7,5
Pietra miliare
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