Si potrebbe pensare che intervistare una figura mitologica del punk italiano come Massimo Zamboni sia sostanzialmente facile. Si rievocano le memorie dei tempi andati, come i Cccp siano stati un gruppo punk unico e irripetibile in Italia, lo sviluppo delle relazioni con Ferretti, ed ecco un articolo pronto quanto scontato. Invece, no. Stavolta ho provato a ripartire dal Massimo Zamboni solista: un artista che si è ricostruito da zero, e a tutt’oggi sta costruendo il suo nuovo percorso con una rinnovata creatività. Non è più una carriera da musicista o artista in senso stretto, ma da comunicatore. In occasione del nuovo spettacolo, intitolato “I Soviet + L’Elettricità”, che lo vede protagonista nel ruolo di autore e musicista, l’ex-chitarra dei Cccp propone una celebrazione non convenzionale del centenario della Rivoluzione Russa: uno spettacolo corale di musica, teatro e arte visuale che recupera l’iconografia sovietica per evocarne il mito infranto. Ne emerge un altro Massimo Zamboni, ancora più maturo dal punto di vista filosofico e artistico, e decisamente molto a suo agio in queste nuove vesti più ampie per la sua ricerca di quella scintilla che possa innescare qualche piccola rivoluzione individuale. Il tuo viaggio da solista comincia circa nel 2004, se non vado errato, quando pubblicasti “Sorella Sconfitta”. In 13 anni di lavoro da freelance – potremmo dire – a che punto ti senti del tuo personale viaggio? Questo è un viaggio solista, ma anche solitario. Questo è sicuramente l’aspetto che soffro di più. Io sono il tipo di artista a cui piace instaurare collaborazioni e relazioni. Certo, mi piace avere delle idee mie, sullo spettacolo, sulla scelta delle musiche, ma è il rapporto con il talento e le intelligenze degli altri che mi piace più di tutto. Quindi, di volta in volta, questa che era un’iniziale solitudine, si è riempita di tantissime collaborazioni da
Angela Baraldi a tanti altri. Direi che dal 2004 ad oggi, questo è il momento più alto di collaborazione che sono riuscito a frequentare. Attorno a questo spettacolo sono adunati tanti musicisti, tante voci che mi piacciono molto. Cosa succederà in futuro, questo non lo so certamente, non riesco nemmeno a profetizzarlo. Sono sicuro però di quello che ho adesso: ho realizzato un piccolo sogno… A dire il vero neanche tanto piccolo. È più la
summa di un pensiero che dura da trentacinque anni; siamo un po’ alla strozzatura della clessidra. Prima o poi ci dovevo passare. Lo spettacolo mi è costato una fatica enorme, anche i tempi di realizzazione sono stati brevissimi; avrei bisogno forse di un anno in più per poter lavorare approfonditamente a questo spettacolo, ma questo tempo non c’è… (
ride) Non posso chiedere ai bolscevichi di espugnare il Palazzo d’Inverno. Per cui ci siamo, io sono molto convinto sarà molto simile all’idea che ho in mente.
Per I Soviet + L'Elettricità avete un cast d’eccezione. Danilo Fatur, Angela Baraldi, Max Collini, Simone Filippi, il percussionista Simone Beneventi, il chitarrista Erik Montanari e il tastierista/bassista Cristiano Roversi. Questo tipo di lavoro collegiale, appunto, è in linea con quello che per te è sempre stato il fare musica, oppure è un’idea maturata con il tempo?No, è un’idea abbastanza continuista rispetto ai Cccp. Non un concerto, ma uno spettacolo dove il movimento, la disposizione sul palco, il palco stesso abbia un senso compiuto, sia parte integrante del messaggio. Quindi oltre a una semplice chitarra con amplificatore, anche un luogo. Noi saremo spesso coperti durante lo spettacolo, in modo da dare l’aspetto di essere dei tribuni del popolo quasi, e darà la sensazione al pubblico – spero – di non essere pubblico di concerto, ma un uditorio politico e storico. Stanno ascoltando i loro leader, in un certo senso, ed è un rapporto molto forte, ma nel contempo molto corrotto e ovviamente provocatorio. Anche l’idea di mettere un cantante all’altezza di tre metri su di un podio, che arringa la folla, crea una condizione psicologica di assoggettamento e schiacciamento capace di svelare la natura del potere. Esattamente l’effetto che intendo proporre.
Mi ha colpito l’idea del comizio musicale che è alla base de “I Soviet + L’Elettricità”. Ti era mai capitato di musicare un comizio durante la tua carriera?
Sì, nella mia carriera è capitato. Ricordo che suonammo con la band a un grandissimo comizio per la Cgil Fiom a Torino durante un Primo maggio di tantissimi anni fa. Diciamo che abbiamo sempre espresso la nostra arte, anche se mi suona sempre strano usare queste parole, in luoghi esplicitamente politici, e quando non lo erano si trattava di un immaginario politico. Il nostro stesso nome Cccp, Csi... malgrado ci fosse in parte un gioco in questo, il tempo ha dimostrato che non era solo un gioco; era un pensiero serio, motivato, assolutamente non univoco, talvolta altalenante, però sempre molto sentito.
In un certo senso, ti sei fatto anche tu ricercatore di antropologia della tua stessa famiglia nel libro "L’eco di uno sparo". Dal momento che la validità iconografica di questo spettacolo è lampante, in che modo oggi il comunismo canonico – quello bolscevico, per intenderci – è reiterato da simboli e riti ancora visibili?Dal punto di vista simbolico, quelli che erano i principali simboli, come la falce e il martello, non esistono più come tali oggi. Nessuno più usa la falce, anche il martello è meno utilizzato. Dunque, i corrispettivi fisici di quei simboli sono caduti in disuso. Sono materiali che i nostri figli probabilmente considerano come una pietra di selce degli uomini primitivi, sono per loro – appunto – oggetti da antropologia. Rimandano ancora al mondo del lavoro, però, e questo è la parte fondamentale. Forse, ad oggi, dovremmo aggiungere la tastiera di un computer o uno smartphone, ma è una sconfitta poiché sono oggetti che hanno meno a che fare con il nostro corpo e con l’utilizzo manuale, sono un ulteriore tipo di schiavitù da cui affrancarsi. Il lavoro, come ai tempi in cui la falce e il martello avevano un valore politico, è ancora uno strumento di grande oppressione e, paradossalmente, anche di liberazione, perché esistiamo in relazione tra di noi grazie proprio al lavoro che ci mette in relazione. Senza il tuo lavoro io non potrei vivere, tu senza il mio non potresti fare lo stesso. Questo è sempre estendibile a tutto quanto. Allo stesso tempo dobbiamo riconoscere il carattere oppressivo del lavoro e del privilegio di poche persone che hanno in pugno il mondo, in un certo senso. Quei pochissimi privilegiati sono ironicamente anche la parte più fragile, perché basterebbe un soffio per farli volare via, e mi piace molto ragionare su queste continue sproporzioni di chi detiene il potere e chi no, e di come nei tempi gli oppressi possono diventare oppressori e viceversa. In questa catena si snoda l’esistenza della nostra razza.
L’attuale e nuovo contesto che si sta sviluppando nella società odierna di alienazione e di distanza nella comunicazione come ricade nell’ottica del tuo pensiero?Purtroppo questo è molto triste. Vengo da un grande amore per la cultura. Adesso sarò a Napoli, un vero crocevia delle culture di tanti popoli diversi, e questo svilimento continuo della nostra capacità intellettuale è giocato sempre più al ribasso da così tanti attori. Questo mi genera una tristezza sconfinata. Confido sempre nella possibilità di salvezza individuale, perché ognuno di noi non può perdere la propria intelligenza, però nel collettivo è triste dirlo ma ho perso in parte fiducia. Contrariamente a quel che pensavo trent’anni fa, una grande possibilità di salvezza individuale passa dal non leggere i giornali, non ascoltare la televisione, dal non lasciarsi ammaliare dallo spettacolo delle informazioni odierne, perché quello che accade davvero nel mondo lo scoprirai guardando e curiosando, ma di certo non passando per l’informazione generalista, dove – anche se sono sempre sicuro ci siano persone molto intelligenti e preparate – è proprio il
medium a non funzionare correttamente nella dinamica sociale.
Un po' l’avverarsi del pensiero post-moderno di Lyotard: l’informazione come merce. Forse è questo il problema di fondo che ha reso meno affidabile l’informazione giornalistica e la sua posizione nel dibattito pubblico. È terribile e sono sicuro che la sconteremo nel futuro a un prezzo molto amaro…
Passando alla musica, invece, come sarà organizzato questo spettacolo? Quali sono i generi che affronterà, quali sono gli strumenti dell’orchestra, se così possiamo chiamarla? Rimarrai nei ranghi del punk o si va verso una sonorizzazione più ambientale?No, a dire il vero sono rimasto molto più eclettico. Si tratta di una sonorizzazione molto varia. Il genere muta in base allo stato d’animo che voglio raccontare in quel momento. Si passerà dal punk più sfacciato e grezzo a dei momenti orchestrali, con strumenti elettrici (da cui il titolo dell’opera). Tuttavia si tratta di un utilizzo di elettronica che va dal molto meditato e ragionato arrivando alla celebrazione più pacchiana che non teme la retorica, e allo stesso tempo arriva a sprofondare con sonorizzazioni e letture molto pesanti, perché una celebrazione deve tenere conto anche di questo. Quindi ho cercato di costruire l’alternanza compiuta e fino alla fine dei generi.
Quali sono dei generi che durante questa tua carriera da solista non hai ancora affrontato, ma vorresti sperimentare anche in un futuro prossimo?Non amo molto le sigle e le etichette, quindi se dovessi rapportarmi con l’hip-hop, forse sarei incerto.
Anche se Max Collini – seppur per vie traverse – proviene da un certo hip-hop.Sì, ma Max si è già affrancato da quel modo di esprimersi. È più un oratore antico, non è un
rapperolo italiano. (
ride) A me interessa sempre la profondità e il significato della proposta e mi interessa mettere in scena delle apparizioni artistiche che non abbiano per forza una spiegazione immediata, ma che spingano a comprendere e svelare cosa stanno dicendo. Così come il titolo “I Soviet + L’Elettricità”, che è uscito in un istante e poi ne ho capito la potenzialità, così come molte opere
visual che usiamo. Ci sono delle immagini che appaiono e sconcertano un po’ all’inizio, ma poi sovviene un’epifania e si comprende il significato. Immagini, musica, testi e movimento, i filmati, ed è questo il genere che voglio sperimentare adesso. Voglio creare piccoli “circuiti elettrici” che possano svegliarci. Non voglio pronunciare la parola comunista in concerto perché non dice più nulla; non voglio issare una bandiera rossa perché non è più rossa; non voglio mostrare falce e martello, perché il pubblico giovane non sa più che cos’è. Voglio creare contrasti tra generi e scaturire scintille.
Questo potrebbe essere un modo per combattere l’anacronismo di certi concetti e di un certo modo di esprimere delle idee. Sì, perché fare il militante arcaico che viene a cantare “Bandiera Rossa” posso farlo, sicuramente ci sarà chi la canterebbe con me, ma non voglio, perché non direi niente a un pubblico che queste cose non le conosce, soprattutto le nuove generazioni. Io credo che il problema sia guardare al futuro, insegnare il passato, tenere d’occhio il presente, ma sapere sempre che noi abbiamo un futuro davanti ed è lì che possiamo cambiare qualcosa.
(29/10/2017)
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Sempre fedele alla linea
di Gianmarco Caselli
Il punk non è morto, e la creatività neppure. Massimo Zamboni, spina dorsale dei Cccp prima e dei Csi poi, è lì a testimoniarlo con "Solo una terapia: dai CCCP all'estinzione", il tour con il quale ha riproposto soprattutto vecchie glorie di entrambi i gruppi ai quali ha dedicato la propria vita per circa vent'anni, con l'aggiunta di nuove canzoni. Il tour si è chiuso giovedì 1° dicembre a Pisa con un concerto che doveva essere inizialmente in cartellone nella scorsa edizione settembrina del Metarock 2011, ma annullato a causa del forte maltempo. Qualcuno si poteva aspettare una sorta di ricordo nostalgico dei Cccp. Invece, subito dai primi pezzi, con "In viaggio" e "Allarme", la coppia Zamboni-Baraldi sprigiona un'energia che forse pochi avrebbero immaginato e testimonia che Zamboni è in pista come e più di prima, pronto a regalare altre canzoni che accompagneranno le nuove generazioni senza dimenticare affatto il percorso che ha fatto fino a questo momento. Fondamentale, per la ripresa del proprio passato, la Baraldi con una presenza scenica, una forza e un'interpretazione delle vecchie glorie che scatena il pubblico in pezzi come "Punk Islam" e "Tu menti", e che lascia un'impressione di freschezza, non di revival: un'impressione e fa ben sperare per il futuro. Dopo il concerto Zamboni ci ha rilasciato una breve intervista.
Il concerto inizia con "In viaggio", canzone del primo album targato Csi. Quello che stai facendo tu è proprio incamminarti in un nuovo percorso. Ti penti di non averlo intrapreso prima? No. Nonostante le difficoltà sono stati venti anni fondamentali. Ci sono stati tanti problemi ma anche tante soddisfazioni
Finalmente però esce la voce di Massimo Zamboni. Essere affiancato dalla Baraldi in tour anziché da una voce maschile credo sia importante in questo ambito. C'è ancora da esplorare nuove sonorità? Stai cercando le varie potenzialità della tua voce? Cercando...anche se non ne sento un bisogno così forte. Può succedere, come no. Sono ben contento della voce femminile al mio fianco, mi lascia molto spazio per la composizione. Non è fondamentale che ci sia la mia voce. Mi piace l'idea di tenermi aperto a quello che succede.
I Cccp prima e i Csi poi hanno dato voce a generazioni negli anni 80 e negli anni 90. Senti di poter essere espressione anche delle nuove generazioni? Da una parte è impossibile che mi venga delegato questo compito a 55 anni. Uno deve anche darsi voce da solo, capire in che tipo di mondo vive, proprio come facevamo noi a vent'anni. Però ci sono figure "parentali" che fanno da riferimento, sicuramente: quando avevo quindici, vent'anni ascoltavo gli stessi gruppi e cantanti che seguo adesso; eppure questi per me sono ancora un punto di riferimento, c'è da vedere quanto hanno da dire invecchiando.
La Baraldi sembra fatta a pennello per stare sul palco con te. Questa era l'ultima data del tour. Sarebbe un peccato perdere questa alchimia. Non avete l'idea di fare un duo, o qualcosa di più insieme? L'idea sta già camminando. E' naturale che accada
C'è molto vuoto nella musica italiana attuale. Siamo ancorati al passato per forza? Abbastanza. I gruppi che mi piacciono sono i soliti, quelli che dico sempre. Alcuni gruppi stanno in piedi per miracolo, hanno una forza nervosa che mi piace molto.
Nel tuo ultimo album, "L'estinzione di un colloquio amoroso", ti rivolgi più ad atmosfere intime, raccolte. Dal vivo invece c'è un'energia di tipo completamente opposto. Sono due modalità diverse. Angela ha una fisicità che non metto nei miei album. La mia musica "da solista" è tutta cerebrale. Cerco altre sonorità con un'altra cantante, per una musica più di ragionamento, più coinvolgente, con una scelta accurata dei suoni.
Con questo concerto si chiude il tour di "Solo una terapia: dai Cccp all'estinzione". Come proseguirà la storia? Sì, questa era l'ultima data del tour. Quando riprenderemo sarà qualcosa di diverso. Ho scritto tante, tante canzoni che Angela si metterà addosso come un vestito.
Anche Angela Baraldi ha scambiato alcune battute con noi...
Angela, ti trovi a intraprendere questo nuovo percorso? Pare che ti trovi molto a tuo agio. Con gli anni ho capito che avevo una certa frustrazione a lavorare in certi ambienti: era una macchina conformista che bisogna saper gestire. Io desideravo un mondo sonoro sobrio e parco intorno alla mia voce. La mia dimensione era quella dell'autoproduzione e dovevo trovare il suono della mia voce.
Spesso il tuo modo di cantare, la tua timbrica in particolare, ricorda Amanda Lear. Sono in giro anche con Giorgio Canali con un progetto-tributo ai Joy Division. Questo ha sicuramente ingrossato la mia voce spingendomi su tonalità maschili.
Nessun problema nel confrontarti con la voce storica dei Cccp, a quanto pare. Non mi sono mai posta il problema. Questo spettacolo all'inizio è nato per una data sola. Poi il risultato è stato molto positivo e abbiamo deciso di rinnovare quel sentimento, ogni volta con incoscienza. Va presa con divertimento.
(2011) |