Raoul Vignal

Un mondo nudo

intervista di Lorenzo Righetto

Ehi Raoul, grazie per il tuo tempo e per il tuo grande album d’esordio. Non mi capita così spesso che un disco vada così a fondo. È stata una vera rivelazione, per me. Fra l’altro, mentre ascoltavo “The Silver Veil” le prime volte, stavo leggendo questo romanzo su un uomo che prova a suicidarsi, ma poi, fallendo, si trova in un mondo deserto, e la musica risuonava in qualche modo con quella storia (“Dissipatio HQ” di Guido Morselli, che poi si suicidò davvero dopo aver scritto quel libro). Qual è l’ambientazione di “The Silver Veil” nella tua mente?
Prima di tutto, grazie per queste parole, e anche per il consiglio letterario! L’ambientazione del disco non è tragica quanto quella del romanzo che hai citato, ma l’idea di un mondo deserto suona familiare. Le canzoni contenute in “The Silver Veil” sono una collezione di frammenti del mio mondo e della mia vita, al momento in cui le ho scritte (2014-2015). Scelsi solo di non menzionare alcunché direttamente, nei testi. Acquisiscono significato per me in questo modo, e spero che lo facciano anche per gli altri. Penso che sia onesto dire che è musica per momenti solitari. Questo è stato sempre il mio stato d’animo mentre componevo queste canzoni.

La passione e il lavoro si irradiano da questo album e sicuramente fanno parte del risultato. C’è una forte firma strumentale/chitarristica che sembri aver perfezionato negli anni. “The Silver Veil” potrebbe essere un album strumentale, di fingerpicking ed essere comunque grandioso. Come racconteresti la storia della transizione dagli inizi della tua carriera (o prima) alla registrazione e alla pubblicazione del disco?
Iniziai a suonare la chitarra a 14 anni, e mi appassionai presto. Nel corso degli anni, più ascoltavo musica, scoprivo band, generi, stili musicali, più ci finivo dentro. Dagli anni da adolescente a ora, ho suonato nei progetti più disparati, dei generi musicali più diversi. Dopo anni di chitarra elettrica, ho preso lezioni di folk. Ho scoperto il fingerpicking a 20 anni, e da lì è venuta l’idea di avere un progetto solista. All’inizio componevo canzoni di ispirazione blues, suonando con uno pseudonimo che ho poi abbandonato qualche anno più tardi, quando la mia musica ha preso ad avvicinarsi a una sfera più folk e intima.
Durante i miei anni a Berlino, conobbi Martin J. Fiedler, dei Klangbild Studios, che mi convinse a pubblicare un disco. Era così entusiasta dei pezzi che aveva sentito dal vivo, che mi invitò nel suo studio, che si trova dalle parti di Ostkreuz. Lasciai Berlino nel primo 2016 con questo disco in mano, e tornai in Francia a promuovere “The Silver Veil”. Ci è voluto un anno di lavoro perché raggiungesse le orecchie di persone che mostrassero interesse nella pubblicazione dell’album e nel lavorare con me. Non c’è mai stato un evento particolare che mi abbia spinto a cambiare direzione nel fare musica. È successo tutto in maniera molto naturale.

Come ha contribuito Berlino alla realizzazione di “The Silver Veil” e di te come artista in generale?
Mi diressi a Berlino nel 2013 perché sentivo il bisogno di rinnovarmi. Andare in un posto nuovo sembrava proprio la cosa da fare. Una volta arrivato, ho continuato a fare quello che facevo prima: musica. Ho fatto parecchi concerti là, e mi sono confrontato con le difficoltà di fare musica molto tranquilla e delicata per un pubblico il cui interesse si spostasse rapidamente dal palco al bar. Va tutto bene, comunque, mi ha temprato la mia esperienza e affievolito la mia ansia. Ho collaborato molto con altri musicisti, ho fatto il busker di fronte ai bar, tutte cose importanti per lo sviluppo personale. Alla fine, “The Silver Veil” non è un album che riguarda Berlino, ma quello che ho vissuto lì, chi ho incontrato, quello che è successo…
Oggi la città mi manca ancora parecchio, ma lasciarla è stata la cosa migliore da fare. Berlino è una città dura per gli artisti emergenti. Se non riesci a tenere alta la motivazione, lì, non ce la puoi fare. Ho un rapporto di amore e odio con Berlino.

Molti dei tuoi testi e dei temi delle canzoni mi hanno riportato alle memorie del liceo di poesia medievale (da parte mia il primo Dante e Petrarca, sicuramente avranno una controparte francese), in cui l’amore è un mezzo di elevazione spirituale, un’aspirazione che forse porta al carattere inquieto della tua musica. Dante usò proprio la simbologia dello “schermo” (velo) nel suo “Vita nuova”, in cui presenta Beatrice, il suo più grande amore ma anche il modo per raggiungere Dio. Quali sono i tuoi riferimenti sul versante letterario della tua musica?
Non sono sicuro di poterti dare dei nomi in questo caso, su quale scrittore possa avermi influenzato. Mi piace molto leggere, posso solo dire che leggere mi fa venire voglia di scrivere, così come ascoltare musica mi fa venire voglia di comporre. In questo momento, sono nella fase di lettura di romanzi di ambientazione medievale, un periodo affascinante della storia!

Inoltre, probabilmente i tuoi ascoltatori possono cogliere più o meno accuratamente i tuoi riferimenti musicali anglosassoni, ma forse non quelli relativi alla tradizione folk europea precedente.
Ce ne puoi parlare, se esistono?
Non mi sorprende, i riferimenti anglosassoni sono più ovvi. Ascolto piuttosto frequentemente musica tradizionale europea, ma non solo. La sua influenza sulla mia musica è del tutto inconscia, comunque.

Questo mi porta al fatto che hai una sorprendente (o non così tanto sorprendente) affinità con altri artisti Talitres, sto pensando al tuo connazionale Stranded Horse, ma anche a Will Stratton, magari anche altri che non conosco o non ricordo. Puoi parlarci del tuo rapporto con l’etichetta e, magari, con i suoi artisti?
Prima di firmare il contratto, conoscevo solo i due artisti che hai citato. Non sono un ascoltatore assiduo della musica contemporanea (non per scelta, capita che sia così). Sto scoprendo il loro catalogo, un po’ alla volta. Mi sento molto contento della situazione, non mi aspettavo di pubblicare il mio esordio per un’etichetta di tale importanza e qualità. Tutto quanto succede grazie al loro lavoro mi rende molto positivo sul mio progetto, il che è una cosa nuova per me.

Nonostante il minimalismo degli arrangiamenti di “The Silver Veil”, che contribuisce alla sua grande tensione spirituale, ho apprezzato molto anche i contributi non chitarristici al disco, in particolare le percussioni. Disegnano una scenografia incredibilmente naturale, non in senso negativo ovviamente, come se stessi dialogando con la terra stessa. Come si sono evolute le parti che non suoni direttamente?
La registrazione degli arrangiamenti sono stati una cosa dell’ultimo minuto. La maggior parte delle tracce di voce e chitarra erano già state buttate giù quando ho iniziato a lavorare sugli arrangiamenti, insieme al mio amico Pierre-Hugues Hadacek (il batterista). C’era ancora un giorno prenotato in studio, così abbiamo deciso di concentrarci sugli arrangiamenti (parti di batteria, un pianoforte qua e là, percussioni, flauto…). Invitai mio padre a venire a Berlino così che potesse suonare il flauto traverso nel mio disco. Sono cresciuto sentendolo suonare. Farlo suonare in alcune delle canzoni era il mio modo di ringraziarlo del suo supporto e del suo coinvolgimento in questi anni. Sono molto orgoglioso che il mio miglior amico e mio papà si siano uniti a me nell’album. Ho bei ricordi delle sessioni in studio con loro. Ricordo che l’ultima cosa che facemmo fu registrare la batteria per la title track, che è strumentale. Chiesi a Pierre-Hugues di improvvisare.

Non ci capita così spesso di intervistare artisti francesi giovani, così volevo chiederti come vanno le cose, in termini più generali, per un giovane musicista in Francia al momento…
La risposta più rapida potrebbe essere: complicate. In qualsiasi paese, essere musicista e provare a vivere di musica non è di certo la miglior scelta di carriera. Ma quando sei guidato dalla passione, ti dimentichi presto la razionalità. Superare i dubbi è la cosa più difficile. Alla fine, dipende tutto da a chi chiedi una risposta. Per quanto mi riguarda, mi sento bene, al momento. Non è stato sempre così.

Pare che il tuo album abbia attratto una discreta attenzione in Italia, quindi ci sono possibilità di vederti suonare dal vivo dalle nostre parti nel prossimo futuro? Grazie ancora per il tuo tempo.
Inizieremo a lavorarci presto. Sono molto contento del feedback che sto ricevendo dalle riviste, dai blog e dagli ascoltatori in Italia. Ho ricevuto messaggi molto positivi da persone che mi chiedono se passerò in futuro per il loro paese. Verremo senz’altro, e non vedo l’ora! Grazie a te.