
Questi gli ingredienti di una serata umida e raccolta, che ha visto esibirsi al "Le Mura" di San Lorenzo, per la prima volta in Italia, Muffin, progetto chamber-psych-folk gravitante intorno al timido songwriting e alla vocina di seta di Mana Sasaki, per l'occasione accompagnata dall'amica Okome, che l'ha supportata in qualità di seconda voce, affiancando alla sua chitarra saltuari inserti di flauto o diamonica.
Luci soffuse e atmosfera familiare, con i presenti che riempivano comodamente i tavolini a due passi dal palco: una dimensione ideale per poter godere della musica dal vivo, lontana mille miglia dalla ressa, dal caldo e dalla confusione che troppo spesso affliggono anche molti concerti di artisti indipendenti. Visibilmente emozionata - e di una timidezza che, anche a causa della modesta dimestichezza con l'inglese, potrebbe essere quasi scambiata per scarsa espansività - Mana comincia la sua breve esibizione così come lo scorso anno aveva aperto il suo album di debutto, il delizioso "Grapes": "Prologue" è il primo brano in scaletta, subito seguito da "17", tratto dallo stesso lavoro. Le gentili iterazioni sulle corde della chitarra folk di Muffin e la sua voce trasognata (e un po' sonnolenta, a causa del jet lag) mostrano le proprie fragili filigrane in questa forma così scarna, che tuttavia non smarrisce fascino melodico, nonostante l'inevitabile assenza degli arrangiamenti e della più ampia strumentazione presente invece su disco.
La formula del set appare invariabile, impostato com'è su chitarra e voce, eppure Mana modella le sue canzoni con la cura e la sapienza di una qualche arte rappresentativa giapponese, dal cui esercizio sbocciano melodie eteree, dalle quali prendono forma, tra le altre, la splendida "Kumo" e la cover di Judee Sill "500 Miles", che ben presto si scoprirà compresa in un interessante cd-r dal titolo "First Trip", confezionato proprio in occasione di questo suo primo viaggio europeo e comprendente sedici interpretazioni di brani più o meno noti.
Dopo il dovuto omaggio al motivo della sua presenza italiana, riassunto in "Flora", brano pubblicato su uno split insieme ai nostri Comaneci e a Mattia Coletti, e un paio di ripescaggi dal suo primo Ep "Folklore" (la sandovaliana "Sea" e la più evocatica "Lost Song"), ci si avvia agilmente alla chiusura con "Sleeper", replicando così fedelmente l'iter del disco, del quale costituisce la degna conclusione impressionista.
A questo punto qualcuno dal pubblico - incredibile ma vero, c'è davvero chi è accorso al "Le Mura" appositamente per assistere al concerto! - reclama a gran voce l'esecuzione di "We Are The Rainbow", il pezzo più riuscito e "radiofonico" dell'artista giapponese, che non si può quindi sottrarre dall'offrire qualche altro minuto della sua musica, in un'esecuzione che rivela la dolcezza melodica e la trascendenza folk del brano, pur qui privato dell'arioso arrangiamento che ne faceva la punta di diamante del disco.
E così, con la sua timidezza tipicamente orientale, Mana scende in silenzio dal palco, ritirandosi a sistemare gli strumenti accanto all'angolino nel quale, di lì a poco, avrà modo di vendere qualche cd, a testimonianza dell'apprezzamento da parte dei pochi accaniti cultori della sua musica e della gradita scoperta da parte di chi vi si è imbattuto proprio in occasione di questa serata così particolare. Una piccola ma piacevolissima soddisfazione per i volenterosi appassionati che hanno reso possibile questo piccolo ma prezioso evento, a cominciare dai "romantici" gestori del "Le Mura".