
La serata inizia presto, verso le 21. Inizia Alessio B. dei Varunna. Purtroppo un po' febbricitante e reduce da un lungo tour, mostra una vena stanca ma non distorta tra le sue parole, intimiste e accorate. Supportato semplicemente da una chitarra acustica, ricrea l'immagine classica di un neofolk nostalgico e un po' isolazionista; le melodie incupiscono l'atmosfera ambrata della sala.
Una linea di nero torbido, si allarga al centro dei visual del secondo atto della serata. Spezzoni di film erotici espliciti alla "Supervixen" si ripetono ipnotici e ossessivi mentre la rauca voce di Wolfkind insegue quell'insanità mentale debitrice dei Cramps e dello psychobilly/blues più bastardo. Un viaggio malato tra motociclette e giacchetti di pelle puzzolenti, brillantina incrostata e perversioni.
Una performance molto particolare, in cui la violenza più primitiva del rock si sfaldava in un lento ansimante rantolio perverso. Seppur ci si trovasse di fronte a un live con base registrata, l'effetto scenico possedeva qualcosa di malsano e magnetico. Un ottimo preparativo ai percorsi psicotici di Deutsch Nepal.
Tra fili dispersi, cassettine e loop, una pedaliera e un microfono, compare l'immagine di sfondo di un animale metallico. Quasi una maschera, una rappresentazione grottesca, dai contorni spigolosi, si allargava e si frantumava tra le costruzioni ambient-industrial. Grasso per motori e litanie, ora basse e bisbigliate, poi invocate e distorte si sono accumulate fino alla fine, un totale abbandono a un ultimo feedback lasciato morente dentro i circuiti. Da non confondersi con una semplice e noiosa cacofonia autoerotica, l'act di Lina Baby Doll tendeva a comunicare con il pubblico secondo un'attitudine punk, che rendeva ancora più destabilizzante il sottofondo rumorista che ci avvolgeva. Non si poteva immaginare diversamente il live di chi con la trilogia "Silent" e album come "Erotikon" ha segnato sin dai primi 90 la dark-ambient e i suoi prodromi industriali.
Infine, si giunge ai Blutharsch. Quattro candele sono accese attorno a un leggio e alla tastiera Hammond. Quello che verrà da li a poco è un'immagine strana e inaspettata. Come se dei disincantati Jefferson Airplane avessero deciso di confessarsi ai Black Sabbath. Come se una pesante, marziale psichedelia si rivolgesse dentro ombre opache.
L'immagine originaria di Albin e Marthynna (vocals) viene completamente stravolta, passando da quella provocazione teutonica e dittatoriale che li aveva segnati in gran parte del loro percorso artistico, a camicie e vestiti di matrice 60's. Il suono è corposo e stratificato. Il basso in primo piano segna il passo di questo sabba oscuro.
Pezzi come "Reincarnation", "Birds of Prey" e altri dell'ultimo album acquistano una densità emotiva che su disco difficilmente si evidenziava, divenendo delle brevi suite dall'anima marziale ma che tendono a un'espressione onirica e surreale. Solo i brevi stacchi tra le composizioni ci faranno ricordare che non ci troviamo di fronte a una band psichedelica, il sound e la performance sono omogenei nelle loro parti. Un percorso di alterazione mentale, in cui violenza sonora e ipnotismo rituale si uniscono in un magma scuro. La fine accorrerà lentamente e in maniera organica, come lo spegnersi di una fiamma. Celando nervosamente piccole ombre e luci fino alla fine.
Un live di grande impressione immaginifica, che mostra un progetto in buona forma creativa, e non stanco di se stesso, che ha goduto di un'atmosfera congeniale creata dalla perfetta scelta delle band di supporto.