04/10/2013

Tim Hecker

Auditorium San Fedele, Milano


Succedeva a dicembre del 2011: Tim Hecker presentava per la prima volta a Milano, allo Spazio O', uno dei suoi live set mozzafiato. Con ogni probabilità è in quell'occasione che il nostro, in veste di turista per caso, ha visitato il Duomo e scattato al suo interno la fotografia che oggi fa da artwork al suo album più sorprendente, se non l'autentico capolavoro che presto o tardi avrebbe dovuto pervenirci da un simile artista del suono – chiamarlo musicista sarebbe riduttivo, con tutto il rispetto per la sconfinata categoria.

Così succede che dopo nemmeno due anni si incontrino due delle più importanti compagini del capoluogo lombardo in fatto di musica dal vivo: la rassegna dell'Auditorium San Fedele (“Tracce e percorsi acustici ed elettronici”), fondazione culturale attiva da oltre mezzo secolo, e le giovani leve di S/V/N (Savana), impegnate da un paio d'anni a portare in città i più grandi nomi del panorama elettronico contemporaneo. Due realtà che a dire il vero sarebbe quasi naturale vedere unite nella realizzazione di eventi simili, ma che per in questo caso hanno trovato la ragione d'incontro nello strumento dell'acusmonium: un poderoso assembramento di quaranta speaker spazializzati nella sala principale del San Fedele, un impianto che ha già accompagnato la proiezione, tra gli altri, del miliare “Koyaanisqatsi” di Godfrey Reggio.
Anche stavolta, dopo le serate al Buka Club e al Museo della Scienza, S/V/N ha intravisto la possibilità di realizzare qualcosa di straordinario, per il quale la fondazione gesuita si è rivelata il partner ideale. Un più ridotto impianto Nexo diventa così il mezzo per presentare ufficialmente al pubblico “Virgins”, ultima fatica di Hecker e summa del suo glorioso percorso musicale.

Ma la prima parte della serata vede anche la partecipazione di due artisti del soundscaping contemporaneo: due tracce dell'americano Barry Truax estratte dell'opera “Islands”, incentrata sui variegati rumori della natura in prossimità dell'oceano; e una lunga composizione del nostrano David Monacchi, “Stati d'acqua”, assistita dalla proiezione di visual che reagiscono al suono in diretta. Uno spettacolo suggestivo che anticipa le potenzialità dell'impianto acustico approntato, e che nella performance di Hecker dimostrerà una forza inaudita.
Va subito detto infatti che l'esecuzione di “Virgins” ha visto qui primeggiare il fattore volume a discapito dei tanti, fondamentali dettagli che rendono unica la recente registrazione su disco. L'aura sacrale che pervade alcuni episodi in particolare – i dittici di “Virginal” e di “Live Room” – sarebbe infatti basata su inserti di “dropped piano” e strumenti a fiato sincopati, i quali risuonano come provenissero da altri luoghi, cripte dimenticate dal mondo e cariche di secolari memorie sonore. Hecker ha scelto di sacrificare buona parte del suo eccellente lavoro di cesellatore per sommergere la platea del San Fedele con un'ondata elettronica fuori controllo, tanto negli alti quanto nei woofer; ma non una massa informe di bordoni indistinguibili, piuttosto il monumento definitivo alla matrice melodica (quasi neo-romantica) che da sempre contraddistingue l'opera del nostro da quella di chiunque altro.

Forse non tutti avranno gradito questa scelta, o perlomeno non allo stesso modo: ma la prospettiva di un simile impatto deve aver convinto l'autore a rischiare, con l'unica certezza di aver fisicamente scosso il pubblico di questa importante serata. Ma al di là degli apprezzamenti individuali, si ha l'impressione che già con il concerto per organo a Parma Tim Hecker ci stesse preparando lentamente – ma in modo assolutamente consistente – a questo momento sublime. Si è inoltre avuta la distinta percezione che in questo giorno esatto, in quest'ora scarsa di maestose cattedrali elettroniche, si sia manifestata tutta la grandezza di una delle parabole musicali più determinanti di questo giovane – ma già così incredibilmente ricco – terzo millennio. C'è solo da sperare, in definitiva, che collaborazioni di questo genere non diano luogo a occasioni isolate, ma diventino una buona norma che potrebbe ravvivare considerevolmente l'offerta culturale di una città come Milano, ormai a un passo dalla tanto discussa Expo.