15/12/2012

Andy Stott + Ninos du Brasil + Primitive Art

Buka Club, Milano


Il cammino di redenzione della fiacca Milano concertistica passa per una scomoda periferia, dalle parti di Linate: qui, come un gioiellino incastonato tra complessi industriali bordati di neve e poltiglia, si celano le salette del club Buka, la cui sede fu di una ex-casa discografica. E sempre qui si realizza il piccolo miracolo pre-natalizio di una serata - ad opera di S/V/N/ (autori della rassegna Savana Underground) - che ha rasentato la perfezione per tempistiche e qualità della triplice proposta.
A cogliere di sorpresa la collettività è anzitutto la location amena, quasi cinematografica: nel cuore della struttura troviamo un anfiteatro futuristico interamente coperto di moquette rossa, sulle cui gradinate vanno man mano stipandosi gli spettatori, dapprima piuttosto composti. Dei tentacolari laser rossi attraversano la sala, al centro della quale stanno un piano rialzato fitto di palloncini e la mezzaluna a scacchi del dancefloor.

Tutti gli elementi scenici sono di per sé sufficienti alla creazione di un mood fuori dal comune, inaugurato dall'interessante duo Primitive Art, che nel giro di pochi minuti travolge la platea con ritmiche massicce, che a uno strato basso rimandano vagamente ai primi Fuck Buttons, mentre più sopra, con le dovute proporzioni, ai calderoni tribali di Shackleton; insomma, ben oltre il classico warm up da serata danzante.
Attese incredibilmente brevi ci separano dal clou dell'evento, facendo sì che l'entusiasmo non si disperda in estenuanti sessioni di sottofondo. Così arriva in fretta la volta degli inarrestabili Niños du Brasil di Nico Vascellari: una concept-band votata a una pura follia percussiva - a metà tra Battles e Foot Village - ma anche, per l'appunto, fortemente radicata in certe sonorità carioca, e più in generale mossa da uno spirito giocoso e festante. Salti, grida, maracas, piogge di coriandoli e palloncini svolazzanti, uniti a un uso tanto smodato quanto efficace del flash intermittente, trascinano immediatamente il pubblico in un trip cui è impossibile oppore resistenza. Non ne è immune lo stesso Andy Stott, al contempo ammirato e divertito mentre osserva dagli spalti il variopinto baccanale del trio, per poi salire alla postazione più alta e dare il via alle sue danze.

E' in tale frangente che si svelano del tutto le inattese potenzialità acustiche della location, scossa dall'interno per via dei favolosi bassi che la nuova star inglese ci ha consegnato con “Luxury Problems”, attuale summa del suo sound intenso e seducente. Nulla possono i superflui visual di Jade Boyd al confronto di una musica che già rapisce totalmente e invita a un “abbandono cosciente”, in balia di impulsi che tutto sembrano meno che artificiosi. Come l'osannato Burial in altro senso, Stott ha focalizzato la musica techno sui suoi aspetti più empatici, riportando una ventata di umanità nelle asfittiche sale da ballo degli anni Duemila.
Le splendide voci di “Numb” e “Hatch The Plan” fanno sì che il Buka non diventi la solita idioteca, ma un raduno di teste pensanti e corpi in moto sincronico, come uniti in un grande amplesso sonoro. Potete caricare quanto volete il vostro subwoofer sul dub sincopato di “Sleepless” o sull'hip-hop mitragliante di “Up the Box”, ma temo che non avrete mai quel che abbiamo avuto noi quella sera, concretamente ammantati da ogni singolo battito.
A tutto ciò seguiva un lungo dj set cui hanno partecipato ben volentieri soltanto i fessi entrati a fine concerto. Gli irredenti.