C'è chi ci crede e chi no. Come in una perfetta commedia americana, appena alzati apriamo il giornale e lo sfogliamo fino ad arrivare alla pagina finale: l'oroscopo. Scorriamo, troviamo il nostro segno e leggiamo, con un misto di indifferenza e preoccupazione, cosa le stelle ci pronosticano.
Se, dopo gli esordi, l'oroscopo dei Fuck Buttons avesse loro preannunciato l'incisione di un disco da addicted to dance forse non ci avrebbero creduto nemmeno loro. Tuttavia già la prima loro fatica sulla lunga distanza, il bellissimo "Street Horrising" dell'anno scorso, mostrava qualche raggio di sole fra scurissime cortine di droni. E proprio quel raggio presente in "Bright Tomorrow" pare averli illuminati verso nuovi orizzonti. Il fil rounge che lega le opere c'è ed è ben visibile.
Smessa la veste da noiser tout court, Andrew Hung e Benjamin John Power ne vestono una completamente nuova: un abito lussuoso ma essenziale, brillante, colorato, tribale. Il duo anglosassone, aiutato nella produzione da Andrew Weatherall, mette a fuoco in maniera convinta e consapevole le intuizioni dell'esordio, amalgamandole con una nuova direzione. Sulla scorta degli ultimi lavori di gruppi quali Black Dice e Growing, i Fuck Buttons abbozzano la scomposizione della forma in un gioco dai tratti picassiani, plasmando una creatura che a ragione si può inscrivere in quell'approccio al noise che si lancia alla ricerca del beat. Senza più le voci (meglio così?) e con un approccio ultratecnico che si riflette nel costante ricorso all'effettistica e in un imponente lavoro di missaggio.
Le lame rotanti di "Surf Solar", opportunamente scelto come singolo di lancio, fendono l'aria fin da subito, scagliando l'ascoltatore in un universo parallelo, alienante. Un trip di dieci minuti prima ossessivo e freddo, che si dischiude gradualmente verso una melodia grezza e purissima, che procede a ondate che cambiano direzioni a intervalli regolari. A coronare il perfetto climax giunge una maestosa esplosione che sprigiona l'energia e l'imponenza sonica dei droni sparati a mille, che poi si spengono lentamente.
Il leit-motiv del lavoro può essere inoltre rintracciato in brani quali "Rough Steez" o "Phantom Limb", strambi episodi sintetici dal gusto dadaista che richiamano alla memoria le partiture sghembe di "Ribs Out". E se "The Lisbon Maru", ricalcando lo schema della traccia d'apertura, accentua ulteriormente l'elemento tribale e geometrico, "Olympians", con un'intro dal sapore vagamente dance, spinge sull'acceleratore risultando superlativa nel suo svolgersi esagerato e smodato.
Ma è probabilmente con le ultime due canzoni che i Fuck Buttons raggiungono l'apice. "Space Mountain" vive due vite parallele: una nella sezione ritmica incessante che, senza eccedere, percorre sotterraneamente la colonna vertebrale del brano, l'altra nelle strutture kraute che si muovono simmetricamente. La conclusiva "Flight Of The Feathered Serpent" vola altissimo, sfiorando le vette dei Field, fra tribalismi dance e overdose di droni.
Aggiornando la lezione dream-techno degli anni Novanta al tempo del noise e del drone e muovendosi con innata naturalezza tra andamenti krauti, aperture trionfali à-la Jean-Michel Jarre ed evoluzioni soniche al limite del progressive, i Fuck Buttons hanno costruito un'opera di difficile inquadramento, un "Guernica" dei nostri tempi. Superando ogni barriera, il duo di Bristol ha centrato completamente il bersaglio.
01/10/2009