La più grande scoperta all’indomani della pubblicazione del primo volume di “Endkadenz”, lavoro che innalza qualitativamente un percorso artistico già sinora eccellente quanto pochissimi altri nella storia del rock alternativo italiano, è che i Verdena iniziano ad avere numerosissimi detrattori. Girovagando per il web non è così difficile rintracciare un fastidio crescente nei confronti di una band tanto amata dai fan quanto mal sopportata da chi preferisce disconoscerne gli strabilianti meriti. Il consiglio per tutti non può che essere quello di vederli suonare dal vivo, dimensione nella quale le loro qualità risultano ulteriormente amplificate. Fra l’altro i ragazzi da sempre portano avanti una politica di prezzi contenuti, che da sola meriterebbe il gesto della presenza.
Roma è l’ottava tappa di quello che si prospetta come un lungo trionfale tour, i ragazzi ci arrivano con un filotto di sold out al quale non può sottrarsi l’Atlantico, stipato come poche altre volte finora. L’apertura della serata spetta ai Jennifer Gentle che con il loro sghembo psych-rock riscaldano la platea per circa tre quarti d’ora. Ma l’attesa è tutta per Alberto, Roberta e Luca, i quali senza perdersi troppo in chiacchiere aprono le danze con tre pezzi del nuovo disco (dal quale saranno eseguite undici tracce su tredici): l’epica “Ho una fissa”, con i suoi pieni e vuoti ad altissimo contenuto emotivo, la veloce e divertente “Un po’ esageri” e la più sperimentale “Sci desertico”, basata su tappeti sintetici. La prima parte del set si adagia sui due lavori più recenti (da “Wow” arrivano “Loniterp” e “Per sbaglio”), poi si cambia marcia ed ecco “Starless”, brividi veri per chi li segue da sempre, l’unico ripescaggio da “Solo un grande sasso”, a comporre i sei minuti decisivi della serata.
Il concerto scorre via senza intoppi, Alberto si divide fra chitarra e piano, Roberta saltella divertita, Luca sfodera una potenza disarmante, forse più compassati rispetto ai tour precedenti, ma la compattezza che esprimono è sempre più invidiabile. “Attonito” a colpi di fuzz spiana la strada per la furiosa “Lui gareggia”, poco più di un minuto di rara sonicità, poi “Canos” conduce al siparietto acustico composto da “Nevischio”, “Trovami un modo semplice per uscirne” e la sempre suggestiva “Razzi arpia inferno e fiamme”: applausi a scena aperta.
La lenta e cadenzata “Inno del perdersi” lascia tutti estasiati, stasera è la migliore fra le nuove, “Valvonauta” si conferma altresì uno degli inni generazionali più efficaci degli ultimi anni.
“Puzzle”, “Scegli me” e “Muori delay” si susseguono rapidamente prima che “Rilievo” conduca al termine della prima parte, con un finale incandescente, tutto basato su percussioni che si rincorrono.
Qualche minuto e si riparte sulle note di “Nuova luce”, poi l’accoppiata da ko tecnico “Luna”/“Don Calisto” che lascia senza fiato, che fa fermare i cuori, che conduce la folla allo sfinimento, a un amore sempre più incondizionato nei confronti del trio lombardo.
Tocca a “Funeralus” chiudere le danze, con le sue atmosfere oniriche perfettamente corredate da particolari giochi di luci che paiono nascondere i protagonisti sul palco.
Ognuno potrebbe avere i propri appunti da fare: forse quasi nessuno dei pezzi nuovi vale una “Starless” o una “Luna”, forse troppa parte della sana energia di un tempo viene oggi sacrificata per la ricerca di strade nuove, forse Roberta era più carina mora, sì, ma quando questi (ex?) ragazzi prendono gli strumenti in mano e suonano, beh, spaccano, ed emozionano, come pochi altri.
E siamo già tutti lì ad attenderli al prossimo appuntamento romano, il 14 luglio al Postepay Rock In Roma, quando in scaletta troveremo anche le canzoni del secondo “Endkadenz”. Nel frattempo però consumiamo per bene il primo. Con buona pace dei sempre più numerosi detrattori.
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