25/03/2016

A Place To Bury Strangers

Traffic, Roma


La prima cosa che faccio quando entro al Traffic, il live club romano che ospita il ritorno nella capitale di Oliver Ackermann e compagni, è lanciarmi verso il banchetto del merchandising alla ricerca di “Kicking Out The Jams”, l’Ep appena annunciato, contenente una serie di jam session registrate fra una data e l'altra del tour (tuttora in corso) di “Transfixiation”.
Purtroppo non c’è traccia dell’Ep, al momento venduto durante le serate dal vivo e fra qualche giorno acquistabile sul sito ufficiale della band, ma gli occhi cadono su un pedalino in bella mostra, ovviamente marchiato Death By Audio, l’azienda di effettistica di Ackermann; il nome è tutto un programma (anche se il prezzo è poco invitante, visti i 300 euro richiesti): Fuzz War.

Insieme ai tappi per le orecchie, sempre venduti al banchetto, è la miglior premessa realizzabile dalla formazione newyorkese, la quale da sempre è impegnata a creare uragani sonori in grado di abbattersi con grande potenza sulla folta platea presente.
Il live set manterrà tutte le aspettative dei fan e dei curiosi presenti: per circa un’ora il trio, perennemente seminascosto in una nebbiolina che rende iper-dark l’atmosfera impregnata di borotalco, genererà un diluvio di feedback, associati a giochi di luce, strumenti lanciati in aria e a terra, proiezioni sul soffitto e brevi escursioni in mezzo al pubblico.

Il progetto A Place To Bury Strangers si conferma uno dei migliori al mondo in quanto a capacità di coniugare aromi wave, tendenze shoegaze e divagazioni noise, ma va riconosciuto che alla lunga i brani tendono un po’ troppo ad assomigliarsi (sia dal punto di vista della struttura che da quello del suono prodotto), come se la dimensione live appiattisse tutto invece che donare ulteriore dinamicità alle composizioni del trio.
Ma vederli suonare, per chi adora il loro approccio, resta molto più efficace di qualsiasi lezione di chitarra: pochi maestri sanno (o vogliono) insegnare come far uscire da uno strumento simili effetti, tutti restano troppo impegnati su noiosi solfeggi e scale pentatoniche, ignorando che oggi la creatività deve svilupparsi anche lontano da regole secolari precostituite.

Uno degli obiettivi degli A Place To Bury Strangers è abbattere queste regole; idealmente stasera è come assistere a un frullato di Joy Division, Sonic Youth e My Bloody Valentine, e, giunti al quarto disco, i newyorkesi possono ormai ritenersi vincitori della sfida che si erano prefissati: il consolidato seguito di fan affezionati si dimostra in costante aumento, ammaliato dalla capacità di condensare noise e wave in un format (alt)-rock.
Se sapranno col tempo arricchire di ulteriori sfumature il magma sonoro prodotto, diventeranno una band davvero fondamentale, praticamente perfetta, ma anche così resta sempre un gran bel sentire.