24/08/2018

Suzanne Ciani, Tangerine Dream

Dancity, Foligno


Nel ricco palinsesto dell’edizione 2018 del collaudato Dancity, nel cuore della splendida Foligno, era davvero difficile scegliere cosa vedere e cosa tralasciare. Gli amanti della musica elettronica ad ampio raggio si sono ritrovati con una line-up ben impacchettata lungo tutto il weekend di fine agosto, con il sabato e la domenica a strizzare l’occhio alla cassa e per certi versi ai più giovani, vedi i live del trio Moritz Von Oswald e quello della premiata ditta Wolf Müller & Niklas Wandt, così come il dj-set di Bufiman. La seconda parte della medisima giornata, inoltre, ha offerto ben tre stage al Serendipity, ognuno caratterizzato da un proprio sound: in Play Room Chevel, Amelie Lens e SpecialRequest, mentre in Rec Room Skatebård e Black Merlin; nello spazio esterno sono spuntati anche Fantastic Twins e Deena Abdelwahed. Mentre a chiudere il Festival nella giornata di domenica, è stato il debutto dei Nu Guinea con una band composta da ben otto elementi, al quale si sono aggiunti i live di Mystic Jungle, The Barking Dogs, e Vladimir Ivkovic.

Ma è nella prima giornata della rassegna che la storia della musica elettronica ha imposto la sua presenza, entrando dalla porta principale, con le esibizioni a dir poco attese alla vigilia della divina Suzanne Ciani e dei rimaneggiati (e reinventati) Tangerine Dream; una doppietta formidabile, con il concerto di un certo Burnt Friedman in compagnia dell’iraniano Mohammad Reza Mortazavi posto nel mezzo. Ed è stato quasi un segno del destino che ad aprire le danze fosse il mitico Buchla 200, piazzato al centro della sala come un totem sacro da venerare. Impossibile resistere al suo fascino.
Un ultimo sguardo al prezioso e costosissimo strumento, ed ecco apparire dalle retrovie la Ciani, al solito regale e composta, in perfetta forma nonostante la non più giovane età. Pochi secondi e quel miracolo targato Don Buchla si accende come un faro nella nebbia, spinto dalle modulazioni della sperimentatrice americana di origini italiane, inanellate tra un sussulto e una piroetta, un beat grattato e mai realmente lanciato e pause electro-sinfoniche. D'altronde, lei stessa ama chiamarlo Quadriphonic Live, e la sensazione è proprio quella di trovarsi all’interno di un flusso quadrifonico atto ad alternare un’eterna smania avanguardistica e un’assoluta compostezza; quest’ultima consolidata nel corso degli anni con la lunga esperienza new age a cavallo tra gli 80 e i 90. Trenta minuti scarsi, essenziali, eppure vibranti di passione per una macchina particolarissima che la Ciani tratta con delicatezza; uno scrigno zeppo di impulsi che lei stessa omaggia in un timido italiano a fine esibizione, con tanti piccoli particolari sulla costruzione artigianale e sulla provenienza delle componenti.

Ben diversa invece è stata l’esibizione del buon Friedman, che ha praticamente messo in loop variazioni su tema pescate da “Bokoboko”, a conti fatti il suo ultimo lavoro che strizza l’occhio ai ritmi orientali e africani. Nulla di esaltante, specie se confrontiamo la resa live con quella meglio calibrata nei suoi dischi. Tuttavia, il "vecchio" Burnt è affascinante anche per queste sue ostinazioni poliritmiche, e va bene così, al netto di qualche sbadiglio di troppo giunto poco prima del grande evento, ovverosia il concerto dei Tangerine Dream; l’unico in Italia con una formazione obbligatoriamente rimaneggiata, e composta per l’occasione da un trio decisamente insolito: Ulrich Schnauss, Thorsten Quaeschnin e la violinista Hoshiko Yamane. Ebbene, se c’erano dei dubbi alla vigilia, essi sono stati ampiamente fugati da una calibratura del suono semplicemente perfetta fin dal primo battito. Ma soprattutto dallo stato di grazia in cui versa il momentaneo leader del gruppo, il grande Schnauss, che ha inzuppato il sound dei corrieri cosmici con alcune delle sue perline, inanellando così uno dietro l’altro momenti di assoluta beatitudine.
Un trip che ha raggiunto il suo apice con “Stratosfear”, suite epocale da cui prende il titolo il sempre poco citato album del 1976. Sono sopraggiunte tante emozioni anche durante la spaziale e contemplativa "Love On A Real Train", tratta dall’ottimo “Risky Business” del 1984; un brano che ha saputo anticipare le modellazioni Idm di formazioni come Boards Of Canada. Una pietra miliare nascosta che continua a "inoltrarsi" tra un’influenza e l’altra nel "nuovo" panorama elettronico del Vecchio Continente. Un concerto estremamente avvolgente degno del nome di una band che ha semplicemente fatto la storia della musica del secolo scorso.

*Foto di Luigi Alex Raia