27/06/2018

St. Vincent

Circolo Magnolia, Milano


Annie Clark appartiene a quel novero di artisti che è capace con il minimo sforzo di far vacillare anche i più austeri e conservatori dei musicofili. Per chi c’era quattro anni fa all’Alcatraz di Milano, la bravura di St. Vincent non è certo una novità: c’è da scommettere che gran parte delle persone che mercoledì sera hanno riempito il Circolo Magnolia all’epoca non conoscesse ancora la grandezza di questa musicista fantastica, arrivata al successo globale con un recente disco tanto accessibile nella forma quanto di altissimo livello nella sostanza.

Non si fa peccato ad ammettere che la Clark con quest’ultimo "MASSEDUCTION" abbia strizzato più volte l’occhio a un pubblico, per l’appunto, di massa. Un disco accompagnato da un seguito promozionale da vera diva, con una St. Vincent che da outsider d’avanguardia diventa un diamante pop dall’attitudine molto glam e danzereccia; una trasformazione invero già annunciata da alcuni anni ma che ora è arrivata al suo perfetto compimento. Va però sempre ricordato che, se ci si può azzardare a parlare di una piccola svolta mainstream e se il gusto personale può portarci a preferirla in altre vesti, non si può proprio sottostimare il livello qualitativo, che resta sempre altissimo. Per la serie: a riempire il dancefloor sono bravi tutti, raderlo al suolo e tatuarti il cervello dopo averti strappato il cuore dal petto è roba per pochi.

E così, piantati in mezzo a una platea che abbraccia una diversità bellissima e impaziente, ci ritagliamo un minuscolo spazio vitale e attendiamo l’arrivo di mrs. Clark, che si fa attendere una buona mezz’ora. Sento un ragazzo dietro di me che in tono quasi rassegnato dice all’amica: "Ok, io resto due o tre canzoni al massimo e poi vado dietro". Ebbene, basta l’attacco di "Sugarboy" per vedermelo passare davanti con la sua camicia a fiori, spintonandomi con un’arroganza tutto sommato perdonabile. Lo spettacolo di St. Vincent è appena iniziato e vale subito la pena dettagliarne l’estetica: i musicisti su quattro piedistalli uno in fila all’altro, pannelli luminosi alle loro spalle e luci sparate dappertutto, batterista e tastierista anonimi e imbavagliati alla destra del palco come fossero manichini inanimati, la fidata corista/bassista Toko Yasuda al suo fianco e poi lei, la Regina, fasciata da un vestito arancione che lascia ben poco all’immaginazione. Un’arancia meccanica contemporanea dalle movenze di un robot, algida e minimale eppure dannatamente sensuale. E come ci riesca sempre, non c'è niente da fare, resta un mistero.

I pezzi forti dell’ultimo disco Annie li spende praticamente subito: detto degli schiaffoni elettronici di “Sugarboy” che deragliano presto in un muro sonoro di rara violenza, ecco “Los Ageless” con il suo incedere sinuoso e una “Masseduction” introdotta dall’artista come inno per “combattere il potere” a pugni alti al cielo. Un inizio che ci conferma quello che le sonorità dell’album ci aveva ampiamente predetto: tappeti stratificati di beat sintetici sporcati da fucilate elettriche a tratti misurate e spesso selvagge, le chitarre fluo di St. Vincent che si insinuano minacciose nei pattern electro per ridisegnare nuove coordinate sonore. Va detto che non sempre la commistione tra le due anime funziona, ad esempio nelle rivisitazioni di “Marrow” e “Digital Witnesses”, qui depotenziate rispetto alla versioni originali.

Il live prosegue saltando da numeri d’altissima scuola, come la sempre magnifica “Rattlesneake” che sbatte Pet Shop Boys e Jack White in un frullatore impazzito, a momenti un po’ deboli, specie nella parte centrale. Sono comunque da ricordare le iperboli vocali di “Young Lover”, che testimoniano l’eccellenza della Clark anche dietro il microfono, l'omaggio all'amore universale di "Fast Slow Disco", che nella settimana del MilanoPride acquista una valenza ancor maggiore, e la dedica alla Milano di Ticinese e del Plastic (ma ci sarà mai stata?) nell’attacco di “New York”.
Il finale sfuma in una nebbia di tristezza e di malinconia, con la straziante “Happy Birthday, Johnny” a farci pensare a quanto può essere bello avere qualcuno nel mondo che si aggrappa al nostro ricordo e scrive per noi nonostante tutto, e la chiusa di “Severed Crossed Fingers”.

Le luci si spengono, St. Vincent ringrazia, saluta e se ne va. Che dire? Speriamo di rivederti presto da queste parti, Annie.